Francesco Maria Venanzio d'Aquino, Principe di Caramanico, nacque a Napoli il 27 febbraio 1738; sposò a 29 anni, il 12 maggio 1767, con Vittoria Guevara di Rovino e Suardo, vedova del duca di Maddaloni; nel 1781 venne inviato quale ambasciatore a Londra e nell'85 a Parigi. L'anno dopo venne nominato Vicerè di Sicilia e nel '95, il 9 di gennaio, morì a Palermo, a soli 57 anni di età.
Queste a volo d'uccello le tappe fondamentali della vita di questo personaggio, la cui esistenza, perciò, può ripartirsi in tre periodi: 1738-1780 di prevalente permanenza napoletana; 1781-1785, all'estero e 1786-1795 in Sicilia.
Del primo periodo, i fatti più importanti della vita del Caramanico, oltre il già ricordato matrimonio, furono il ruolo che egli svolse nella Libera Muratoria partenopea ed i vincoli che lo legarono alla regina Maria Carolina, venuta a Napoli nel 1768, perché sposa di Ferdinando IV° di Borbone. Essendo tali fatti, però, abbastanza noti (1) ricorderemo soltanto che per quanto concerne la Libera Moratoria, il Caramanico addirittura ne fu Gran Maestro c per quanto riguarda i suoi rapporti con Maria Carolina, quanto dice di lui lo storico Colletta: «Grato e forse caro alla regina» (2).
Per gli anni che vanno dal 1781 al 1785, che è il periodo della sua permanenza all'estero, prima a Londra e poi a Parigi, allo stato delle nostre ricerche, purtroppo, non siamo in grado di fornire notizia alcuna.
Ci ripromettiamo, comunque, di proseguire le ricerche e di comunicare gli eventuali risultati.
Ringraziamo sin da ora chiunque ci vorrà suggerire fonti alle quali poterci rifare per colmare tale lacuna.
E veniamo al soggiorno siciliano del Caramanico, che durò dal 1786 al 1795, fino alla di lui morte cioè, che è in fondo quello che più ci preme, perché figli di questa terra e perché da tempo dedichiamo le nostre modeste forze alla ricostruzione del profilo storico della Libera Muratoria siciliana.
Per illuminare tale periodo, consigliamo di leggere quanto dice di lui Giovanni Evangelista Di Blasi nella sua Storia Cronologica dei Vicerè Luogotenenti e Presidenti del Regno di Sicilia.
Questo «splendido uomo», come il Di Blasi chiama Francesco d'Aquino, Principe di Caramanico, Duca di Casoli e Conte di Palena, giunse a Palermo il 21 aprile 1786; il 3 luglio dello stesso anno convocò il primo Parlamento del suo viceregno, che durò tre giorni ed approvò, non soltanto tutti i «donativi» in precedenza fissati, ma, per la durata di quattro anni, anche quello straordinario, imposto per far fronte ai danni provocati dal terremoto, che qualche tempo prima, aveva colpito Messina. L'anno successivo, inaugurava la nuova sede dell'Ufficio delle «regie poste», in un fabbricato «aderente all'antica chiesa di S. Cataldo dietro il palazzo pretorio» e provvedeva ad emanare i necessari regolamenti, «che doveano renderne il servizio di maggior comodo al pubblico».
Nel 1787 vediamo questo Vicerè spendere anche del proprio per abbellire il teatro palermitano di S. Cecilia e ingrandirne il palcoscenico e nel mese di giugno dello stesso anno, assistere alla solenne riapertura del medesimo, interamente restaurato.
Ma il Caramanico non attendeva soltanto «alle cose che sono semplice diletto, ma anche alle utili» e lo vediamo perciò interessarsi delle frodi che venivano commesse nel commercio di taluni prodotti e della diffusione della salutare e benefica pratica della vaccinazione antivaiolosa.
Negli anni tra il '78 cd il '90, dispose che venisse portata a termine «una delle due porte che stanno a capo della strada nuova o Maqueda (a Palermo), quella detta di Vicari o di S. Antonino, sorta in un bel disegno a decoro di questa parte della città».
