Per l'immagine ingrandita (1100x850)


 

 


 

A rendere più difficile il già delicato compito della delegazione italiana a Versailles venne anche la questione di Fiume, sulla quale ancora una volta l'opinione pubblica e le forze politiche italiane si trovarono divise.
Abitata da una popolazione in maggioranza italiana, prima della guerra la città faceva parte del regno di Ungheria e secondo le clausole sottoscritte dall'Italia nel patto di Londra avrebbe dovuto essere assegnata, dopo la sconfitta dell'Austria-Ungheria, alla Croazia.
Sonnino infatti, artefice delle trattative, riteneva più opportuna politicamente e strategicamente l'annessione della Dalmazia, in cambio della quale era disposto a rinunciare all'opzione storica del nostro Paese su Fiume.
Contro questa tesi si sollevarono sia il Consiglio nazionale italiano di Fiume, che il 30 ottobre 1918 proclamò l'unione della città all'Italia, sia l'ala più rigidamente interventista dell'opinione pubblica.
Mentre la città era occupata da truppe interalleate, Sonnino insistette sulla tesi della non-annessione di Fiume, condizione indispensabile per l'attuazione integrale del patto di Londra; dal canto suo Orlando propose uno scambio tra la Dalmazia e Fiume; Bissolati infine, tentando di frenare i rigurgiti di interventismo imperialista manovrati da Mussolini e dai suoi arditi, considerò necessaria la rinuncia sia a Fiume sia alla Dalmazia, per favorire l'ottenimento di Trieste, Trento e Gorizia e contemporaneamente creare intorno all'Italia una rete di favorevoli relazioni internazionali, dalla Iugoslavia agli Stati Uniti. Di questa disparità di valutazioni si avvantaggiarono le diplomazie britannica e francese, cosicché alla fine della conferenza di pace di Versailles tanto la questione fiumana quanto quella dalmata rimasero pressoché insolute.


"Satana", 15 giugno 1919