Designato alla presidenza del Consiglio dopo le dimissioni di Zanardelli, Giolitti intavolò subito trattative con i socialisti e i radicali tentando di coinvolgerli nella gestione diretta del potere. Acuto interprete delle vicende politiche, egli aveva infatti perfettamente compreso che, concentrando tutti i loro sforzi su questioni sociali e di classe, le sinistre si avviavano a diventare le protagoniste della scena parlamentare: da qui lo sforzo di renderle corresponsabili di un vasto disegno riformista che figurava tra i suoi principali obiettivi. Facendo leva sull’amicizia personale con Turati e sollecitando l’impegno diretto del radicale Marcora tentò di dar vita a una maggioranza finalmente inedita, ma senza successo. Turati e l’ala riformista dei socialisti erano infatti in minoranza rispetto agli "estremisti "capeggiati da Bissolati, che negò da parte sua l’appoggio a un governo di tendenze liberali adducendo il motivo che esso non sarebbe stato compreso dalle masse popolari: molto più probabilmente, invece, a causa di una mai sopita pregiudiziale antiborghese. Anche Marcora, di conseguenza, fece marcia indietro e a Giolitti non rimase altra scelta che seguire le orme di Depretis e Crispi varando un governo ben più a destra del previsto. Mentre le sinistre - e la vignetta de "L’Asino" ne è un documento eloquente - inneggiavano quasi a uno scampato pericolo, il presidente del Consiglio organizzava la compagine ministeriale servendosi di personalità scarsamente caratterizzate e ben manovrabili: quasi le producesse in serie a proprio uso e consumo. "L’Asino", 15 novembre 1903
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