"Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita"
Con tale allegorica rappresentazione del proprio travaglio interiore Dante Alighieri apre il velario sulla "Comedia" che, al di là delle innumerevoli e dotte interpretazioni di tanti studiosi, costituisce una tra le più penetranti opere di contenuto esoterico della letteratura mondiale. Dalla esegesi del suo monumentale poema, ove condotta con appropriata metodica, è possibile convincersi che il grande fiorentino, oltre che profondo uomo di cultura, fu anche un iniziato, probabilmente non nel senso di colui che ricevette la luce nel corso di una solenne cerimonia rituale, ma sicuramente nel senso di colui che riuscì ad intuire la necessità di compiere su se stesso quell'incessante opera di purificazione che, sola, avrebbe potuto condurlo a liberarsi dalle scorie della propria condizione umana per avvicinarsi ai divino.
Dai più la "selva oscura", nella quale il Poeta narra essersi trovato in età matura, viene ricollegata allo stato di traviamento, di disordine morale in cui Dante e, in generale, l'Umanità versavano, ma, ad una miglior riflessione, non pare ci si possa nascondere un più sottile messaggio iniziatico scaturente dal simbolismo della "selva" o del "bosco".
Da quando l'Uomo ha popolato questo pianeta, il bosco ha rappresentato per lui un luogo amico dove ha trovato rifugio e nutrimento e nel quale ha tracciato vie di comunicazione. Esso é un centro di vita, una riserva di frescura, d'acqua e di calore ad un tempo, come una sorta di matrice e, in tal senso, è un simbolo materno, la fonte della rigenerazione assicurata dal ciclo continuo della riproduzione arborea. Sicché Dante ha bisogno di qualificare la selva non solo "oscura" ma anche "selvaggia" ed "aspra e forte" per indicarne il senso promanante di indomabile paura che gli "aveva il cor compunto". Ecco dunque avviarsi il cammino del Poeta alla ricerca di se stesso, avviluppato nei rovi e negli inciampi della profanità, simboleggiata dalla selva nella quale non riusciva più ad orientarsi senza l'aiuto della ragione perché offuscata dal pregiudizio intollerante e dagli innumerevoli vizi. É allora necessario che l'iniziando si sottoponga alle tradizionali quattro prove di purificazione. Come é noto, gli antichi culti prevedevano che il candidato fosse dapprima rinchiuso in una grotta o caverna nel ventre della terra, poi attraversasse a nuoto rivi impetuosi o fosse immerso in vasche d'acqua gelida, quindi esposto all'aria turbinante dall'alto di rupi quasi inaccessibili, infine dovesse dimostrare di sapere passare indenne attraverso le fiamme. Erano le prove iniziatiche della terra, dell'aria, dell'acqua e dei fuoco, vale a dire dei quattro elementi fondamentali che si ritrovano presenti nell'albero (definito da Mircea Elide il "Cosmo Vivente") poiché l'acqua circola nella sua linfa, la terra s'integra nel suo corpo attraverso le radici, l'aria nutre le sue foglie e il fuoco si sprigiona dallo sfregamento dei suoi rami.
E Dante, condotto da quel Virgilio che egli aveva eletto a proprio "Maestro" e che, a lui, preda tremebonda delle tenebre, aveva suggerito per l'appunto: "A te convien tenere altro viaggio", si accinge con animo via via sempre più rinfrancato a sostenere i quattro viaggi che si svolgeranno, in una ricorrenza altamente indicativa di numeri dal profondo significato esoterico (ad esempio, tre le cantiche strutturate su terzine e composte di trentatre canti ciascuna, nove i cerchi dell'Inferno così come i cieli e i cori angelici del Paradiso mentre sette sono i gironi del Purgatorio), attraverso l'immensa caverna dell'Inferno (prova della terra), il passaggio purificatore dei fiume Lete (prova dell'acqua), l'ascensione del monte del Purgatorio (prova dell'aria) e, infine, l'approdo nella luce abbagliante, quasi color bianco del Paradiso (prova del fuoco), dove la ragione ormai pura, simboleggiata da Beatrice, lo metterà in condizione di dedicarsi al proprio ulteriore perfezionamento nella consapevolezza che tutto ne nasce e a tutto riconduce quel!"'Amor che move 'l sole e l'altre stelle".
Ad una medesima, ancorché meno marcata simbologia della selva e, più in generale, all'essenza lignea si é ispirato, come è noto, alcuni secoli più tardi, uno dei più grandi se non il massimo musicista di tutti i tempi, Wolfgang Amadeus Mozart, del quale quest'anno celebriamo il bicentenario della morte. Nell'opera "Il Flauto Magico", composta nel 1791, la più densa di contenuti esoterici, appartenendo egli fin dal 14 dicembre 1784 alla Loggia massonica "Zur Wohitatigkeit" (Alla beneficenza) di Vienna, il sublime salisburghese, all'inizio del primo atto, pone lo spettatore di fronte al dramma del principe Tamino che, nel folto di una selva, si imbatte in un serpente dal quale non può difendersi essendo munito solo di un arco ma senza frecce, così che, per l'irrefrenabile spavento, egli sviene ma è salvato da tre dame velate che uccidono il serpente e, successivamente, come abili messaggere di Astrifiammante, regina della Notte, madre di Pamina, custodita dal Sommo sacerdote Sarastro, fanno dono a Tamino del ligneo flauto magico suonando il quale egli dovrebbe liberare Pamina.