«Onusto di gloria, generalmente amato, caro al sovrano, a di 4 luglio (1789) prendeva solennemente possesso il Caramanico al duomo (di Palermo) del secondo triennio del suo viceregno, mentre di apoplessia moriva in Napoli il suo illustre predecessore Marchese Caracciolo».
In questo periodo il Caramanico, si distingue pure per essere riuscito a fare adottare alcuni provvedimenti, dei quali soprattutto quelli relativi alla abolizione della schiavitù, non possono non destare compiacimento e soddisfazione e chiudono definitivamente un' epoca e fanno cessare dei tristi costumi che venivano a noi da tempi remotissimi e si erano conservati intatti sino allo spirare del XVIII° secolo!
Vogliamo ricordare questi importantissimi fatti, che illustrano da soli l'esistenza di quest'uomo, prima con le parole del «regio istoriografo», G. E. Di Blasi, e poi con quelle di un altro grande studioso di cose meridionali, Rosario Romeo.
«Si avevano tra noi leggi che punivano gli oziosi vagabondi; ma due classi di tal razza di genti sfuggivano ancora alle prescrizioni della legge, poiché sotto la maschera di scienziati e devoti; ed erano questi i non pochi astrologi e i falsi romiti girovaghi che vivevano a spese de' gonzi e del volgo religioso. Il Caramanica provvide anche su questi due generi di molesti questuanti posassero le leggi emanate contro il vagabondaggio, ponendo un freno in tal guisa alle importunità e alle rapine di tali improbi mendici. E come esempio di bella umanità indi a poco proibiva le contrattazioni di servizi personali a tempi determinati, schiavitù intollerabile. Prese egli motivo a tale provvedimento dal ricorso di una infelice moglie di un servo impedita a partire insieme allo sposo dal contratto da lui formato di servitù temporanea con la famiglia di un nobile».
«Nel 1788 - scrive il Romeo - ottenne una interpretazione regia del capitolo Volentes che, ispirato alla tesi svolta in quegli anni dai giuristi della scuola napoletana rappresentò forse il colpo più grave che la feudalità siciliana avesse mai subìto nel campo giuridico: si stabiliva infatti che tale capitolo non autorizzava il feudatario privo di eredi legittimi nel grado ammesso alla successione (sesto) a trasmettere il feudo ad altri, ne per atto tra vivi, ne per testamento: con che si ribadivano i vincoli della proprietà feudale, ma veniva limitata l’onnipotenza dei concessionari, e aperte nuove possibilità di emancipazione alle popolazioni vassalle. Con regio dispaccio 8 novembre 1788 si abolì ogni diritto privativo e angarico che non potesse provarsi concesso al momento dell'investitura feudale. Con ordinanza del 4 maggio 1789 vennero soppresse tulle le servitù personali supertiti, eliminando così ogni residuo di servitù della gleba».
Nell'anno 1790, «Palermo ebbe a godere il meraviglioso spettacolo di un'ascensione aerea dell'ardito Vincenzo Lunardi da Lucca».
Per interessamento del Caramanico, ad un primo infelice tentativo del Lunardi, egli ordinò che ne fosse effettuato un secondo, che, invece, fu coronato da pieno e brillante successo. Il Lunardi, infatti, «alle otto antimeridiane del primo luglio (1789) si alzò in aria tra lo stupore e la compassione e gli applausi di quel popolo che mesi prima indispettito, bestemmiavalo, minacciandolo».
Siamo già all'anno 1789 e «Cominciavano a intorbidarsi le cose di Francia», scrive G. E. Di Blasi, chiamando i Massoni in causa in prima persona. «E i sovrani tutti di Europa a premunirsi dal contagio delle opinioni, stimarono prudente consiglio il proibire i lavori occulti della setta dei Liberi Muratori. Non e già che in Sicilia fosse stato molto a paventare da questo lato, chè i pochi i quali poteansi credere macchiati da quella pece eran più innocui utopisti che uomini di fatto; pure sullo spirare dell'anno 1789 erasi già pubblicato un bando contro le società segrete a somiglianza dell'altro emesso nel 1751, quando se n'ebbero i primi sospetti».
Appena di sfuggita, perché il tema ci porterebbe fuori dai limiti che ci siamo imposti, sottolineiamo soltanto, che il Di Blasi era un ecclesiastico ed era altresì «regio istoriografo», carica pubblica che lo condizionava enormemente; e, quindi, le di lui espressioni debbono essere prese con le debite precauzioni a causa appunto dei limiti che il suo autore presenta.
