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Non è assiomatico che all'agghindamento della forma corrisponda uno svuotamento del contenuto. Vi è anzi presunzione che, quando è la sostanza a produrre la forma - e non si vede come possa accadere altrimenti l'arricchimento di questa non sia che conseguenza della preziosità di quella.
Ma poiché queste note non hanno la pretesa di una trattazione di estetica, conviene forse scendere dal generale al particolare senza indugiare in teoriche astrazioni; e ciò anche perché esistono autorevoli, o correntemente ritenute tali, testimonianze nell'uno e nell'altro senso, specie in quelle che comunemente sono definite arti e che qualche psicologo, magari, sarà tentato di chiamare ludi.
Può apparir infatti difficile, nella poesia ad esempio, far distinzione fra forma e sostanza, e così pure nella pittura o nella grafica in generale, e pur anco nella scultura, specie se si vuol prescindere dalla utilità dell'oggetto rappresentato; e per non parlar della musica ove l'oggetto si presta, al massimo, ad essere identificato con un segnale che non tutti, e non in ogni occasione, sono abili a percepire. Si può rilevare che ciò non è sempre valido per l'arte delle costruzioni ove la decorazione non è necessariamente legata alla struttura o, comunque, non ne è imperativamente legata, tranne che da quelli che sono detti canoni estetici.


Per analogia, il rilievo diverrà estensibile anche a tutti quei processi che alla arte edificatoria, più o meno, direttamente od indirettamente, si ispirano.
E ciò mi sembra atto a coinvolgere anche certa attività speculativa dell'uomo, purché inquadrata, sia pur con simboli allegorie od altro, in un sistema qualsiasi che rispetti regole di spazio o tempo, che presupponga confini, o comunque che ammetta un regolo per la misurazione.
Potrà a questo punto porsi l'interrogativo se la finzione scenica e la pratica cerimoniale abbiano a considerarsi fra le arti edificatorie, atteso che il loro prodotto, il lavoro o l'oggetto, si estinguono nell'azione stessa.
In questo caso, non sembra nemmeno si possa parlar di arte ma, come innanzi accennato, semplicemente di ludi, con tutte le implicazioni che un tal termine comporta.
Il presupposto perché la finzione scenica e la pratica cerimoniale siano da considerarsi arti - almeno per quanto attiene questo tipo di discorso - è la presunzione che siano intese a costruire dei beni, anche se non vincolati a caratteristiche tattili.
Certo che il tutto non è così semplice a dimostrarsi come a dirsi anche se, molto spesso, più semplice di quanto, per certi versi, lo si voglia far apparire.
Comunque, anche queste considerazioni sono meramente incidentali perché vi sono molte altre spiegazioni al fatto che l'uomo costantemente cerchi di ancorare i suoi pensieri e le sue elucubrazioni all'arte del costruire; e chi vuol che si tratti di allegorie o di metafore, e chi si appella al simbolismo e chi a vere o supposte analogie.
Sì è che quando l'uomo dichiara che intende costruire un tempio - meglio se il Tempio - intende inquadrare tale attività fra le arti edificatorie, tanto che egli alluda al suo Tempio interiore, come alla pratica cerimoniale o all'opera muraria.
Ciò forse da sempre o da un certo periodo in poi.
E in questo senso credo convenga valutar l'opera dei costruttori di Cattedrali, cistercensi o laici che fossero.


Ora, si vuol la Massoneria erede di tali costruttori e vi sono buone ragioni per ritenerla tale - anche se non esclusivamente tale - sia pur con quelle riserve imposte dal sapere che, in un'epoca in cui veniva quasi disprezzata la condizione meccanica, sarebbe stato problematico pretendere dagli accettati nella Corporazione la squadratura materiale di pietre od il trafficar con leve e cazzuole.
Si vuol che fossero riservate agli accettati la commissione, la progettazione e la direzione dei lavori e, in comune con gli operativi di condizione meccanica, la pratica cerimoniale e la costruzione del proprio Tempio interiore.
Sarebbe la pratica cerimoniale l'unico elemento tattile rimasto atteso che, quand'anche la Corporazione intendesse riproporre la costruzione materiale dei Templi, gli strumenti e le tecniche attualmente in uso sarebbero, a dir poco, avulsi da ogni partecipazione tradizionale.
Dir pertanto la Massoneria unica erede e depositaria dell'Arte reale, sia essa intesa nel suo significato più vasto, dall'edilizia alla mnemonica, dalla speculazione filosofica all'umanitarismo al naturismo, alla religione, non sembra errato.


