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I primi anni della Repubblica segnarono anche la riorganizzazione e la ripresa delle confederazioni sindacali, completamente soppresse o addomesticate sotto il regime fascista.
I problemi dei lavoro sul tappeto, in un’Italia dissanguata dalla guerra e completamente dissestata, non erano pochi: il pericolo era che tutti i sacrifici e le privazioni che la ricostruzione avrebbe comportato gravassero esclusivamente sulle spalle dei salariati, riproducendo situazioni di ingiustizia sociale che avrebbero potuto riportare, alla lunga, alla crisi della stessa democrazia.
Tra i più attivi esponenti dei nuovo sindacalismo fu Giuseppe Di Vittorio, un pugliese che aveva aderito fin dal 1924 al Partito comunista e che dal 1945 era segretario della CGIL.
Scaltrito ai segreti della vita politica ed estremamente abile nelle trattative con la controparte imprenditoriale, Di Vittorio impostò campagne sindacali volte a risolvere gravi questioni come la compressione dei salari, il carovita e la disoccupazione.
La sua azione, spesso drastica, non fu esente dal provocare spesso forti tensioni nel Paese, tanto che egli più volte fu additato dalle forze moderate come un destabilizzatore dell’ordine alle dirette dipendenze di Togliatti e dell’Unione Sovietica. La vignetta del "Merlo Giallo" lo raffigura proprio mentre cerca di rovesciare il governo, sotto lo sguardo compiacente di Togliatti (che in quegli anni era sempre rappresentato con una cuffia acustica con cui - dicevano i maligni - riceveva ordini dal Cremlino), di Nenni, accucciato come un cagnolino agli ordini di Togliatti, e di un lavoratore, timoroso invece che l’azione del capo sindacale avrebbe potuto nuocergli anziché giovargli. Simili polemiche, fuorvianti rispetto ai veri obiettivi di Di Vittorio, non gli furono risparmiate per tutti gli anni della sua attività.


"Merlo Giallo", 2 settembre 1947