Dalla nostra parte d'altronde noi abbiamo la storia, che lo smentisce.
Ma torniamo ai numerosi meriti che si possono ascrivere a vanto del Caramanico, facendo in modo, come dice un valido scrittore cattolico di cose massoniche, p. Rosario Francesco Esposito, che l'apologeta non prenda mai la mano allo storico.
«Una molto lodevole ed opportuna disposizione onorò il governo di Caramanica, e fu quella di non permettersi professione di voti monastici prima di aver compiti gli anni ventuno, mentre sino a quel tempo bastava aver compito a chi volea monacarsi i sedici anni. Parve al re, e confermavasi in questo a più sani dettami della ragione, che non si potessero in sì tenera età aver prove indubitate di una ferma vocazione, e che pertanto il prescrivere un'età più matura a tale bisogna era un evitare i frequenti pentimenti de' religiosi, pentimenti di rovina all'anima e al corpo se divorati nel silenzio delle coscienze, e di scandalo pubblico se fatti palesi nei tribunali. Con altro bando dello stesso anno non meno filosofico e giusto, perché tendente a perpetuare le famiglie, proibivasi il prendere la carriera monastica e il professarsi agli unigeniti».
Nel 1792, il Caramanico veniva riconfermato per la terza volta, Vicerè, «e non già per solito triennio, ma per sei anni; il che manifesta il favore che godea egli presso la corte, e la tendenza di questa a favoreggiare i baroni, che amavano il Caramanico, splendido e cortese di modi».
La circostanza è talmente inusitata, che ci esime dal commentarla.
Il 12 luglio 1792, veniva stipulato con la Gran Bretagna un trattato, che equivaleva, in quelle condizioni, aduna vera e propria dichiarazione di guerra nei confronti della Francia.
«Questi timori di guerra (però) non stornavano ... il vicerè dallo intendere a quelle opere pubbliche che poteano riuscire più gradite al paese. Aprivasi sotto il suo governo il bel tratto di strada rotabile che da Palermo conduce all'amenissima campagna della Bagheria».
Ma siamo quasi all'epilogo della vita di questo uomo. Nel 1793, che era stato un anno di grave carestia, si era già constatato quanto il Caramanico fosse benvoluto a Palermo; «giacché in quel duro frangente non fu udita una sola voce di biasimo contro il Vicerè; e nell'anno seguente si vide il popolo accorrere alle chiese prima per implorare da Dio e da' santi la salute del moribondo Caramanica, e poi per rendere grazia all'Altissimo dello averlo ristabilito. E quel che torna più in lode di quel magnifico e benedicentissimo uomo si è il vedere che sapeva egli guadagnarsi l'affetto del popolo e la benemerenza sovrana».
Il 24 agosto 1794 si apriva il Parlamento, ma il Caramanico, a causa della sua malferma salute, non poté presiederlo.
Il racconto dell'ultima parte della vita di Caramanico, lo affidiamo quasi interamente alla penna di G. E. Di Blasi, che essendo vissuto tra il 1721 ed il 1812, fu contemporaneo agli eventi che narra e può, quindi, definirsi un «testimone».
«Il Caramanica appena rimessosi dalla grave malattia si trasferì a Napoli, sperando una perfetta guarigione dall'aria natia».
«L'arcivescovo Lopez rimaneva a Palermo rivestito dalla carica di Presidente del Regno. Trovava il Caramanica al suo arrivo in Napoli inasprito il popolo per le circostanze pericolose del regno attribuite a' consigli del primo ministro Acton, che nella sua qualità di inglese non ispirava che odio a' Francesi. La voce pubblica chiamava al ministero il Caramanica, ne ingelosiva Acton, e bastava questo perché caduto in disgrazia il vicerè fosse quasi in castigo rimandato tosto in Sicilia. Compresi i giorni di viaggio la sua assenza non oltrepassò i sedici giorni. Rallegravasi Palermo al rivederlo, ma ben per poco, che la tristezza dell'animo del vicerè ricadendo sul corpo già affralito dall'ultima malattia, lo condusse repentinamente al sepolcro la notte dell'otto al nove gennaro 1795. Fu si fulminante il colpo che l'uccise all'età di cinquantasette anni, che corsero voci di veleno propinatogli o trangugiato volontariamente. Certo che gli ultimi istanti di sua vita furono se non altro moralmente avvelenati e dalla ingratitudine del segretario del gverno Carelli da lui beneficato, e che profittando della sua naturale indolenza avea preso la somma degli affari, e dal decadimento della grazia sovrana. Dopo magnificentissime esequie lo accompagnò nel sepolcro il pianto universale».
