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di Alberto Mengoni
(Pubblicato sul Bollettino spirituale VIDYA’ –
Settembre 1994)
Uno dei
principali problemi che si presentano al moderno
praticante spirituale può, senza dubbio, essere
quello di riuscire a trasfondere nella vita
quotidiana tutto il "carico" di nozioni e
informazioni ricevute dall' ascolto degli
insegnamenti spirituali e dalla pratica
meditativa effettuata sulla base della
comprensione degli stessi. Per di più,
nell'odierno mondo occidentale, bisogna
riconoscere una relativa difficoltà nel poter
entrare in confidenza con il dharma, stante il
fatto che i veri Maestri sono piuttosto rari e i
loro discepoli, autorizzati a dare insegnamenti
validi ai propri connazionali, sono ancora
relativamente poco numerosi. Per cui, in
definitiva, sussistono ben poche opportunità per
quegli individui che, veramente motivati,
desiderino rapporti dialettici privilegiati con
un Maestro personale che possa seguirli passo
passo, dando loro istruzioni precise e consigli
continui sul come tradurre in pratica il
risultato della loro motivazione come avveniva,
ad esempio, nell'antichità.
Malgrado ciò, si deve prendere atto che la
diffusione dei Centri spirituali (nonché di
libri, riviste e pubblicazioni specializzate) è
continuamente in aumento e questo fa pensare ad
una accresciuta richiesta e ad uno sviluppato
interesse verso le dottrine spirituali, e di
quelle orientali in particolare. L'aspetto
principale di questa situazione si traduce in
una maggiore possibilità di far emergere dal
"buio" le coscienze particolarmente dotate e
potenzialmente capaci (grazie ad un karma
favorevole) di saper cogliere il prezioso
messaggio soteriologico del dharma, anche
soltanto per mezzo di un tirocinio assai rapido
avvalorato, però, da una profonda dedizione e
dalla fortuna di aver incontrato dei validi
Istruttori. Quindi, qualsiasi individuo, dopo
intensa ed ininterrotta pratica meditativa,
potrebbe anche arrivare a comprendere la "natura
della mente", cioè la sua "vera" natura
eternamente immutabile, e tuttavia trovarsi
improvvisamente di fronte al dilemma di come
poter mettere in pratica questa sua
comprensione. Infatti, risulta abbastanza
difficile riportare nel quotidiano ciò che si
può intuitivamente comprendere nel proprio
intimo, dal momento che la manifestazione dei
fenomeni non cessa di esistere né si trasforma
il modo di percepirli, poiché le cause che li
hanno prodotti dovranno avere il loro regolare
corso. Di fatto, la concezione del mero apparire
dei fenomeni dovrebbe sradicare l'abitudinaria
maniera di interpretarli e far riflettere, in
realtà, che ogni apparenza si ritiene esistente
soltanto per il fatto che la nostra coscienza è
erroneamente condizionata a conoscere l' "altro"
come qualcosa "fuori di noi". Di conseguenza, si
deve ammettere da un lato questa "ignoranza" e,
dall'altro, la nostra capacità di conoscenza che
ci permette il riconoscimento dell'iniziale
erronea interpretazione.
Una puntuale conferma ci viene in occasione dei
coinvolgimenti nelle attività della vita
quotidiana. Queste ci prendono in modo talmente
intenso da impedirci, sovente, di riconoscerle
come fatto illusorio e, conseguentemente, in
mancanza di attiva consapevolezza, ci fanno
perdere il distacco necessario per considerare
il tutto come un miraggio o un sogno a occhi
aperti.
Allora, in questi casi i profondi insegnamenti
trascendenti della Metafisica ci vengono
incontro. Nei trattati esoterici induisti e
buddhisti (come le
Upanishad,
i Sutra del Vedànta Advaita e del Buddhismo
esoterico) si viene costantemente ammoniti ad
attivare una penetrante e continua osservazione
della mente nonché del modo in cui essa
erroneamente interpreta la realtà. Si tratta di
rifiutare, a livello di coscienza, la presunta
sostanzialità intrinseca che fa sembrare
oggetti, persone e situazioni come esistenti
separatamente per arbitraria attribuzione della
consueta mente ignorante che, d’altra parte,
assume la medesima credenza anche verso se
stessa. Ebbene, questi sutra, disgregando alla
base ogni elementare assunto, dichiarano
fermamente che non esiste questo, né esiste
quello! Naturalmente bisogna guardarsi bene
dall' interpretare alla lettera tali asserzioni,
proprio per non produrre nella coscienza
l'effetto contrario, cioè il nichilismo; ma, a
ben vedere, questa operazione disgregante è
opportunamente necessaria per eliminare dalla
mente il primo dei molti veli dell'illusione,
cioè l'innata tendenza all'eternalismo, primo
duro ostacolo alla comprensione della vacuità
dei fenomeni. A questo punto, se il praticante è
sincero e mette in pratica i preziosi
insegnamenti dei Maestri e, soprattutto, i
silenziosi ordini stimolati dalla propria
coscienza intuitiva, può avvenire una sorta di
bilanciamento al centro che, appunto, evitando
gli estremi, produce nella mente la giusta
capacità di visione della Via di Mezzo.