Ora, tornando ai concetti di f orna e sostanza, come inizialmente accennato, e considerando la pratica cerimoniale a guisa di una costruzione ove facilmente si possano distinguere le strutture da quanto può anche essere ritenuto ornamento, conviene aver particolar cura di quegli elementi che si possono attribuire ad entrambe le categorie od a questa o quella indifferentemente.
E forse il processo è più ostico di quanto appaia a prima vista poiché è fuor di dubbio che molti ornamenti hanno condizionato, col tempo, le stesse strutture portanti fino a sostituirle, in tutto od in parte, con altre a cui l'ornamento era più consono. Sicché non sono pochi coloro, anche esegeti di chiara fama, che hanno scambiate certe tramezze, grosse ed ingombranti, per muri maestri.
E quando i muri maestri, ritenuti inutili, sono stati abbattuti, si è verificato il crollo degli edifici, mentre quando, pur se ugualmente ritenute inutili, le vecchie strutture sono state conservate, hanno retto sempre anche le sovrastrutture ed i tamponamenti nonché le loro continue modifiche in omaggio a quelli ch'erano creduti i dettami della moda.
 

Sarebbe impietoso, a questo punto, esemplificare perché tutto è sempre accaduto - ed ancora accade - fra la, si presume, buona fede generale.
E molte sono le giustificazioni a questi accadimenti; non ultimo quello che, avendo sempre la Corporazione lasciato, e giustamente, intendere di essere depositaria di segreti, non può essere accusato di malafede, ma solo di faciloneria, chi ha creduto di individuare quei segreti vuoi nell'alchimia, vuoi nell'ermetismo e, financo, nella politica, scambiando per interesse massonico quelli che potevano essere gli interessi dei singoli massoni.
Perciò anche, riesce difficile oggi individuare, alla prima, quelle che sono state definite strutture portanti e muri maestri dalle sovrastrutture ed ornamenti, specie se, come abbiamo visto, questi ultimi sono rappresentati da masse e volumi rilevanti.
E come per gli edifici è d'uopo rifarsi ai piani originari, così sembra conveniente, nel caso, la ricerca di documenti atti a testimoniarli, identificabili, oltre che nelle costituzioni, vieppiù in rituali e catechismi in cui, per ventura, ci si possa imbattere. Un accurato esame di documenti del genere - ne esistono più di quanti si supponga - potrebbe non solo fornir la prova di inquinamenti e deviazioni, ma anche di come, quando e perché questi sono avvenuti.


Vediamo inoltre che, ancor oggi, tutti si preoccupano della integrità dei rituali adottati, e ciò al punto da considerarli elemento qualificante di regolarità delle Logge, per cui l'adozione ne è subordinata all'approvazione degli organi reggenti la Corporazione.
Per contro, meno cautela vi è, solitamente, nel considerare i catechismi la cui redazione è stata spesso, ed ancor ora, ancorata al lavoro specifico della Loggia. Non serve molto acume per dedurre che, sovente, per non dir sempre, i catechismi altro non sono che interpretazioni particolari dei rituali, tentativi di fornir, a parole, spiegazioni, magari, al limite, anche di ciò che è considerato ineffabile per sua natura.


Appaiono essi pertanto, non infrequentemente, più ermetici del presunto ermetismo dei rituali e si prestano a successive ulteriori interpretazioni ad libitum.
 