«La più bella dote del suo cuore era la generosa pietà verso i poveri; le di lui elemosine giunsero in qualche anno alla cifra enorme di trantamila scudi. Voleva il bene del regno; ma amante forse troppo de' piaceri della vita, e pigro al travaglio, sfornito di quella volontà dura che vince gli ostacoli anche spezzandoli al bisogno, non seppe che seguire debolmente le profonde orme segnate dal Caracciolo. Pure in fatto di opere pubbliche, per le quali bastava la liberalità del suo cuore, va a lui di molto debitore il paese. Due grandi stabilimenti onoreranno in perpetuo la sua memoria, perché di grande nostro decoro, perché fondati nel suo governo, e perché fortunatamente di quei pochi che lungi del deperire col tempo si hanno acquistata oggidì fama europea; l'Osservatorio astronomico diretto dall'immortale Piazzi e da' suoi allievi della famiglia Cacciatore, e l'Orto Botanico ordinato e arricchito per opera de' due solertissimi Tineo padre e figlio. Al che se aggiungansi i provvedimenti da lui presi nella carestia ciel '93, potrà la storia tessere di lui un ben meritato e magnifico elogio. Il pubblico dolore per la morte del vicerè Caramanica ebbe un compenso nella esonerazione dalla carica di segretario del Vicerè dell'inviso Carelli».
Anche i Fratelli talvolta deludono ed il Carelli era un Fratello, onestà vuole che lo si dica.
Ed eccoci al vero perché del nostro lavoro.
A noi preme portare all'attenzione di chi si occupa di storia della Massoneria, ciò che siamo riusciti a sapere su due problemi che concernono il Caramanico e cioè, che cosa ne è stato dei suoi resti dopo la di lui morte e se risponde al vero la tesi sostenuta da taluni studiosi, che il Caramanico, dopo l'abiura del 1775, abbandonò per sempre la Libera Muratoria e, quando venne in Sicilia (1786) non praticò più l'Arte.
«Le ceneri del Caramanico giacciono inonorate, neglette nella chiesa dei Cappuccini (di Palermo), coperte da un semplice mattone. Tra' i nobili i quali, appena morto, offrirono di ospitarne la salma nelle loro superbe sepolture, e la famiglia in Napoli, che si riserbava di richiamarla nella propria, si interpose la negligenza, l'abbandono, l'oblio!».
Questo scriveva il nostro grande Giuseppe Pitrè del Caramanico, nel suo libro «La vita in Palermo cento e più anni fa» (pag. 33 del 1° volume). E noi che volevamo saperne di più, siamo andati alla Chiesa dei Cappuccini ed abbiamo consultato la «Nota delli Religiosi e Secolari Uomini e Donne sepolti in questa Chiesa de' Cappuccini di Palermo cominciando dall'anno 1748 sino alli 1795», ed alla Sezione 5, Corp. 42, fasc. 2, quasi in fondo alla pagina sul lato destro guardando il foglio, accanto al nome cancellato di un certo «Francesco La Mantia», é stata apposta la seguente locuzione: «In gennaro 1795, mori S.E. d. Francesco d'Aquino Vicerè di Sicilia».
Circa la data in cui è avvenuta tale annotazione non possono che formularsi ipotesi; una cosa è certa, però, che essa é posteriore all'effettiva data di inumazione del Caramanico (9 gennaio 1795. E ciò convalida quanto aveva affermato il Pitrè: si trattava di una sistemazione provvisoria in attesa che la famiglia se ne richiamasse i resti a Napoli; ma visto che ciò non avveniva, i frati si videro costretti ad annotarne la presenza nella loro chiesa.
