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Il testo originale dice, esattamente, per quanto
riguarda il Terzo Comandamento, “non usare invano (saw) il nome di
Yahweh (il tuo Dio) perché Yahweh non manda impunito chi usa invano
il Suo Nome”.
Il Nome, nell’antichità, non è un semplice segno, il Nome dice e
indica per sempre la Sostanza di chi è nominato, e quindi lo
identifica tra i Molti.
E, ancora, lo separa dal Male o comunque dall’Indistinto.
É peraltro da notare che, fuori dal decalogo del roveto ardente,
Yahweh viene esplicitato come nome solo in un brano dell’Esodo,
23,I, in cui si afferma che “Non devi produrre voce fallace”, sema
saw.
Il giuramento falso era la prova, vedi Sal.24, 4, Os.10, che non si
“deve abusare del nome di Dio”.
Non lo devi chiamare, Egli è sempre ovunque, se Lo chiami vuol dire
che non Lo credi davvero.
Sempre nel Levitico, si dice da parte di Yahweh che “non devi
giurare sul mio Nome con l’intenzione di ingannare”.
La Verità dell’Unico si riflette naturalmente sulla verità oggettiva
delle cose di cui parlano gli uomini. Saw è, peraltro, un termine
usato da molti profeti di Israele contro l’adorazione degli idoli.
Saw, probabilmente, era originariamente il termine che identificava
la “magia malefica”, che quindi mai ha a che fare con l’evocazione
di Dio, Signore del Bene che ha cacciato il maligno fuori dal pardes,
il luogo in cui ritorna, alla Fine dei Tempi, il “secondo Adamo”
restituito alla Verità e alla Grazia.
Piero della Francesca, sulla base della Legenda Aurea di Iacopo da
Varagine, un testo di vite dei Santi che rivoluzionerà la vita del
futuro Sant’Ignazio di Loyola, dipingerà la “Leggenda della Vera
Croce” in San Francesco ad Arezzo. Adamo, nella tradizione di Jacopo
da Varazze, chiede al figlio Seth di andare nel Giardino, il Pardes,
per ottenere l’olio della misericordia per passare serenamente alla
Vita Eterna.
L’Arcangelo Michele dà invece a Seth un ramoscello dell’albero della
Vita, che Salomone ritrova mentre deve costruire il Primo Tempio.
Il Re di Israele non riesce a utilizzare l’albero, che si ribella ai
suoi operai.
Tema iniziatico, peraltro, visto quanto conta, nella “scena
primitiva” della Massoneria moderna, la costruzione del Tempio e la
ricerca della “parola di passo”.
E ancora la trave su cui è stato crocifisso Gesù Cristo viene
seppellita da un ebreo di nome Giuda, che verrà calato in un pozzo
dalla Madre di Costantino per farlo confessare.
Gli operai decidono infine di porre il legno su un fiume, per farne
una passerella, altro evidentissimo simbolismo.
Costantino poi, dopo la battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio,
quella in cui apparirà la Santa Croce e il messaggio notissimo in
hoc signo vinces, manderà sua madre a Gerusalemme per cercare la
Vera Croce, e sant’Elena ritroverà e verificherà la verità della
Croce di Cristo passando il legno su un morto, che resuscita. Ed è
qui che opera anche la sapienza di San Paolo, che usa e rovescia la
tradizione farisaica e poi cabbalista: certo, “sia maledetto chi è
appeso al legno” ma è proprio per questo che, dice San Paolo nella
Lettera ai Galati, 13, quanto “Cristo ci ha riscattati dalla
maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi,
poiché sta scritto maledetto chi è appeso al legno, perché in Cristo
Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante la
Fede, ricevessimo la promessa dello Spirito”.
Così dice San Paolo sul “legno” e il suo paradosso infinito.
Chi si allontana sarà avvicinato, chi si avvicina sarà allontanato.
Un paradosso della Fede che è inconcepibile nell’Islam, peraltro.
Che è quello, il paradosso che il mondo teologico islamico non ha
affatto risolto, del rapporto tra Male e Fede.
Infatti, se Dio è unico e tutto ordina e decide, perché ordina il
male e lo fa vincere sulla santità?
É sempre il problema di Giobbe. “Forse che Giobbe crede in Dio per
nulla?” Chiede il maligno (1,9) ma la rivolta di Giobbe, che infatti
crea la
civiltà moderna, è diretta contro un dio antropomorfo, una Entità
che è la proiezione delle nostre paure e dei desideri universali.