Come é noto, nel corso del primo atto, a Tamino si unisce Papageno nel tentativo di sottrarre Pamina a Sarastro, ingiustamente calunniato da Astrifiammante, ma il sommo Sacerdote, nella sua saggezza, si rende conto dell'inganno teso a Tamino, ed ordina che questi e Papageno siano sottoposti alle prove iniziatiche.
Il secondo atto mostra i due iniziandi in un boschetto di palme dove rimarranno un'intera notte oscura e resa cupa da rombi di tuono mentre Sarastro ed i sacerdoti si preparano a riceverli nel Tempio.
Il libretto dello "Zauberflóte", ancorché autore ne sia stato Emanuele Schikaneder, membro della stessa Loggia cui apparteneva Mozart, in particolare per gli aspetti del rituale massonico, dovette quasi sicuramente, essere il risultato di una collaborazione più ampia di altri Fratelli specialmente di quel Ignaz von Born, Maestro Venerabile e uomo e scienziato di non comune personalità, che certamente fu preso a modelo del personaggio di Sarastro.
Ma lo stesso Mozart, entusiasta ricercatore tra i misteri dell'antico Egitto, di una religione dell'umanità in sintonia con l'era dell'Illuminismo, non si limitò a mettere in musica il libretto, ma lo trasformò in maniera profonda così che l'opera, come dice il Mittner (il Flauto Magico, Rizzoli, Milano 1975) rappresenta "il dramma dell'Iniziazione massonica trasferito in una fiaba orientale".
A simili Autori non potevano quindi non essere presenti le innumerevoli simbologie connesse e sottese a luoghi e personaggi anche alla luce delle conoscenze di quei tempi. Così il serpente incontrato nella selva e dal quale Tamino ritiene doversi difendere, lungi dal simboleggiare un pericolo, è in fondo l'Anima cosmica, il principio della vita (secondo René Guenon "il simbolismo del serpente è effettivamente legato all'idea stessa della vita; in arabo, il serpente é el-hayyah e la via el-hayat", ma è fondamentale rilevare che El-Hay, uno dei principali nomi divini, va tradotto non come il vivente, ma come il vivificante e cioè come il principio stesso della vita).
Ed é significativo che il serpente si trovi nella selva che, presso gli Antichi, era consacrata alle divinità come dimora misteriosa del Dio e che, come sopra osservavamo, assume un forte simbolismo di immensa ed inesauribile riserva di vita e di conoscenza misteriosa.
Ma Tamino é un profano immerso nell'oscurità e nella putrescenza dei pregiudizi e dell'ignoranza, così che ha terrore del serpente fino a svenire e non riesce a trarre riparo e conforto dalla selva non riconosciuta come amica. Inoltre, al risveglio, sempre più ottenebrato dalla scomparsa del serpente, ucciso dalle Tre Dame velate, inviate da Astrifiammante non tanto per soccorrerlo quanto per asservirlo ai disegni di vendetta della Regina della Notte verso Sarastro, il giovane principe presta credulo orecchio alla lacrimevole storia del rapimento di Pamina alla tenera madre da parte del lascivo sacerdote e, infiammatosi di subitaneo amore alla vista del ritratto della fanciulla mostratogli dalle Tre Dame, si avvia a ricercarla insieme a Papageno e armato del flauto inviatogli astutamente da Astifiammante.
Può apparire contraddittorio che gli Autori dello "Zauberflote" abbiano incentrato l'opera sul magico strumento magistralmente suonato a prima vista da Tamino che lo ritiene dono della Regina della Notte e cioé di colei che simboleggia le tenebre dell'ignoranza, della cattiveria, della bruttura, del vizio che avviluppano il profano e gli vietano di accostarsi alla luce della propria rigenerazione. Il flauto, inventato, secondo la leggenda, da Pan è suonato per la delizia degli dei, delle ninfe, degli uomini, degli animali, evoca la voce degli angeli. Narra l'arabo Rûmi nel Mathnavi che il profeta Maometto aveva rivelato ai proprio genero Ali alcuni segreti vietandogli di comunicarti a chicchessia. Per quaranta giorni Ali si sforzò di mantenere il silenzio, ma poi si recò nel deserto e chinata la testa su un anfratto, si mise a raccontare quelle verità esoteriche. Nel culmine dell'estasi, la saliva gli cadde nell'anfratto da dove, poco dopo sbocciò un roseto dal quale un pastore staccò un ramo, vi praticò dei fori e si mise a suonarvi all'eremita. Le melodie che ne scaturirono incantarono moltitudini e gli stessi cammelli facevano cerchio introno a lui per ascoltarlo.
Il Profeta volle allora conoscere il pastore e lo pregò di suonare il suo flauto. Tutti entrarono in estasi. Il Profeta allora disse: "queste melodie esprimono il suono dei misteri che ho comunicato ad Ali in segreto. E così, puro di spirito che smarrisca la propria purezza non potrà comprendere i segreti nella melodia del flauto, né godere, poiché la fede tutta intera é piacere e passione".