Dalle testimonianze autentiche che abbiamo - poche in quanto più disponibili ad accreditare come autentici i manoscritti ad uso personale con abbreviazioni e richiami, piuttosto che le cosiddette rivelazioni stampate - possiamo constatare che il Rituale, fatta eccezione per alcune differenze imputabili alla traduzione ed a mutazioni di carattere ambientale, quali la foggia del vestire e l'abitudine o meno di portar armi ad esempio, è agli inizi uguale per tutte le Logge a conferma della ipotesi che unica sia la matrice originaria.


È dato per certo che inizialmente la Loggia era costituita da Lavoranti (Compagni di Lavoro) e Garzoni (Apprendenti o Apprendisti a seconda della traduzione). Il Maestro, la cui sostituzione era piuttosto rara anche se era soggetto periodicamente a verifica con ballottazioni, era colui che sedeva in Cattedra.
La loggia lavorava sistematicamente in un unico grado tranne che in occasione delle promozioni, cerimonie in cui venivano impartite al Garzone le istruzioni per farsi conoscere come Lavorante. Ciò gli permetteva anche di frequentare altre Logge.
Quando, per ragioni contingenti, quali dimissioni od impedimenti temporanei, causati da malattie o viaggi solitamente, si introdusse l'uso di mutare il Maestro fino a quasi codificare la norma che non potesse restare in Cattedra più di un anno, ed incominciarono ad abbondare, in Loggia, i Maestri non più in Cattedra, venne ad istituzionalizzarsi, di fatto, una terza classe di Liberi Muratori che, successivamente, incominciò a cooptare anche Compagni che non erano mai stati in Cattedra. Si dirà, incidentalmente, che il fatto si verificherà in prosieguo anche per i Maestri dell'Arco.


Nella classe dei Maestri ci troviamo, improvvisamente, di fronte ad un vero e proprio rituale di iniziazione in senso classico o forse anche a qualcosa di più. É il lavoro esoterico di cui i Compagni e gli Apprendisti non devono essere messi a parte. Il termine iniziato, cioè più esattamente iniziato all'Arte, che distingueva i lavoranti, o compagni d'Arte dai profani e dagli Apprendenti, assumerà, da allora, anche altri e più estesi significati.
Ma il Rituale di apertura e chiusura della Loggia resterà invariato per lungo tempo, uguale per tutte e tre le classi, quand'anche in Loggia si riuniscono solo Maestri o Compagni.
A cambiare sono i Catechismi che certo venivano letti dopo le cerimonie di ricevimento nei tre gradi, e, si presume, anche in altre occasionai, ammesso che queste occasioni esistessero.


Vi è una letteratura tendente a dimostrare che le Logge si riunivano abitualmente nei tre gradi, anche senza necessità di compiere il lavoro esoterico, ma vi sono ragioni sufficienti per dedurre che si tratti di illazioni da quanto si è successivamente verificato in seguito alla istituzionalizzazione degli alti gradi. Non è escluso, invece, che agli inizi, la Loggia si riunisse ritualmente, anche in grado di Apprendista, solo in occasione di cerimonie di accettazione o iniziazione, come in seguito si è voluto chiamarle, atteso che vi sono testimonianze inconfutabili che la stessa nomina del Gran Maestro avveniva durante il banchetto annuale.


Il termine Loggia di Apprendimento, però, lascia di per sé supporre che venissero svolti lavori intesi ad acquisire nozioni sui segreti dell'Arte, comunque intesi. Ora, può anche essere che questi lavori si svolgessero in occasione delle cerimonie perché leggiamo, ad esempio che, quando il candidato viene portato fuori dal Tempio per le istruzioni e per riassettarsi le vesti, «la Loggia continua a travagliare». D'altronde, se esaminiamo i piedlista che ci sono pervenuti e consideriamo un periodo di attività di una loggia, notiamo che, più questi sono lunghi, più breve è il tempo che intercorre tra una riunione e l'altra; ad esempio: una tornata ordinaria al mese a Venezia, ed una settimanale a Londra, il fatto può anche essere di pura coincidenza perché si vuole che si procedesse anche a più ricevimenti in una sola tornata. Però, una coincidenza che si ripeta costantemente in periodi diversi ed in luoghi diversi, è presumibile che sia prodotta anche da cause comuni. Comunque, sia che il catechismo venisse letto solo in occasione di cerimonie o in ogni tornata «in quel grado», vediamo che, sino alla fine del settecento, escluse forse quelle comunioni che già avevano data la stura alla sagra degli alti gradi, è esso a distinguere il grado in cui lavora la Loggia. L'altro elemento di distinzione è il segno che danno i fratelli quando il Maestro di Cattedra ingiunge loro di mettersi in ordine.
Il comando in ordine comporta infatti il raggiungimento del posto assegnato, lo smettere di parlare, l'acconciarsi le vesti, guardare verso Oriente e fare il segno «di quel grado» in cui la Loggia lavora.