Salmo 125: “grandi cose il Signore ha fatto per noi”… ma non lo si
deve
vedere e la sua ratio non è mai quella degli uomini. E, qui, la
teologia islamica non concede uscite alla separatezza tra Male e
Bene, basti pensare all’assoluta unicità e, quindi, alla totale
inconoscibilità
di Allah che crea e distrugge mondi che nemmeno noi sappiamo essere
stati possibili.
E quindi il Male è ubiquo e, soprattutto, non leggibile dagli umani,
che lo interpretano sempre in modo errato o comunque terreno.
Siamo sempre e ancora a Giobbe, che incontra il Volto di Dio proprio
quando lo contrasta, (42,5) e, appunto, quando Dio gli è apertamente
nemico.
“Mi credi perché sono potente e perché semplicemente sono?” É qui il
grande limes teologico, politico, sapienziale che spezza la
continuità tra Islam e le altre religioni monoteiste. Ecco, ancora,
il senso teologico profondo del jihad contemporaneo. Posso
convincere Dio che ho ragione, basta che interpreti letteralmente le
Sue parole. Nemmeno il Corano ha questa logica.
Anche nell’islam, poi, il problema teologico primario è quello del
nesso
tra la fede e le opere, come nella Riforma. Qui il nesso è tra Iman
e Islam, fede interiore e pratica esteriore.
É però qui il Profeta stesso che, nella lotta contro i karigiti, la
solita
setta purista che sorge dopo ogni riforma religiosa, teorizza, nei
Detti, che va bene anche una conversione affermata per evidente
paura.
Risiamo al jihad, l’accettazione di ogni tipo di adattamento formale
alla
norma del Sacro, che non è mai il Sacro.
“Gli avete aperto il cuore per vedere se era tutto vero quello che
diceva?”
ironizzò in questo caso il Profeta Muhammad.
Nell’evento poi del jihad contemporaneo, in punta di diritto
islamico, è proprio la “guerra santa” che crea molti problemi.
Il jihad è, come nella tradizione della Vera Croce, una guerra che
deve riportare alla pace iniziale.
Lo squilibrio, per il Corano, è infatti il tratto naturale del mondo
visibile, e questo squilibrio è appunto rappresentato dalla guerra,
violenza iniziale e legale.
Quindi, la vera traduzione del monito dell’Unico nel Sinai,
probabilmente vicino all’attuale e meraviglioso Monastero di Santa
Caterina, è più o meno questo: “non disporre del Nome di Dio a tuo
arbitrio e capriccio”.
Il che non vuol dire non nominarlo mai, come le sètte esoteriche
medievali, o ritenerlo una presenza oggettiva nella vita di tutti i
giorni, altra eresia antiunitaria.
Giobbe però se lo poteva permettere, perché Mi cercava e Mi amava,
anche nella lotta contro di Me, ma voi, certamente, proprio no.
Qui, nella Tradizione originaria trascendente, Yahweh vuol dire
“sempre più grande”, Dio è infatti incommensurabile perché Lui
cresce sempre, ma noi non possiamo che stare fermi.
Si pensi qui alla metafora rivelatrice del lievito…
Ecco, se esaminiamo bene le Tradizioni delle religioni monoteiste,
nate dalla prima rivolta di Abramo contro gli idoli di suo padre,
allora ci accorgiamo che, in ogni caso, si devono sempre mantenere
le Fedi e, soprattutto, le identità etno-culturali.
Copti (il 10% della popolazione egiziana) e in Giordania, nei
Territori Palestinesi, poi ci sono i cristiani di rito siriano,
diffusi tra Turchia, Giordania e Libano, per non parlare delle
chiese siriane ortodosse, cattoliche siriane, poi i maroniti, gli
assiri, i caldei, gli armeni.
Poi ancora gli sciiti, quasi sempre credenti nel Dodicesimo Imam,
come in Iran, anche se i “settimiani” Houthy in Yemen e in altre
aree del Golfo Persico sono sostenuti da Teheran, senza pregiudizi
teologici, in tante zone del Medio Oriente.
Poi e poi gli zayditi, sempre di area sciita, gli ismailiti, legati
all’Aga
Khan, e i drusi, eredi di Pitagora, e molti altri.
Senza la mappa delle religioni del Golfo Persico, nulla si capisce
della sua politica.
E qui, lo ripeto, il jhad della spada è una sostanziale anomalia,
che infatti si è incistata nel sistema iraqeno-siriano quando faceva
comodo ai sauditi e ai loro alleati.
Identità, dicevamo. Criterio primario.