Il flauto pervenuto a Tamino rappresenta l'assoluta perfezione in quanto racchiude in sé i quattro elementi fondamentali. Il primo é l'aria, costituita dal soffio che l'uomo vi immette per trarne suoni. L'acqua, la terra e il fuoco vi sono racchiusi perché esso é stato scolpito dal tronco di una quercia millenaria le cui radici sono ben profonde nella terra, in una notte di tempesta, tra lo scrosciare di pioggia, il rombo di tuono e bagliori di fulmini.
Si tratta di uno strumento perfetto perché idoneo a far compiere a Tamino una missione di pace con la sola sublime forza della musica e dell'amore e, perciò, non poteva provenire da Astrifiammante, simbolo delle tenebre e della malvagità, ma, come nel secondo atto Pamina rivela a Tamino, era stato scolpito con l'arte magica del defunto Re padre di Pamina e, usurpato poi dalla moglie, era stato da questa invito all'ignaro Tamino perché lo usasse contro Sarastro.
Non vi é quindi contraddizione alcuna nell'azione scenica e nella simbologia del flauto.
Altra essenza lignea nel capolavoro mozartiano é dato ritrovare all'inizio del secondo atto che si apre con i due protagonisti Tamino e Papageno lasciati in un bosco di palme dove rimangono una notte assaliti dalla paura del buoi e dei tuoni mentre Sarastro e i sacerdoti si preparano a riceverli nel Tempio per sottoporli alle prove di iniziazione.
A parte la ormai nota simbologia della vita che si rinnova e si rigenera, legata al bosco, qui il tipo di alberi, le palme, universalmente considerate simbolo di vittoria, di ascensione, di immortalità, indica la certezza che, dopo la morte alla vita profana, l'iniziato comincerà a vivere nella luce intramontabile della verità e della conoscenza.
Ma di tale significato i due iniziandi non possono ancora rendersi conto poiché sono profani e, quindi, preda delle paure del buoi e del tuono (ignoranza, superstizione). E perciò Sarastro e i sacerdoti li hanno lasciati nel bosco a meditare, cioè a maturare la loro decisione di chiedere l'iniziazione, così come in Massoneria si opera nei confronti del profano che domandi di essere ammesso nell'istituzione. Nel c.d. gabinetto di riflessione, il postulante, spogliato dei metalli che lo legano negativamente al mondo profano, é anche chiamato a vergare a lume di candela il proprio testamento spirituale su supporto cartaceo (ancora una volta, attraverso la cellulosa, ritorna l'essenza lignea), destinato poi ad essere incenerito; quindi, ove, dopo meditata riflessione, egli insista per l'iniziazione, l'aspirante é condotto alle porte del Tempio avendo ormai già compiuto nel buio del gabinetto di riflessione (equivalente dell'antico isolamento in una caverna nel ventre della Terra) la prima delle quattro prove tradizionali dell'iniziando, il viaggio attraverso la Terra.
Così avviene per Tamino e Papageno e vale la pena qui, prima di allontanarci dall'atmosfera incantata dello Zauberflote, rilevare l'estrema semplicità e, ad un tempo, solennità con cui Mozart e Schikaneder pongono l'accento sui valori umani piuttosto che al censo. Infatti, alla domanda dell'Oratore: "Grande Sarastro, Tamino potrà superare le dure prove che l'attendono? Pensaci: Egli é Principe!". Sarastro risponde stupendamente: "É di più: é un uomo!". (v. P. C. Goretti – Il Messaggio Iniziatico di W.A. Mozart. Ed. Periccioli Siena 1980).
E solo al vero Uomo la Massoneria universale si rivolge. L'attuale Costituzione del Grande Oriente d'Italia, che rappresenta la sola fonte legittima di autorità massonica nel territorio italiano e nei confronti delle Comunioni Massoniche estere, all'art. 1 così recita: "La Massoneria é un Ordine universale iniziatici di carattere tradizionale e simbolico. Intende al perfezionamento ed alla elevazione dell'Uomo e dell'Umana Famiglia. Coloro che vi appartengono si chiamano Liberi Muratori e si riuniscono in Comunioni Nazionali".
La comunione Massonica Italiana é indipendente e sovrana ed opera nel rispetto delle leggi dello Stato ed ha il nome storico di Grande Oriente d'Italia.
Dopo la costituzione a Londra nel 1717 della Gran Loggia Madre d'Inghilterra, che raccolse, accanto ai massoni cosiddetti operativi più legati alle origini corporative libero-muratorie risalenti come tradizioni, insegnamenti e metodi ai costruttori di cattedrali, ai maestri comacini, agli scalpellini, e, più indietro, ai collegia fabrorum, anche i massoni cosiddetti speculativi che si ispiravano, attraverso un filone filosofico-culturale-cavalleresco, alla tradizione iniziatica mediterranea e del contiguo Oriente, si senti la necessità di elaborare una serie di principi ai quali tutti i Massoni dovessero adeguarsi sotto ogni latitudine affinché essi si potessero riconoscere in una Obbedienza regolare.
Sicché nel 1723 il rev. James Anderson redasse tali principi che, da allora, furono chiamati "Old charges" (Antichi doveri) oggi universalmente accettati e osservati da tutte le Massonerie regolari del mondo.
