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| "È sorprendente come il concetto di "lavoro" possa ricorrere tanto frequentemente nei rituali e nelle letture massoniche e, al tempo stesso, sia oggetto di tante controversie e incomprensioni. La questione, già a suo tempo sollevata da Guénon, non è di quelle che possano essere considerate d’accademia e riguarda, anzi, direttamente il percorso che l’apprendista è tenuto a compiere per trasformare la propria iniziazione da virtuale ad effettiva."... Così introduce il Professor Mariano Bizzarri dell'Università "la Sapienza" di Roma, questo suo lavoro di indagine sul significato di "Lavoro" nella Massoneria. Il documento rappresenta una opera della maestria dell'Autore. Il suo contenuto non riflette necessariamente la posizione della Loggia o del GOI. La pietra d'angolo è stata pubblicata su "Hiram" n.2 anno 1999. Ogni diritto è riconosciuto.
© Mariano Bizzarri Università "la Sapienza" di Roma
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È sorprendente come il concetto di "lavoro" possa ricorrere tanto frequentemente nei rituali e nelle letture massoniche e, al tempo stesso, sia oggetto di tante controversie e incomprensioni. La questione, già a suo tempo sollevata da Guénon, non è di quelle che possano essere considerate d’accademia e riguarda, anzi, direttamente il percorso che l’apprendista è tenuto a compiere per trasformare la propria iniziazione da virtuale ad effettiva. Il termine lavoro deriva dal latino labor, il cui significato evoca immediatamente i concetti di "pena", "sforzo", "fatica", ma anche "travaglio" e in origine sembra riguardasse principalmente lo sforzo volto a trarre "frutti", "opere", dalla terra (1), una determinazione che, prima ancora di essere colta nella sua accezione profana, evoca un’interpretazione esoterica (2). Il lavoro è essenzialmente "un’opera da fare" e "operaio", un sostantivo affermatosi soprattutto a partire dall’XI-XII secolo, è colui che è tenuto a "realizzare l’opera" (da opus, opera e operae, obbligazione, impegno da assolvere). Il concetto astratto di lavoro così come lo si intende attualmente è in realtà venutosi affermando solo in concomitanza con la rivoluzione industriale del XVIII secolo. È soltanto quando la produzione è diventata principalmente una produzione di merci che "allora l’astrazione della categoria ‘lavoro’ , ‘il lavoro in generale’, il lavoro sans phrase, che è il punto di partenza dell’economia moderna, diviene per la prima volta praticamente vera" (3). Questa è poi la ragione per la quale "nelle lingue dei popoli antichi o contemporanei, che non hanno spontaneamente sviluppato dei rapporti di produzione capitalistici, esistono raramente termini corrispondenti alle nostre nozioni astratte di lavoro o di lavorare" (4). È pertanto alquanto paradossale affermare, da un lato, il carattere storicamente relativo del concetto di lavoro e, dall’altro, utilizzare tale concetto per analizzare altre società, pretendendo di uniformare alla mentalità moderna il modo stesso di essere e di concepire l’attività lavorativa di culture e Tradizioni che, con quella moderna, hanno ben poco da spartire. In realtà, il concetto tradizionale di Lavoro presenta delle strette connessioni con il mondo del Sacro, come si rileva del resto dalla stessa analisi etimologica. "Mestiere" viene da ministerium – opera minore – e si contrappone a magisterium – opera maggiore –, dove in entrambi i casi il termine "opera" rinvia ad un procedimento "operativo", per l’appunto, che è comune "all’Arte" (dell’artista) e al "lavoro" (dell’artigiano). Per "opera d’arte" si intende, etimologicamente, "ciò che è compiuto in conformità dell’ordine", dove qui per ordine devono intendersi due significati complementari e affatto contrapposti. Per il primo di questi la "conformità" va rapportata alla natura propria di ciascun individuo, per cui si può affermare che "il lavoro non ha valore reale se non quando è conforme alla natura stessa dell’essere che lo compie, se non risulta in un certo qual modo spontaneo e necessario a tale natura, sì da essere il mezzo da questa impiegato per realizzarsi il più perfettamente possibile". Questa è la concezione che sottostà alla teoria dello swadharma degli indù e da cui prende le mosse l’elaborazione aristotelica del cosiddetto "atto proprio" a ciascuna natura. Come noto, le culture tradizionali individuano tre componenti fondamentali - denominati guna (6) in sanscrito – la cui prevalenza relativa in ciascun individuo ne determina il carattere sattwico, rajasico o, alternativamente, tamasico. Per ciascuno dei tre si definiscono tre "vie" o percorsi iniziatici propri, di cui la prima – lo Jnama-marga – si addice alle persone in cui predomina la tendenza ascendente di sattwa e che per le loro caratteristiche sono candidate a ricoprire le funzioni di brahmano, mentre le altre due - il Bhakti-marga e il Karma-marga – sono proprie a quelle persone