Si sa con certezza che a tutto oggi, i resti del principe di Caramanico debbono trovarsi dentro la predetta chiesa; ma non se ne può - né forse se ne potrà mai più - precisare il punto esatto dove essi si trovano, perché una quarantina di anni fa, venne rifatta la pavimentazione della chiesa ed in quella occasione, molte tombe vennero da essa occultate per sempre.
Fortunatamente, però. il «semplice mattone» di cui parla il Pitrè, che è in effetti una piccola lapide di marmo, si è salvata. Qualche mano pietosa e previdente non ha lasciato che anch'essa venisse occultata, ma l'ha anzi divelta e fatta collocare ad un'altezza di circa 50cm. dal pavimento, attaccandola al primo pilastro di destra della navata centrale guardando quello che viene chiamato l'altare maggiore, il più vicino ad esso, sul lato destro s'intende - al disotto del monumento funerario dedicato al Marchese Ardizzone.
Sulla lapide è scritto:
| | HTC IACET FRANCOS DE AQUINO PRINCEPS CARAMANICI ET SICILIAE PRO REX OBIIT DIE 9 IANUARII AN 1795. | |
In proposito, ci rimane un'altra strada da tentare: siamo venuti a conoscenza, attraverso lo schedario del Basile, che nella parte ancora manoscritta dei Diari del Villabianca (3) relativi all'anno 1795, pagina 13, conservati nella Biblioteca Comunale di Palermo, sono contenute notizie relative alla morte del Principe di Caramanico, ma, fino ad oggi, non ci è stato possibile consultarli. Ci ripromettiamo di farlo e di comunicarne i risultati.
Nella stessa chiesa, inoltre, abbiamo potuto vedere, per la cortesia del Bibliotecario, padre Mario Sciortino, una delle rare immagini conosciute del vicere Caramanico. Si tratta di un ritratto molto deteriorato, come può constatarsi osservandone la riproduzione nel titolo del documento. In basso vi é apposta la seguente leggenda:
EXCMUS D. FRANCISCUS DE AQUINO P. NPS CARAMANICI HIEROSOLImi ORD. EQUES, CAPIT.us GEN.is SIC.e PRO REX CUIUS EGREGIAS DOTES MISERICORDIA PAUP.e MIRTFI.ca PREBUIT. OBIIT PAN. VIR PIISSIMUS OMNIU. LUCTU DIE 9 IANUARII 1795.
E veniamo ora alla questione del presunto allontanamento del Caramanico dalla Libera Muratoria.
Come sappiamo, dopo l'editto di Ferdinando IV° del 12 settembre 1775, contro la Libera Muratoria, il Gran Maestro, principe di Caramanico, fece atto di abiura. Questo gesto fece sorgere il problema se in seguito, egli continuò a praticare la Massoneria, ovvero se se ne allontanò per sempre.
A noi che ci occupiamo con particolare interesse della storia della Libera Muratoria siciliana, perché lo abbiamo accennato figli di questa Isola, preme soprattutto accertare se il Caramanico continuò a praticare o meno la Massoneria quando egli risiedette in Sicilia, e cioè dal 1786 alla sua morte.
Su tale interessante problema, prima di esprimere la nostra opinione, vogliamo riportare il pensiero di tre illustri studiosi: Ernesto Pontieri, Eugenio Di Carlo e Armando Saitta, dei quali il primo sostiene che il Caramanico abbandonò la Massoneria appena entrato in diplomazia e gli altri due, invece, che egli non solo non la abbandonò mai, ma che restò sempre Massone ed anzi continuò a praticare l'Arte durante il suo soggiorno nell'Isola e la favorì.
Si tratta in tutti e tre i casi di fonti non massoniche, delle quali la prima (Pontieri) non ha bisogno di commento alcuno perché è una tesi negativa; le altre due (Di Carlo e Saitta) non essendo interessate, riteniamo possano essere considerate sufficientemente attendibili e soddisfare così anche i più scrupolosi ricercatori, amanti come noi della obiettività ad ogni costo.
Del pensiero del Goethe in proposito, che se ne occupò pure, riferiremo per ultimo servendoci dello studio del nostro conterraneo prof. Eugenio Di Carlo.