In forza di tali Doveri "un Libero Muratore è tenuto ad obbedire alla legge morale e ad essere di quella religione nella quale tutti gli uomini convengono, lasciando ad essi le loro particolari opinioni; ossia, essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore e di onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possono distinguere; per cui la Muratoria diviene il Centro di Unione e il mezzo per conciliare sincere amicizie fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti".
Agli Antichi Doveri debbono ispirare la propria condotta anche i Liberi Muratori delta Comunione Italiana, i quali, inoltre, sono tenuti reciprocamente alla ricerca esoterica, all'approfondimento iniziatico ed alla proiezione dei valori muratori nel modo profano.
Infatti il Libero Muratore rifiuta il dogmatismo e non accetta limitazioni alla ricerca della verità. Segue l'esoterismo ed il simbolismo; apprende l'uso dei tradizionali strumenti muratori, esalta il Lavoro, la Tolleranza e la Virtù; opera effettivamente alla propria elevazione morale, intellettuale e spirituale e per unire gli Uomini nella pratica di una Morale universale senza alcuna distinzione di origine, razza, credenze o condizioni sociali. (art. 9 Cost.)
L'universalità massonica, che trae le proprie radici da un mondo culturale antichissimo, talora vecchio quanto l'Uomo stesso, da sempre affascinato dal trascendente e dal mistero della nascita e della morte, comporta l'adozione sotto tutte le latitudini di simboli e strumenti di lavoro pressoché identici pur se talvolta variano i rituali operativi delle varie cerimonie.
Infatti la Massoneria speculativa ha fatto proprie, in maniera simbolica, le istanze fondamentali delle Grandi Scuole Iniziatiche tradizionali. Ciò significa offrire a uomini, già maestri di vita, liberi e di buoni costumi, l'opportunità di compiere liberamente un lavoro interiore volto alla conoscenza e alla trasmutazione, alla propria trasfigurazione.
Non sarà a questo punto inopportuno riportarci all'origine storico-filosofica del concetto di simbolo. In greco antico il termine "symbolon" si collega al verbo "symbàllein" che significa "mettere insieme", "unire". Di qui una prima accezione di simbolo come di concetto che racchiude dapprima in forma palese a chi ne sia l'autore e poi sempre più ermetico per tutti coloro che nel tempo e nello spazio siano lontani dal suo processo formativo.
In origine, si chiamava simbolo (in Roma, "Tessera hospitalis") un oggetto che indicava il legame di ospitalità tra famiglie o città, spezzato in più parti, ciascuna delle quali rimaneva ad uno dei contraenti il legame, e che, nel loro combaciare, valevano come segno di riconoscimento. Ecco di nuovo il concetto di unione che ritorna in maniera plastica a significare la solidarietà tra tutti coloro che fossero legati da un vincolo inizialmente di ospitalità, ma via via più ampio fino a ricomprendere un credo, una filosofia, una scienza, una conoscenza.
Non staremo qui ad addentrarci nelle moderne accezioni del simbolo (se occultamento e maschera o produzione spirituale), ma pensiamo di concordare con Paul Ricoerur il quale ritiene che il simbolo contenga più di quanto non dica esplicitamente. Ed è alla scoperta di questo "di più", peculiare trascendenza del simbolismo rispetto a coloro che lo interpretano, che deve essere votata la ricerca interiore del Massone non limitata ad un'interpretazione filologica, filosofica, religiosa, sociologica, storica, ambientale, ma approfondita lungo una via esoterica.
Per tornare all'essenza lignea nella simbologia libero-muratoria converrà osservare che la prima fonte di sopravvivenza dell'uomo primitivo fu il bosco dal cui legno poi egli trasse il materiale per costruire le capanne e, quindi, le case e i templi da dedicare alle divinità. Sicché il mestiere di carpentiere, in generale, può datarsi come anteriore a quello di muratore e tagliatore di pietra, connesso questo ad una civiltà più stabile ed evoluta. L'India offre un sicuro esempio di tale avvicendamento di mestieri ed é, infatti, sintomatico che, nei più antichi testi, come riferisce René Guénon (Studi sulla Massoneria, Ed. Basaia, Roma 1983), tutti i paragoni che si riportano al simbolismo costruttivo sono sempre riferiti al carpentiere, ai suoi utensili, al suo lavoro. Vishwakàrma, il "Grande Architetto" stesso, é indicato anche con il nome di Twashtri, che è letteralmente "Il Carpentiere". D'altra parte, il ruolo dell'architetto (o Sthapati, in origine "maestro carpentiere"), ispirato allo stesso archetipo di chi sia maestro nella costruzione sia di un tempio o di una casa, sia di un carro o di una nave, é in origine legato all'uso del legno che, in greco, originariamente, veniva designato con la parola "hylé", la stessa che serve a denominare il principio sostanziale o la materia prima del Cosmo e anche, per via di un'applicazione derivata da quest'ultima, qualunque materia seconda.
Ma il legno, per essere usato nella costruzione del Tempio, va tagliato da un Maestro con strumenti idonei e seguendo regole collaudate.