che ricadono, secondo la ben nota definizione tripartita della società suggerita dal Dumezil, nelle classi dei guerrieri e degli artigiani (7). Molto significativamente alla prima di queste vie pertiene il dominio del Magisterium, e quindi la conoscenza e la realizzazione dei Misteri maggiori, che caratterizzano l’Arte Sacerdotale propriamente detta; mentre la conoscenza dei Misteri minori – il ministerium – rientra in quella che è l’Arte Regale, la via propria alle altre due classi. Le vie iniziatiche che trovano un supporto simbolico e rituale nell’esercizio di un mestiere – e il cui esempio più rimarchevole è propriamente quello della Libera Muratoria, sono vie essenzialmente karmiche. La pratica dell’Arte Regale, che è conforme alla natura prevalentemente rajasica di queste persone, deve qui intendersi comunque come "preparatoria" nei confronti di un ulteriore proseguimento che, indipendentemente dalle limitazioni esplicate dal proprio guna, deve sempre ritenersi possibile. La realizzazione di queste possibilità è appunto quanto viene indicato con il termine di opera minore (ministerium) e che ricade sotto il nome di Arte Regale. Questo è anche l’obiettivo preminente del Lavoro massonico, che trova un suo specifico momento di esaltazione nel grado di compagno. Nel rituale di iniziazione al secondo grado, in una Loggia dove molto significativamente l’Ara adorna di strumenti "operativi" (cazzuola, regolo, maglietto, scalpello, squadra) viene definita "Ara di Lavoro", possiamo infatti leggere come: "…Fratello, noi siamo innanzitutto dei lavoratori e nel vasto campo del pensiero, nel quale noi lavoriamo con i nostri mezzi e le nostre forze, il lavoratore spesso non raccoglie che sarcasmi e persecuzioni. ...Il lavoro è uno sforzo fatto dalle nostre braccia e dal nostro spirito per ottenere un risultato utile… il lavoro intellettuale … sviluppa tutte le nostre facoltà, ci rivela i segreti della natura…". Il testo bene sottolinea come si tratti qui di un "lavoro intellettuale", dove il termine fa riferimento ad una facoltà che né si esaurisce né si identifica con la categoria del mentale, ma che, come evidenzia il Devoto-Oli (8), fa appello ad una "attività dello spirito", una capacità gnoseologica promanante direttamente dall’intelletto puro, quello, per intenderci, capace di comprensione assoluta e trascendente. Questo è il lavoro che, come ricorda il rituale, è propriamente degno di essere glorificato: "FF:. miei, eleviamo i nostri cuori in un pensiero comune per glorificare il lavoro, che è la prima e la più alta virtù massonica. Lavoro! Dovere sacro dell’uomo libero, forza e concordia dei cuori generosi! …Sii glorificato, o lavoro, sii benedetto dai Figli della Vedova per tutto ciò che di buono ci darai nel futuro". Il verbo "glorificare" va qui inteso etimologicamente come "esaltare", "innalzare", e in effetti, il lavoro interiore del Massone è quello che gli consente di elevarsi, mutando, per così dire, il proprio stato, passando dalla "potenza all’atto" delle possibilità insite nella natura individuale. L’ordine di cui è questione fa infatti riferimento a quel processo, continuamente riattualizzato dall’operare dell’iniziato, che ha portato alla manifestazione cosmica a partire dal principio supremo. Il Guénon ricorda che "come è espresso nei libri indù noi dobbiamo costruire, come i deva fecero all’Inizio". Del resto, questo è uno dei significati dell’apertura del Libro sacro in corrispondenza del Prologo del Vangelo di S. Giovanni, dove le prime battute ricordano l’atto di manifestazione dell’Universo ad opera del Verbo. Il richiamo a questo simbolismo condiziona non solo il carattere necessariamente rituale dell’operare, ma sottolinea ulteriormente come si tratti per l’iniziato di riprodurre costantemente in Terra l’Ordine Cosmico (9). È questo, in fondo, il senso ultimo che spiega la presenza sull’Ara di due sfere: quella celeste e quella terrestre. Spetta al Massone divenuto Compagno concorrere alla costruzione di quel ponte che le unisce. E così, "quando l’architetto umano imita in tal modo l’operazione dell’Architetto divino, egli partecipa dell’opera stessa di questo in misura corrispondente e in una forma tanto più effettiva quanto più ha coscienza di questa cooperazione; e più egli realizza mediante il suo lavoro le virtualità della propria natura, più si accresce in pari tempo la sua somiglianza con l’Artigiano divino e più le sue opere (10) si integrano nell’armonia del Cosmo". Questo rapportare l’opera all’agire del GADU rende ragione del perché il lavoro possa essere "glorificato", cioè "trasformato, quando, invece di essere una semplice realtà profana, costituisce una collaborazione sacra ed effettiva alla realizzazione del piano del Grande Architetto dell’Universo". Perché possa essere tale, il lavoro del Massone deve tuttavia sottostare ad un’altra imprescindibile condizione, inerente la dimensione collettiva dell’azione rituale.