Se ci sono oggi autorità globali capaci di interpretare,
selezionare, riformare questo immane calderone di fedi e di idee,
non possiamo allora non pensare alla Chiesa Cattolica e alla
Ortodossia slava e greca.
Non possiamo più modificare il passato, ovviamente, anche se quelli
che
lo fanno per mestiere li chiamano “storici”, ma possiamo certamente
creare, oggi, quel presente che costruisce un futuro nuovo.
Non è necessario piangere sul latte versato, lo diceva Baudelaire,
“c’è un solo modo di dimenticare il tempo: impiegarlo”.
Quindi oggi la vera sfida sarà la libertà di culto e di opinione, in
un mondo in cui il presente, finalmente, è libero di costruire il
futuro.
Dopo la vittoria di Assad, dei siriani, dei russi in Siria,
naturalmente.
La sfida vera è oggi questa, e vale per il Card. Parolin, che andrà
in Russia il prossimo agosto, per parlare con i Patriarca Kirill e
il Presidente Putin.
Qui la logica strategica, del tutto giusta, secondo noi, del card.
Parolin e di
Papa Francesco è una sola: eliminare ogni pseudo polemica con
l’Islam,
accettare poi il sostegno di Mosca e delle Sue istituzioni religiose
per ricostruire il naturale equilibrio pluralistico delle comunità
cristiane, ortodosse, sciite, sunnite, e di tante altre fedi che,
per Roma, debbono essere salvate anche e soprattutto con il sostegno
della Chiesa Ortodossa slava e greca.
Mosca, già nel 2013, ha già garantito la sua cittadinanza per 50mila
cristiani di Qalamoun, e sempre nell’agosto di quell’anno la Chiesa
russa ha donato 300mila Usd al patriarcato di Antiochia.
Il vuoto lasciato dai francesi, sempre più ingenuamente “laici”, ha
lasciato infiniti spazi all’ortodossia russa nel Grande Medio
Oriente.
I cattolici e comunque i cristiani, in Siria, sono stati distrutti
nelle loro
case e nello loro città all’80%. É qui che si deve valutare davvero
l’ecumenismo e, soprattutto, la capacità di difendere la Fede.
E difendere il Credo, oggi, riguarda anche la tutela appassionata
della libertà di culto, della libertà dalla paura, sempre pessima
consigliera, e della libertà dalla volontà dei capi.
Basta con la subornazione dei poveri, basta con l’offesa ai
“piccoli”.
Sinite Parvulos …
Anche questo deve essere un punto di contatto tra il cardinale
Parolin e i suoi omologhi russi. Putin compreso.
Ecco, è qui, e non nella ormai barocca questione del Luoghi Santi,
che si risolve il nuovo rapporto, che speriamo efficacissimo, tra il
brillante card. Pietro Parolin e il Patriarca Kirill ma,
soprattutto, con Vladimir Vladimirovic Putin.
Ma torniamo alla Santa Teologia, che il card. Parolin conosce meglio
di me e di moltissimi altri.
Chi è santo? Semplice, nel Levitico, 17-26, “siate santi, perché Io,
il Signore, sono Santo”.
Gesù, nell’interpretare il Patto tra Dio e uomini, mette
semplicemente in luce quello che i Giudei credono senza pensarci: ma
è l’Incarnazione che rende efficace, anche nel senso giuridico, la
Legge (e qui ancora vi è una dissonanza con la teologia islamica.
Se solo potesse, oggi, realizzarsi un dialogo colto e sapiente tra
la teologia di Roma e quella ebraica!
Gran parte della politica giornaliera del Medio Oriente sarebbe
risolta in un attimo.
Il Figlio fatto carne crea nel credente un rapporto filiale, ovvero
realizza la “legge regale” (Gc 2,8) che è anche la “legge
perfetta della libertà” (Gc 1,25) ed è quindi proprio Gesù che
riempie, quasi alla lettera, lo spazio del futuro e, quindi, il
senso del presente.
E qui, in un contesto sapienziale ancora nuovo per le due Chiese,
Oriente e Occidente, vi sarà certamente spazio anche per un mondo
iniziatico e sapienziale che, finora, non ha saputo altro che
garantire il pluralismo, fine nobilissimo certo, ma che da oggi in
poi dovrà parlare in re, e non solo di regole profane e, appunto,
pluralistiche.
Grazie quindi al cardinale Parolin, che saprà certamente riempire di
ottima sostanza teologica, politica, strategica una relazione con il
Patriarcato di Mosca che potrebbe diventare il vero e unico processo
di pace in Siria e altrove in Medio Oriente.
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