Ed ecco ancora il mondo vegetale riapparire solennemente; secondo Marrone, il bosco o "Iucus" così si chiama " a non lucendo" perché non vi penetra la "lux", la luce nascosta dalle cime degli alberi. Ove questi si interrompono per una radura o per un taglio, la luce si manifesta rassicurante.
Ma la parola taglio ha la radice nei verbo latino "tèmno" = taglio, che è alla base anche di un "templum", del Tempio ove si ricerca la luce e che, anche nella simbologia massonica, ha per volta l'infinito cielo stellato così come la radura nel bosco. Ed alla identità dimensionale spazio-temporale, dimostrata scientificamente da Einstein, si ritorna sol che si consideri che il Tempio e Tempo hanno la stessa radice etimologica ed amplitudine concettuale e si riconnettono alla materia prima, al legno di cui é fatto il Cosmo.
Orbene, il legno ad opera dei carpentieri e, più tardi, la pietra ad opera degli scalpellini, dei tagliatori e dei muratori subiscono un processo di lavorazione che conduca a realizzare opere perfette e utili: la materia usata viene perciò coltivata e trasformata. Nei linguaggio massonico, poiché è l'Uomo la materia su cui occorre lavorare per migliorarla, tale processo é definito "sgrossare la pietra grezza fino a levigarla per renderla idonea alla costruzione del Tempio ideale". É sostanzialmente un'incessante e inesauribile ricerca culturale.
Ma veniamo ora al Tempio ove i liberi Muratori operano.
Riferisce il Boucher (Simbologia Massonica, Ed. Atanor, Roma) che l'ubicazione del Tempio (il cui sinonimo era "fanum" = sacro, da cui "profanum" = fuori dal sacro) era determinata dagli auguri, mentre la consacrazione spettava ai pontefici. Più propriamente si chiamava "Templum" la parte di cielo determinata dai bastone degli auguri, nella quale costoro osservavano il volo degli uccelli. Da ciò i termini derivati come "contemplare" per "guardare con attenzione e ammirazione".
Il Tempio massonico, luogo sacro alle iniziazioni ed agli altri lavori rituali, è orientato da ovest ad est, luogo ove siede il maestro venerabile sul quale risplende e dal quale si irradia la luce che viene dall'Oriente e che illumina di saggezza i Fratelli. Mozart ne descrive mirabilmente la figura nel personaggio di Sarastro.
Uno degli schemi interpretativi della tradizione considera l'Uomo nella sua Triplice costituzione energetica: fisica (legata al corpo, alla forza vitale, alla razionalità, alla capacità di sperimentazione e di padroneggiare il proprio essere e la realtà circostante), animica (legata ai cinque sensi, ai sentimenti, alle emozioni, alla psiche, alla fantasia, all'immaginazione), spirituale (legata all'intelletto, alla capacità mentale di astrazione e di sintesi, all'intuizione). Anche il lavoro muratorio si svolge, in ognuno dei tre gradi nei quali la Massoneria si distingue, sui tre livelli: fisico, animico e spirituale poiché nel grado di Apprendista si focalizza e realizza lo stato di coscienza specifico del piano fisico con preponderanza dell'elemento Fuoco, nel grado di Compagno d'Arte quello del piano animico con preponderanza dell'elemento Acqua e nel grado di Maestro quello del piano spirituale con preponderanza dell'elemento Aria.
In relazione a tali diverse fasi di lavorazione della pietra simbolica la ritualistica libero-moratoria prevede l'uso di determinati strumenti ed il richiamo a simboli o tradizioni sintetizzati sul c.d. quadro di Loggia che deve sempre corrispondere al grado in cui vengono svolti i lavori.
Nel quadro di Apprendista sono sintetizzate anche le caratteristiche del Tempio del Re Salomone al quale idealmente si collega ogni Tempio massonico. Salomone in ebraico significa uomo pacifico; sicché il tempio di Salomone è quello della pace profonda verso la quale tendono tutti i Massoni sinceri (pietre di tale Tempio) che guardano con distacco l'agitazione del mondo profano. Secondo la descrizione che la Bibbia ne fa nel cap. VI del I Libro dei Re, il Tempio di Salomone fu costruito con pietre squadrate con sporgenze dove appoggiare le travi e le assi di legno di cedro che poi coprirono la casa la quale risultò anche rivestita dello stesso legno all'interno delle pareti fino alla travatura dei tetto coperto di oro. Invece il pavimento della casa e lo spazio riservato al santuario fu rivestito di legno di cipresso.
Siamo qui in presenza di tre simboli: la pietra che significa stabilità, il legno vitalità, l'oro spiritualità perfetta e inalterabile. Quanto al cedro, la cui varietà più conosciuta é quella del Libano, é non solo l'emblema della grandezza, della nobiltà, delta forza, della perennità, ma, soprattutto, dell'incorruttibilità.
Il cipresso, albero sacro presso parecchi popoli, é simbolo della vita e dell'immortalità oltre che della purezza.
