Nonostante le prime analisi e iniziative politiche sulla questione meridionale datassero agli inizi degli anni settanta, cioè dopo la pubblicazione delle Prime Lettere Meridionali di Pasquale Villari, il governo Zanardelli fu il primo a prendere seriamente in esame la complessa problematica e ad abbozzare delle soluzioni, per quanto parziali e inefficaci. Tra i provvedimenti di maggior spicco figura il progetto per la realizzazione dell’acquedotto pugliese, che dopo un lungo e tormentato iter parlamentare fu tradotto in legge nel marzo 1901. Esso prevedeva la costituzione di un consorzio tra lo Stato (che aveva considerato uno stanziamento di oltre 100 milioni in 25 anni) e le province pugliesi (che avrebbero partecipato complessivamente con altri 25 milioni) per la costruzione e l’esercizio di un acquedotto giudicato all’epoca ambizioso e imponente. Progettato nelle sue linee essenziali fin dal 1868, avrebbe dovuto trasferire in Puglia le acque del Sele attraverso un percorso di circa 240 chilometri e distribuirle nei centri delle province di Bari, Lecce e Foggia. La completa esecuzione dei lavori era prevista entro l’agosto 1916, ma essi furono proseguiti ancora per diversi anni; alla fine del 1927, dopo cinque anni di reale attività, l’acquedotto serviva un centinaio di comuni. Tra i maggiori intralci alla corretta e rapida esecuzione dell’acquedotto fu l’errore governativo di affidare gli appalti, decisamente appetitosi, a imprenditori settentrionali per i quali il Sud rappresentava esclusivamente una terra di conquista e il pretesto per lucrosi quanto loschi affari: come, in effetti, volevano dimostrare gli autori di questa vignetta de ‘L’uomo di pietra’. "L’uomo di pietra", 14 giugno 1902
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