La guerra era alle porte e gran parte degli osservatori più avveduti valutavano con legittima preoccupazione l'assoluta insufficienza del potenziale bellico italiano, mal corrispondente al trionfalismo aggressivo manifestato da Mussolini. Benché fin dall'unità i governi italiani avessero destinato circa un terzo dei bilanci pubblici alle spese militari, le forze con cui il duce sperava di far fronte a un così gravoso impegno bellico erano del tutto inadeguate: così, mentre egli continuava a proclamare l'ineluttabilità della guerra e ad accettare supinamente la subordinazione italiana rispetto alla politica del Reich, i più consapevoli tra i comandanti dell'esercito si chiedevano angosciosamente come avrebbero potuto assecondare nei fatti le aspirazioni di Mussolini. La prospettiva della guerra imminente riuscì addirittura a frantumare il fronte dei gerarchi fascisti tra coloro che, come Ciano e De Bono, valutavano pessimisticamente l'aggregazione del Paese alle sorti della Germania e quanti, come Alfieri e Starace, sostenevano che una ventata di vitalità e di volontà bellica attraversava l'Italia. Salvatorelli sostiene addirittura che, in quel settembre 1939, un intervento risoluto del re avrebbe potuto ridimensionare il fascismo ed evitare la guerra: sta di fatto che ciò non avvenne, e Mussolini poté rispolverare il proprio revanscismo diciannovista per coinvolgere il Paese nella più drammatica esperienza di questo secolo. "Marc'Aurelio", 6 settembre 1939
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