Ma nel quadro di Loggia in grado di Apprendista troviamo anche due colonne ed ancora una volta la Bibbia narra che Hiram, figlio di una vedova della tribù di Neftali di Tiro, architetto ed esperto anche nella lavorazione del rame, fu chiamato da re Salomone per costruire due colonne di rame da anteporre all'ingresso del Tempio. Esse furono completate in cima l'una con un capitello ornato di melagrane e l'altre con un capitello ornato di gigli. Quella di destra fu chiamata Jachin (in ebraico = egli stabilirà), quella di sinistra fu chiamata Booz (in ebraico = nella forza).
Nella simbologia massonica Jachin rappresenta l'elemento maschile, attivo ed è colorata in rosso, Boaz l'elemento femminile, passivo ed é colorata in bianco e nero. Quanto alle melagrane poste sul capitello di una colonna, secondo il Boucher (op. cit.), nei grandi essoterismi religiosi antichi della Babilonia e della Grecia, passando per la Siria e i suoi culti femminili (culti lunari di provenienza indiscutibilmente indiana e Tantrica) si tramanda che il frutto dato da Eva ad Adamo e da Venere a Paride non sia stata una mela ma una melagrana che, per la gran quantità di chicchi contenuti, è stata eletta nel simbolismo popolare a rappresentante della fecondità, della generazione, delta ricchezza; sicché nella forma della melagrana aperta vedevano quella della vulva. In Massoneria i chicchi della melagrana, immersi in una polpa trasparente, simboleggiano i Massoni uniti tra loro da un comune ideale. Poiché la scorza della radice dei melograno è tossica, la melagrana mostra ancora i Massoni usciti da un mondo essenzialmente malvagio ed elevatisti ad uno stato di perfezione.
Quanto ai gigli sovrapposti all'altra colonna, il Boucher ritiene non potesse trattarsi del giglio nostrano europeo che é bianco ma di quello rosso di cui si parla nel Cantico dei Cantici ove si paragona la bocca della Beneamata a questa pianta e le cui labbra debbono essere evidentemente rosse.
Sicché il vegetale designato come giglio é in realtà l'anemone (legato anche alla leggenda del tenero e tragico amore di Venere e Adone mirabilmente narrata da Ovidio nelle Metamorfosi), che, per la sua eterea leggerezza e vivezza di colore puro, può benissimo simboleggiare l'animo dei Massoni aperto alle influenze spirituali. Ma, a causa della forma del ben noto giglio bianco nostrano, si può pensare ad un tempo ad un simbolismo fallico e, dall'altro, alla purezza ed alla verginità di chi si appresta ad elevarsi dalle brutture terrestri.
Nel quadro di Loggia, come si diceva dianzi, sono raffigurati anche gli strumenti occorrenti per il lavoro iniziatico e basilari sono il maglietto o martello, la squadra, il compasso, la livella che possono ricollegarsi più propriamente alle antiche corporazioni dei carpentieri, laddove lo scalpello, la leva e la cazzuola furono indubbiamente introdotti dai muratori e tagliatori di pietre.
Per rimanere in argomento, ci soffermeremo sul simbolismo degli strumenti che posseggono anche essenza lignea.
Il Maglietto, simbolo della Volontà, deve essere di bosso, legno scelto per la durezza che è simbolo della fermezza e della perseveranza della volontà dell'Apprendista di dominare la materia ma non direttamente, sibbene attraverso la Ragione, simboleggiata dallo Scalpello che va continuamente adoperato per sgrossare la pietra grezza. Il Maglietto é anche il simbolo della autorità riconosciuta al Maestro Venerabile ed ai due Sorveglianti, che dirigono i lavori della Loggia scandendone i ritmi con armoniche percussioni su piastre lignee triangolari di differente spessore ed essenza che danno differenti suoni: essi si avvalgono della collaborazione del Maestro delle Cerimonie dotato di un'asta lignea di 142 cm anch'essa in bosso così come le verghe di 72 cm affidate ai due Diaconi.
Altro strumento fondamentale è rappresentato dalla Squadra, ma per essa, così come per gli altri di cui parleremo, la ritualistica massonica non prescrive particolare essenza lignea. Essa, come punto d'incontro tra il filo a piombo e la livella, rappresenta l'equilibrio che deve ispirare la condotta del Massone; ad un tempo simboleggia la materia da rettificare e da ordinare ed é quindi passiva. La Squadra massonica ha i bracci disuguali in rapporto di tre a quattro per ricollegarsi al teorema di Pitagora e richiamare la dimostrazione che il lavoro per giungere al perfezionamento si può compiere solo attraverso la scienza muratoria.
Il compasso invece é perfettamente il simbolo dello spirito attivo che domina la materia. Esso è certamente uno dei più antichi strumenti inventati dall'uomo quando ebbe acquisita la nozione dei cerchio: non solo serve a tracciare cerchi, ma pure a prendere e a riportare misure. Dice il Ragon (Rituel du Grande de Compagnon, 1860, p. 21), "intellettualmente il compasso é l'immagine del pensiero lei diversi cerchi che percorre; le divaricazioni delle sue aste figurano i diversi modi del ragionamento che, secondo le circostanze, devono essere abbondanti e larghi eppure precisi o serrati, ma sempre chiari e persuasivi". Il Wirth (Les Mystères de l'Art Royal 1932, p. 172) scrive: "Il Compasso dà la sensazione di un infinito-tempo limitato nello spazio: é il simbolo del relativo". Al Massone esso indica la possibilità di accrescere l'apertura della propria mente nella conoscenza di se stesso e dell'Universo.