I testi integrali del Manoscritto Regius e del Manoscritto Cooke, sono consultabili nella sezione dedicata:
L’obbligo di cui è questione, lungi dall’adempiere ad una funzione meramente normativa e burocratica, sottolinea la peculiarità e insostituibilità che la dimensione "collettiva" del lavoro iniziatico assume in Massoneria e più in generale in tutte le iniziazioni di mestiere (12). Senza nulla togliere all’importanza - che resta decisiva - del lavoro personale di perfezionamento e di meditazione, non ci si stancherà mai dal rilevare come taluni riti e molti aspetti del lavoro massonico siano imprescindibili dalla presenza di un numero adeguato di Fratelli. Così la "comunicazione" di determinate parole e la stessa "iniziazione" a Maestro necessitano del concorso del Venerabile e dei due Sorveglianti (13), mentre l’iniziazione non può esserci se non alla presenza di almeno sette membri della Loggia (14). Va da sé, come ricorda il Guénon, che in altre forme iniziatiche, come quelle orientali, le cose stiano in tutt’altro modo e la trasmissione dell’influenza spirituale - che in se stessa, ricordiamolo, costituisce propriamente "l’iniziazione" - può benissimo essere operata semplicemente da Maestro a discepolo; ma è altresì evidente che "una tale differenza di modalità deve implicare conseguenze altrettanto diverse per tutto l’insieme dell’ulteriore lavoro iniziatico" (15). La collettività dei "Fratelli" svolge qui una funzione assimilabile a quella esercitata dal Guru della Tradizione indù e, come questo, agisce non tanto in quanto "egregoro", bensì perché rappresenta il supporto di un principio trascendente, "il quale solo le conferisce un carattere veramente iniziatico. Si tratta dunque di qualcosa che si può definire come una presenza spirituale… che agisce proprio nel corso e per mezzo del lavoro collettivo". La discesa di questa Šekinah è attestata dalla Qabalah e un’accenno ne viene fatto negli stessi Vangeli, quando il Cristo afferma che "dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro" (16). Questa considerazione colpisce in modo particolare se ci si ricorda che la Loggia è costruita a somiglianza del Tempio di Re Salomone e di come, nel Sancta Sanctorum di questi, venisse custodita l’Arca dell’Alleanza - la Šekinah - la "presenza effettiva" della divinità, la cui "discesa" è propiziata - lo rileviamo qui di sfuggita - dall’armonia delle proporzioni architettoniche realizzate nel templum (17) e dalla preliminare invocazione del "nome" cui fa allusione il passo evangelico. Come ricorda Guénon, infatti, "il lavoro di un’organizzazione iniziatica deve sempre essere compiuto "in nome" del principio spirituale da cui essa procede… ed è appunto un’emanazione diretta di questo a costituire quella "presenza" che ispira e guida il lavoro iniziatico collettivo, affinché questo possa produrre dei risultati effettivi nella misura delle capacità di ciascuno di quelli che vi prendono parte" (18).