Precisiamo subito a scanso di equivoci, che non abbiamo riportato volutamente una notizia che attesta lo allontanamento del Caramanico dalla Libera Muratoria e due che ne attestano, invece, la sua ininterrotta fedeltà all'Ordine, allo scopo di fare prevalere queste ultime sulle prime; ma soltanto perché le fonti da noi consultate ci hanno fornito solo queste notizie con tali caratteristiche.
Propendiamo, però, per le seconde, non per gusto della apologia, ma perché tutta una serie di circostanze pare non lasci dubbi in proposito.
Cominciamo da Ernesto Pontieri (nel suo libro «Il tramonto del baronaggio siciliano» (pag. 334, nota) parlando del Caramanico, egli dice: «ambasciatore a Londra (1781) ed a Parigi (1785)», «aveva seguito a Napoli il moto progressista, e per questo si era iscritto alla massoneria, di cui era divenuto gran maestro nel Regno».
Ed a piè di pagina, alla nota n° 3: «Regio Archivio di Stato di Napoli, Segreteria di Sicilia, fascio 802, trovasi l'originale del diploma di afliliazione del C. (Caramanico) alla Massoneria, ma non risponde al vero ciò che affermò il Goethe e ripeté il Rinieri (Della Rovina di una Monarchia, pag. 507) ch'egli divulgasse in Sicilia la setta, dalla quale era uscito poco dopo il suo passaggio in diplomazia (Notizie sulla attività massonica del C.a Napoli in M. D'Ayala, “I liberi muratori a Napoli nel sec. XVIII", in Arch. Stor. Nap. 1897, pp. 163 sgg. passim)».
In contrasto col Ponderi, Eugenio Di Carlo (4), dice, invece: «E ormai associato che questo illustre personaggio, che doveva poi finire i suoi giorni in modo misterioso, apparteneva alla Massoneria prima di giungere in Sicilia, anzi ne era stato Gran Maestro nel Regno, e qui, nell'Isola, si può ritenere come sicuro che egli l'abbia favorita e cercato di diffondere».
Anche Armando Saitta (5) dice che il Caramanico continuò la sua attività moratoria durante il suo vicereame: «(Il) ... figlio del Marchese di Santa Colomba quell'Alfonso Airoldi cioè che non solo sarà intrinseco del vicerè principe di Caramanico attraverso la comune frequenza della loggia massonica palermitana...». Attestando così non solo la continuità in Sicilia della attività muratoria del Vicerè, ma anche quella dei Fratelli siciliani sotto il di lui governo.
Prima di concludere questo lavoro, vogliamo riportare alcune considerazioni ciel prof. Eugenio Di Carlo, che ci sono sembrate particolarmente utili per la soluzione del problema se il Caramanico continuò a praticare l'Arte in Sicilia.
Considerazioni che sono contenute nel saggio intitolato «Volfango Goethe ed il principe di Caramanico»(6).
Quando, proveniente da Napoli, nell'aprile ciel 1787, Goethe, sotto lo pseudonimo di Giovanni Filippo Moeller, sbarcava a Palermo, Vicerè di Sicilia era, come sappiamo, sin dall'anno precedente, Francesco d'Aquino, principe di Caramanico.
Non pare che Goethe conoscesse il Caramanico prima di mettere piede nell'Isola, né che egli avesse «commendatizia» alcuna per lui, come era diffusa consuetudine a quei tempi fra viaggiatori stranieri che venivano in Sicilia.
La tesi del Di Carlo è che l'arrivo dei Goethe fosse stato preventivamente segnalato al Vicerè e per suffragarla egli sottolinea talune circostanze dell'incontro del Caramanico e del Goethe, che non erano state prese nella dovuta considerazione dagli studiosi che si erano occupati dell'avvenimento.
Ecco di che si tratta.
Dopo circa una settimana di visite alla città e dintorni, la mattina dell'8 aprile, domenica di Pasqua, mentre era ancora nella camera dell'albergo nel quale aveva preso alloggio, il Goethe ricevette la visita di due corrieri del Vicerè, che secondo quanto dice lo stesso poeta (7), erano venuti per porgere gli auguri di Pasqua a tutti i presenti e lucrare così una mancia, nonché per invitarlo a pranzo a Palazzo Reale.