Il regolo, anch'esso di legno, può essere semplice e graduato (in 24 sezioni con riferimento alle 24 ore che debono essere sempre impiegate convenientemente). Simboleggia la rettitudine, il metodo, la legge. Il Dio egiziano Phtah ha in mano un Regolo col quale misura la crescita del Nilo. Insieme col Compasso permette di tracciare tutte le figure della geometria. Essendo una retta senza inizio né fine, esso é anche simbolo dell'infinito, ma soprattutto delta moralità, della misura e del dovere da cui il Massone non deve mai allontanarsi.
La Perpendicolare è un filo a piombo al centro di un arco anch'esso ligneo; ha una valenza attiva perché dà la direzione del centro della Terra; così é simbolo della profondità della conoscenza, dell'equilibrio perfetto e della rettitudine, previene ogni deviazione obliqua perché bisogna avere indipendenza di giudizio.
La Livella è un triangolo, con un angolo di 90 gradi e bracci di uguale lunghezza, alla cui sommità é attaccato un filo a piombo che pende su una barra graduata (archipendolo). Ha una valenza passiva e simboleggia la bellezza dell'immaginazione, l'uguaglianza, l'equanimità della conoscenza riferita al piano terrestre, base solida sulla quale il Massone deve lavorare per la propria elevazione spirituale.
Nel quadro di Loggia della Camera di Maestro compaiono una bara e un ramo di acacia che simboleggiano il momento più drammatico del processo escatologico dell'iniziazione e che si connette alla leggenda di Hiram. Si tramanda infatti che tre Compagni, impazienti di conseguire anzitempo il grado di Maestro, assalirono l'uno dopo l'altro il Maestro Architetto Hiram, costruttore del Tempio di re Salomone mentre egli ne ispezionava i lavori e, presso le tre porte, gli chiesero minacciosamente la parola di Maestro, ma egli la rifiutò venendo perciò dapprima ferito alla gola con un regolo, poi al petto con una squadra e, infine, colpito a morte alla fronte con un martello. I Tre Compagni, constatata l'inutilità del loro stupido assassinio, sotterrarono il corpo di Hiram nei pressi di un bosco piantando sulla tomba un ramo di acacia. Scoperta la scomparsa di Hiram, i Maestri intenti alla costruzione del Tempio ne intuirono la fine violenta ad opera dei Tre Compagni indegni e si posero all'affannosa ricerca delle sue spoglie che rinvennero solo grazia all'acacia che le aveva vegliate e indicate. Tre Maestri furono così in grado di far risorgere Hiram a nuova vita risuscitandolo sul piano divino.
La bara raffigurata nel quadro di Loggia, essendo di legno, ha un significato fin troppo evidente di ritorno dell'anima, dopo l'exitus, alla materia prima, alla dimensione universale, a quella che Pitagora chiamava l'anima del mondo.
Quanto all'Acacia, che rappresenta l'essenza lignea con cui fondamentalmente si identifica la Massoneria universale, converrà ricordarne col Boucher l'etimologia greca del nome AKAKIA composto da A che è prefisso con valore di negazione e KAKIA che é sostantivo con significato di vizio, disonore, predisposizione al male. Sicché AKAKIA è sinonimo sia dell'albero di acacia sia di innocenza, di antidoto del male. In botanica essa appartiene alla famiglia delle leguminose-mimosacee; è un albero o arbusto dal fogliame molto leggero ed elegante i cui rami o steli sono spesso armati di forti spine o aculei; i fiori, assai piccoli, ordinariamente di color giallo, spesso molto odorosi, sono raggruppati in spighe o capolini. Il genere acacia possiede più di 400 specie. Nei nostri Paesi si designa come acacia la robinia (robinia pseudo-acacia) dai fiori bianchi originaria del Canada. La varietà originaria dal Medio Oriente e richiamata nella leggenda di Hiram è invece la mimosa dai fiori gialli odorosi.
Per gli antichi l'Acacia era un albero sacro perché considerato un emblema solare come le foglie del Loto e dell'Eliotropo: le sue foglie si aprono ai raggi del sole nascente e si chiudono al suo tramonto. Il suo fiore, coperto di peluria, sembra imitare il disco raggiato di questo astro. Gli Egizi e gli Arabi consacrarono l'Acacia al dio del giorno e ne fecero uso nei sacrifici che gli offrivano. Nella Bibbia l'Arca dell'Alleanza che Mosè fece costruire, la Tavola, l'Arca degli olocausti erano fatti di legno di acacia ricoperto di oro o di bronzo e ciò dimostra come il suo legno fosse considerato sacro già in quell'epoca probabilmente soprattutto a motivo della sua imputrescibilità che, nel caso di Hiram, fu collaudata dalla vicinanza delle spoglie del suo corpo in disfacimento. La Croce del Salvatore fu fatta di questo legni di cui la Palestina abbonda.