Constatato «dai segni» che tutti i presenti sono fratelli di quella classe il Maestro chiede al Secondo Soprastante, o Vigilante, o Sorvegliante (dipende dalle traduzioni) quale sia il suo dovere e questi - con o senza spada a seconda dell'uso locale di portare o meno armi - si assicura che la porta sia chiusa. Il Maestro di Cattedra chiede quindi quale ora sia e, appreso che si è nel «mezzo del dì», constata che si tratta dell'ora opportuna ed apre i Lavori battendo tre volte.

In chiusura, dopo aver chiesto se alcuno abbia qualcosa da proporre chiede nuovamente l'ora e, dopo che questa gli viene comunicata «chiude la Loggia» con formula analoga a quella usata per aprirla.
Ogni altra domanda riguardante la posizione dei Vigilanti, la sua ed altro, che troviamo nei Rituali in uso in tempi successivi, la si trova nel Catechismo. Lo stesso dicasi, più o meno, anche per gli altri gradi.
É quindi l'interpolazione delle domande e risposte del catechismo del grado nei rituali di apertura e chiusura a determinarne le differenze successive.
Non in tutte le Comunioni, ma in molte, e comunque non in tutte imperativamente, sono stati, in seguito, redatti nuovi catechismi con funzioni interpretative dei rituali, e ciò spesso viaggiando a ruota libera.
Nel tentativo di giustificare alcune «interpretazioni» si è trovato anche modo di manomettere il cerimoniale vero e proprio, cioè quello attinente il lavoro esoterico riservato alla accettazione o ricezione.
L'iniziazione ai segreti dell'Arte Reale, cioè dell'arte del costruire, che veniva impartita agli accettati della Corporazione, verrà infatti interpretata come iniziazione ai misteri e sostituirà anche il termine ricezione in uso sino allora.


Può anche darsi, e non e escluso, che altre ragioni abbiano influito e contribuito alle differenziazioni che oggi riscontriamo nei rituali delle differenti comunioni, o all'interno delle stesse, ma non vediamo, in questo caso, possibilità di identificare le vie lungo le quali queste differenziazioni si sono prodotte, a meno di non voler ammettere che Logge e Sistemi siano nati spontaneamente in altri luoghi e con diverse matrici.


Ma tutto ciò non appartiene al nostro discorso.
Identificata la via, quale abbiamo accennato, crediamo sia meno difficile ripercorrerla a ritroso, eliminando le sovrastrutture a volta a volta che si presentano.
Vediamo così che la struttura architettonica, privata di decorazioni ed ornamenti, si presenterà più solida e più organicamente funzionale di quanto appaia a prima vista.
E resteranno certo sorpresi, coloro che ritenendo il Rituale superato dai tempi, ne propongono modifiche e variazioni, nel constatare quanto «recenti» siano quelle aggiunte che vorrebbero togliere perché più «antiche».
Ma sapranno anche, per contro, che l'essenziale, sia pur in apparenza più scarno, è più vincolante di tutti gli svolazzi aggiunti, nel senso che implica una adesione totale che non può essere differita agli svolazzi.

 


 

Il documento sopra riportato è opera d'ingegno del Carissimo F:. Alfiero A.I.Campagnol, ed ha trovato ospitalità su "Rivista Massonica" n. 9 del 1978: Erasmo Editore. Ogni diritto è dichiarato. La libera circolazione in rete è subordinata alla citazione della fonte (completa di link) e dell'Autore.