Goethe dopo avere trascorso la mattinata visitando alcune chiese, si recò appunto alla residenza del Vicerè e qui, arrivato un pò troppo presto, a quanto pare, trovò i saloni deserti; per essi si aggirava soltanto un omino tutto arzillo - dice il poeta - che al vederlo gli si fece incontro.
Il nome di quest'uomo non compare nel racconto di Goethe, ma soltanto nelle Lesearten, che vennero pubblicate nella grande edizione delle Opere del poeta, che vide la luce a Weimar. Da esse apprendiamo così, che questo Cavaliere di Malta era uno Statella, ma niente di più e ciò non é sufficiente a stabilire quale degli Statella egli fosse.
I due si intrattennero in conversazione, nel corso della quale Goethe rivelò allo Statella, che ne rimase come stupito, che egli non era Giovanni Filippo Moeller, ma l'autore del Werther in persona.
Dopo qualche tempo giunse il Vicerè con il suo seguito e tutti si misero a tavola. Goethe, per la precisione, venne invitato dal Vicerè a prendere il posto d'onore accanto a lui.
Lo Statella, come esterrefatto, continuando a fissare il poeta, non riusciva a rimettersi dallo stupore e lo esprimeva al Vicerè; il quale, invece, non poteva trattenersi dal sorridere.
Goethe stesso ci informa che durante il pranzo il Caramanico conversò a lungo con lui circa gli scopi del suo viaggio e promise che lo avrebbe aiutato in ogni modo a compierlo agevolmente. Dalle altre pagine del Goethe, però, non risulta se ciò venne mantenuto.
Ma veniamo ai punti sui quali il Di Carlo vuole richiamare tutta la nostra attenzione. Dice questo studioso: nessuno di coloro che si sono occupati del soggiorno di Goethe, hanno rivolto la dovuta attenzione su quanto abbiamo ora riferito e cioè doveva venire spontaneo chiedersi, infatti, perché lo Statella rimase come esterrefatto ed il Caramanico no? Egli sapeva dunque chi era Giovanni Filippo Moeller?
Goethe stesso dice «il Vicerè non si trattenne tuttavia dal sorridere del maltese (sta per Cavaliere dell'Ordine di Malta), che continuava ad esprimere la sua meraviglia nel vedermi lì».
Ed, inoltre, quando i corrieri del Vicerè si recarono all'Albergo dove alloggiava Goethe, invitarono soltanto lui e non anche il suo compagno di viaggio, il Kniep, né alcuno degli stranieri che si trovavano lì (8).
L'atteggiamento del Vicerè e quest'ultima circostanza, pertanto, appaiono più che eloquenti: il Vicerè doveva essere stato preventivamente informato.
E il Di Carlo si chiede: da chi?
Tante possono essere le supposizioni, ma esse non mutano la sostanza delle cose.
Non è improbabile che i Massoni di Napoli abbiano informato il Caramanico dell'arrivo del Goethe; oppure che qualche amico comune si sia data premura di rendere un servizio al poeta, ovvero, come pensa il Pitré, non è improbabile che raccomandazioni dell'ambasciatore inglese, a Napoli, lo Hamilton, amico del poeta, siano state fatte giungere al Vicerè prima dell'arrivo dell'ospite.
Ma si può anche pensare, suggerisce ancora il Di Carlo, che ad avvisare il Caramanico sia stato il pittore tedesco Filippo Hackert che conosceva entrambi e che godeva di vaste ed importanti relazioni sia a Corte che presso il Caramanico del quale aveva sperimentato la squisita ospitalità.
Anche noi ci permettiamo di segnalare qualcosa che non è stata sottolineata nemmeno dal Di Carlo: il capitano che comandava il regio pacchetto (9), che portò il Goethe in Sicilia, era il livornese capitano Filippo Cianici, Massone anche lui, come attesta il «Catalogo de' Liberi Muratori di Sicilia» del 1791-92 (10) e, quindi, chi può dire se non sia stato proprio lui il tramite tra Napoli e il Caramanico?
Comunque siano andate effettivamente le cose, noi pensiamo che le circostanze ora riferite siano più che sufficienti a suffragare «ad abbundantiam» la tesi che il Caramanico non cessò mai di praticare l'Arte, anche durante il suo soggiorno nell'Isola, nella quale, come abbiamo visto, trovò conclusione la sua esistenza.