1. Il termine labeur, affermatosi in Francia a partire dal 1120, designa soprattutto le attività agricole e laboureur è colui che coltiva la terra. 2. La "coltivazione della terra" evoca di per se stessa quel processo di "imitazione della natura nel suo modo di operare" che sottostà al concetto stesso di Arte, dove tale termine fa riferimento ad una operazione che si ispira alla "operatività" della Natura (qui da intendersi come Natura Naturans) e non già alle sue produzioni (che riguardano propriamente la Natura Naturata). 3. K. Marx, Einleitung zur Kritik der politischen Okonomie, in Il capitale, Einaudi, Torino, 1975, I, appendice. 4. Maurice Godelier, Lavoro, in Enciclopedia, Einaudi, 1979, VII, p. 33. 5. René Guénon, A propos de la glorification du travail, in Initiation et réalisation spirituelle, Ed. Traditionnelles, Paris, 1956. 6. I tre guna - sattwa, rajas e tamas - sono contenuti, allo stato indistinto, in Prakriti, la "sostanza" su cui si esercita l’influsso "non-agente" di Purusha, emanazione del Principio primo, ed esprimono, per così dire, le "qualità" determinanti il lato "sostanziale" del Principio stesso: sattwa è la qualità ascendente, rajas si riferisce all’aspetto propriamente espansivo (orizzontale), mentre tamas è la "natura" discendente. Ciascun individuo partecipa di tutte e tre le "qualità" anche se una sola di queste è quella che si afferma in modo distintivo e determinante. Per una più dettagliata esposizione di questo aspetto, che non è ovviamente possibile trattare in questa sede, si veda R. Guénon, L’Uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, Adelphi, Milano, 1981. 7. Questa tripartizione non è ovviamente senza rapporti con le tre tribù che dettero vita alla Tradizione Romana, ossia i Ramnensi, i Luceri e i Tiziensi. 8. G. Devoto e G.C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 1980. 9. A questo aspetto sacro dell’operare fa riferimento Ovidio quando ricorda come il lavoro dell’uomo, per conformarsi all’Ordine degli Inizi, prenda le sue mosse dal primo giorno dell’anno, sotto il patronato e gli auspici di Giano, il dio dell’iniziazione: "[Io Giano] consacrai l’inizio dell’anno alle diverse attività, affinché dall’auspicio non risultasse ozioso l’anno intero. Così ognuno trae vantaggio e piacere dal proprio mestiere" (Ovidio, Fasti, I, 166-169). 10. Questo riferimento alle "opere" intese come "cooperazione" consapevole ai disegni del GADU spiega il senso della contraddizione, che è solo apparente, che sussiste in S. Paolo quando parla della "salvezza" che si ottiene per la fede e/o per le "opere". Il termine "opere" impiegato da San Paolo, ma ricorrente anche nella tradizione islamica e indù, si riferisce propriamente ad un "lavoro" di carattere esoterico (cfr. nota 25 in M. Bizzarri, Il Dialogo tra le genti del Libro alla luce del simbolismo apocalittico, in "Arkete", n. 1, 1999, pp. 65-84). 11. Si vedano al riguardo gli Statuti Generali del Rito Scozzese del 1820 (che prevedono la comminazione di ammende pecuniarie e la radiazione per più di tre assenze consecutive non motivate; cfr. Titolo V, art. 437-443) e il Regolamento del Grande Oriente d’Italia (art. 202, punto d). 12. Qualcosa di molto simile può essere rintracciato, per analogia, nelle scuole nipponiche di Shugendo (monaci-guerrieri), dove il Maestro - sensei - viene coadiuvato da "sorveglianti" anziani (senpai) nell’istruzione dei giovani discepoli (koai). 13. Questa considerazione solleva inevitabilmente dei dubbi circa la legittimità delle iniziazioni a Maestro decretate per motu proprio e conferite per semplice comunicazione. 14. Nella Carta di Colonia (1535) si legge come "è reputato Fratello della Società di San Giovanni o Frammassone soltanto colui che, legittimamente iniziato ai nostri misteri da un Maestro eletto aiutato almeno da sette Fratelli, può attestare il proprio ricevimento coi segni e con le parole di cui si servono gli altri Fratelli" (in E. Bonvicini, Massoneria Antica, Atanòr, Roma, 1989, p. 180). 15. R. Guénon, Lavoro collettivo e presenza spirituale, in Iniziazione e Realizzazione Spirituale, Arktos, Torino, 1979, p. 191. 16. Matteo, 18, 20. 17. L’armonia cui si fa riferimento non riguarda le proporzioni numeriche della struttura architettonica, o perlomeno non concerne solo quelle, ma fa riferimento alla congruenza delle "linee di forza" che vengono a stabilirsi tra i membri dell’officina e in particolare tra coloro che sono chiamati a realizzare, concretamente, il "delta massonico" e cioè il Venerabile, il I e il II Sorvegliante. 18. R. Guénon, Lavoro collettivo e presenza spirituale, in Iniziazione e Realizzazione Spirituale, op. cit., p. 197. _______________________________________
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