Da quel momento, anche se il Sentiero risulta
ancora aperto davanti e appare verosimilmente
lungo da percorrere, ogni evento che accade
diventa la Pratica ed il vivere stesso diventa
il Sentiero. La coscienza, permanentemente
attivata, tenderà a divenire il punto di
riferimento centrale e gli avvenimenti esterni
si collocheranno in posizione periferica, come
in uno specchio, apparendo e manifestandosi non
più carichi di quella gravosità coinvolgente e
ridimensionando il peso di preoccupazioni,
sofferenze, desideri e attaccamenti.
Contemporaneamente, l'apertura e una maggiore
dilatazione della compassione produrranno
l'effetto di farci essere assai più compenetrati
nel riconoscere l'essenziale unità di tutto
l'esistente.
In alcuni testi delle Scuole del Buddhismo
Tibetano si enuncia che lo sviluppo della
Compassione sia normalmente precedente allo
sviluppo della Saggezza. Non c'è da metterlo in
dubbio, ma al riguardo bisogna dire che, invero,
in moltissimi individui il sentimento della
compassione viene generato nella loro mente
addirittura prima della nascita anche se, per
mancanza della vera Saggezza trascendente,
questa innata tendenza risulta indirizzata a
senso unico, cioè si manifesta solo verso alcuni
esseri e non verso tutti gli altri. Perciò è
proprio grazie alla capacità di comprensione che
si deve la dilatazione della preesistente natura
compassionevole nei riguardi di tutto
l'esistente senza discriminazioni. Infatti, la
potenzialità preziosa che unisce e assimila
tutti gli esseri, sotto forma di "pura
esistenza", è la base inalienabile della
Coscienza Unica (Sat-Cit) che si autoconferma
nella mente individuale tanto che essa viene
designata, nello Zen, come il migliore oggetto
di pratica del dharma. Ciò è riscontrabile anche
nell'episodio in cui il saggio Chao-Chou (Joshu)
chiede direttamente al suo Maestro Nan-Chuan (Nansen):
«"Quale è la Via?" e ne ottenne la risposta: "La
mente ordinaria è la Via!"».
Quindi, vivere la Comprensione starebbe
semplicemente a significare vivere alleggerendo
la mente da tutte le sovrastrutture, accettando
serenamente tutto quello che spontaneamente
accade, nel bene e nel male, cercando di
eliminare ogni etichetta derivata dall'adesione
alle opinioni e giudizi personali e altrui,
senza lasciarsi angosciare da sconfitte ed
insuccessi e senza augurarsi più di quello che
già ci offre la vita. A nulla servirebbe,
infatti, pensare di voler evitare le tragedie
dell'esistenza o i coinvolgimenti del quotidiano
stabilendo a priori che essi sono semplici
"illusioni" mentre, invece, è proprio
affrontando questi impegni con la nostra "viva
presenza", fermamente insediati nella
Comprensione, che si può superare ciò che la
mente stessa ha creato, sotto forma di
ineluttabile karma, e che ci ritorna
puntualmente indietro, simile ad una cambiale da
noi firmata, che ci raggiunge improrogabilmente
alla sua scadenza.
Quella causa autogenerata, che è poi la nostra
stessa Ignoranza (infatti noi realmente
"ignoriamo" la ragione delle nostre disgrazie),
una volta sottoposta alla luce di una visione
ininterrotta sarà sicuramente trasformata in
ineffabile saggezza (Prajna) che potrà
permetterci di vivere in modo autentico quegli
effetti, quali che siano, tramutandoli, a loro
volta, in proficui semi di Illuminazione. Al di
là, quindi, del desiderio di migliorarci, seppur
meritevole intenzione, varrebbe la pena di
indirizzare ogni nostro sforzo alla opportunità
di lavorare col materiale già in nostro
possesso, cioè noi stessi così come siamo,
applicando al meglio gli Insegnamenti del Buddha
e di Shamkara già utilizzati da numerosi Nobili
Esseri, viventi esempi ed utili vettori, capaci
di dare un senso alla loro esistenza e di
rendere la loro "mente ordinaria" esattamente la
base per l'ottenimento della perfetta "buddhità",
o per la rivelazione dell'assoluto Brahman.
Chiudiamo, infine, esponendo un breve verso del
Sutra "Re del Samàdhi", abile commentario alla
pratica della Mahamudra (Metodo Folgorante per
il Risveglio) del venerabile Nga Wang Yeunten
Ghyatso, un glorioso e santo Lama della
Tradizione Kagyupa, nel lignaggio di Tilopa,
Naropa, Marpa e Milarepa.
«Quando si realizza Quello,
tutto diventa Talità!
“Al di là di accettazione e rifiuto c'è l'Essere
naturale!
“Al di là della mente concettuale c'è la Verità
ultima!».
Esattamente la stessa cosa che si desume dalla
Sentenza (mahavakya) “Tat tvam asi” (Tu sei
Quello!), tratta dalla Chandogya Upanishad,
sintesi dell'intera Dottrina Advaita Vedanta, in
cui risulta essere sempre presente l'identità
tra il jiva (principio di coscienza) e la
Realtà-Brahman.
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