ALFONSO NOBILE
1. cfr. In fondo all'articolo la Bibliografia: D'Ayala, Bianca Marcolongo e Fran¬covich.
2. cfr. Pietro Colletta «Storia del reame di Napoli ...»
3. Francesco Emanuele e Gaetani, Marchese di Villabianca: “Diari palermitani con note storiche attinenti ad alcune città del regno di Sicilia dell'anno 1743, sino a 21 gen¬naio 1802” voll. 25, ai segni Qq D. 93 - 117.
4. Nei suo libro «Viaggiatori stranieri in Sicilia», capitolo Volfango Goethe ed il principe di Caramanico, pag. 51 e seguenti.
5. Introduzione alle «Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai presenti» di Rosario Gregorio, edito dalla Regione Siciliana, nel 1972, pag. 9.
6. cfr. Di Carlo «Viaggiatori stranieri in Sicilia ...».
7. cfr. Italienische Reise.
8. Il Goethe non venne in Sicilia solo, ma insieme al suo conterraneo Cristoforo Kniep, un pittore paesaggista che aveva conosciuto a Napoli e che volle quale compagno di viaggio in quest'ultima parte dell'itinerario italiano.
9. Dall'inglese packet-boat, cfr. Giuseppe Pitrè, “La vita in Palermo cento e più anni fa”, volume 1°, pag. 150.
10. cfr. Pericle Maruzzi, «Inizii e sviluppo della Libera Muratoria Moderna in Europa».
BIBLIOGRAFIA
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PIETRO COLLETTA - Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825.
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MICHELANGELO D'AYALA - I Liberi Muratori di Napoli nel secolo XVIII, in Archivio Storico per le Province Napoletane - Anno XXII e XXIII - Napoli 1897 - 1898.
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IDEM - Viaggiatori stranieri in Sicilia nei secoli XVIII e XIX, Montaina, Palermo, Aprile 1964, data della prefazione, gli scritti sono anteriori.
DIZIONARIO ENCICLOPEDICO - edito dall'ISTITUTO TRECCANI.
GIOVANNI EVANGELISTA DI BLASI - Storia cronologica dei Vicerè Luogotenenti e Presidenti del Regno di Sicilia, edita a Palermo nel 1842 per i tipi della Stamperia Oretea.
IDA FARANDA - Il secolo XVIII ed il principe di Caramanico - Barcellona (di Sicilia) - Tip. Industria e Progresso, senza anno, ma 1913.
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Nota dei Religiosi e Secolari Uomini e Donne Sepolti in questa Chiesa dei Cappuccini di Palermo, cominciando dall'anno 1784 sino alli 1795; Sezione 5, Corp. 42, fasc. 2.
FRANCESCO PATERNÒ CASTELLO - Saggio storico e politico sulla Sicilia dal cominciamento del secolo XIX al 1830, introduzione di Massimo Ganci - Edizioni della Regione Siciliana, stampato in Palermo il 25 marzo 1969 - Volume unico.
ERNESTO Pontieri - Il tramonto del baronaggio siciliano, Sansoni Firenze, 1943.
GIUSEPPE PITRÉ - La Vita in Palermo cento e più anni fa, G. Barbera editore, Firenze 1944 - Due voll.
ILARIO RINIERI - Della Rovina di una Monarchia, Relazioni storiche tra Pio VI e la Corte di Napoli negli anni 1776 - 1779 secondo documenti inediti dell'Archivio Vaticano - Torino 1901.
A. SIMIONI - Le origini dei Risorgimento politico dell'Italia Meridionale, Messina Roma Edizioni Principato, 1925.
ARMANDO SAITTA - Introduzione alle «Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai presenti» di Rosario Gregorio, edito dalla Regione Siciliana - Stampato a Palermo il 30 novembre 1972 - Vol. I Ristampa anastatica.
MARCHESE Di VILLABIANCA - Diario Palermitano, 1793 - 94, tomo 18, f. 633 (Non potuto consultare l'anno 1795).
HUGO WERNEKKE - Goethe und die Konigliche Kunst - 2e durchgesehen Auflage, Berlin 1928.
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