Come or ora accennato, l'acacia usata in Massoneria é la mimosa che è l'emblema di certezza, di sicurezza che la morte simbolica di Hiram, così come quella di Osiride, di Cristo, annunzia non già una distruzione totale dell'Essere, ma un rinnovo, una metamorfosi. "Uscendo dalla Tomba, dalla bara, l'Iniziato, che prima era il bruco o il verme strisciante sulla terra e nell'oscurità, diventa, uscendo dalla crisalide, la farfalla variopinta che si slancia nell'aria verso il Sole e la Luce". Conclude stupendamente Boucher: "Questo Sole, questa Luce sono annunciati dalla "mimosa" dai "fiori gialli dorati, simbolo di magnificenza e di potenza".
Ma, come Socrate aveva acquisito la sola certezza di non sapere, anche e soprattutto il Maestro Massone, memore dell'imperativo scolpito sul frontone dei Templi greci: GNOTHI S'AUTON, non cesserà mai dal continuare la ricerca di se stesso, della vera essenza del proprio legno per mondarla delle scorie ed essere degna della realizzazione della Grande Opera.
Anche nella odierna rapida disamina dei significati e delle correlazioni tra essenza lignea e simbologia libero muratoria, insostituibile appare la parola che per l'Iniziato Massone é ad un tempo strumento e meta. Il simbolo non é il termine finale di ogni religione, di ogni mito, ma dietro di esso di trova una realtà superiore che l'intelligenza umana e l'uomo meglio dotato non potrebbe percepire che Indirettamente, per mezzo del simbolo. In realtà, questo é un inizio, l'inizio del divino, come bene osserva il Boucher. E la parola é anche simbolo e tra i più densi di significato. Non a caso i lavori di Loggia debbono iniziare dopo che sia posto sull'ara il libro sacro, la Bibbia, aperta al Vangelo di San Giovanni il cui primo versetto recita "In principio era il Verbo". Di tale importanza della parola nella costruzione del Tempio interiore e nella diffusione del messaggio di Amore, di Luce, di Libertà e di Tolleranza di cui ogni Massone deve sentirsi vessillifero era pienamente consapevole il Libero Muratore Salvatore Quasimodo, iniziato il 31 marzo 1922 nella Loggia "Arnaldo da Brescia" di Licata, quando, in piena gestazione del liberticida Regime fascista, si rivolgeva il 13 marzo 1923 al fraterno amico Giorgio La Pira (che pure, a quanto si può supporre, fu iniziato all'Arte Reale, secondo quanto scrive Gianni Rabbia ne: "Gli echi iniziatici nella poesia di Salvatore Quasimodo" in Massoneria e Letteratura, Ed. Bastoni, Foggia 1987 p. 165). Il Poeta così scriveva: "Eccomi nuovamente al lavoro, bestiale ed inutile, confortato soltanto dal tormento dell'anima. Da te aspetto soltanto un po' di speranza e la parola dello Spirito. Salute e fraternità." E La Pira a Quasimodo l'8 dicembre 1927: ..."la potenza della parola. Essa Ti serva, soprattutto per imprigionare l'infinito nei tuoi versi. Sii ladro delle gemme che splendono nella vita eterna; sia che Tu le rubi alla natura o al mondo reale, questo furto non dispiacerà la giustizia di Dio. Il verso, io credo, quando é perfetto..., é un brano, ma compiuto, dell'eternità... É per questo che la poesia l'arte in genere – non percepisce; ma sta, malgrado le vicende umane... Penso che Tu potresti col Tuo verso - felice grimaldello che Ti permette di aprire le mistiche cose dell'anima - racchiudere brani notevoli di mistero..." Un linguaggio, come é evidente, perfettamente in armonia col simbolismo libero-muratorio.
Di talché Quasimodo risponde con una delle più toccanti liriche di ogni tempo:
Si china il giorno Mi trovi deserto, Signore, nel tuo giorno serrato ad ogni luce. Di te privo spauro perduta strada d'amore, e non m'è grazia nemmeno trepido cantarmi che fa secche mie voglie. T'Ho amato e battuto; si china il giorno e colgo ombre dai cieli: che tristezza il mio cuore di carne!
Ma, come acutamente osserva il Rabbia nell'opera citata, "la fraterna ricerca della luce é questo: partecipazione consapevole al mistero. La ricerca della "salvezza" passa attraverso la tribolata grazia dell'iniziazione, costantemente assediata dalla deritmia dell'essere. Ecco perché Quasimodo giustifica la poesia come la ricerca di un nuovo linguaggio che coincide... con una ricerca impetuosa dell'uomo... Come la Massoneria, la poesia soffre se viene applicata e derivata dai singoli momenti della cronaca; in entrambe circola il respiro del bisogno dell'amore come irriducibile resistenza della vita contro la morte, con la densità energica di tutte le forze impegnate per rompere gli schemi tra il contingente e l'eterno, l'io e il tutto, che impediscono la generosa consapevolezza del colloquio tra gli uomini".
Possiamo dunque concludere questo messaggio di Amore che, trasportato sulle note dei liuti e delle mandole risuonanti nel Paradiso dantesco, accarezza i nostri cuori sulle immortali melodie del mozartiano flauto mentre il grande Iniziato Quasimodo ci accompagna rassicurante nella radura del Tempio cantando: "La vita é senza fine. Ogni giorno é nostro... E l'uomo che in silenzio s'avvicina non nasconde un coltello fra le mani ma un fiore di geranio".
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