Crediti: "Rivista Massonica n.9 Novembre 1976 Vol.LXVII - XI° della nuova serie"  

 

"Crucifigat omnes"

Carmina Burana secolo XII

 

Alessandro Luzio, con il suo aspetto placido di bibliotecario dietro gli occhiali, il solino e il cravattino bianco, con la sua fama di clericale, di fascista (durante la campagna etiopica aveva composto un poema contro il Negus pretendendo che fosse pubblicato a cura dell'Accademia d'Italia di cui era membro e ancora nel periodo della Repubblica di Salò scorrazzava in camicia nera a dimostrare plaudendo la sua fede), di giornalista politico (redattore de L'Ordine di Ancona e poi direttore de La Gazzetta di Mantova), letterato da strapazzo che si affannava a far combaciare Voltaire con Teofilo Folengo, si spense a Mantova nell'agosto del 1946 (era nato a San Severino Marche nel 1857) senza lasciare dietro di sé nessuna eco di rimpianti.
Anzi con un sospiro di sollievo e un senso di ritrovato fervore da parte degli storiografi veri.
 

Perché il Luzio, storico, propriamente, non fu mai.
Dello storico gli mancava l'essenziale facoltà di saper risalire dall'arido dato archivistico alla interpretazione degli avvenimenti, alla visione prospettica delle vicende, all'indagine critica delle correnti ideologiche e di pensiero: a una costruzione sistematica e coerente insomma.
Rimase quello che si dice un frugatore di archivi, un ricercatore infaticabile di documenti, annodati poi con un sottile filo esplicativo in cui si rivelava più che altro il suo temperamento astioso, il suo spirito polemico, il suo carattere passionale.
«Seppe realizzare, annota A. Cajumi, il paradosso di esser, lui archivista, più tendenzioso dei filosofi della storia che la rimpastano a piacimento».
A questo suo impegno di pubblicista a tesi giunse casualmente, per cause accidentali, come lui stesso scrive, in seguito alla prima delle sue levate di scudi, quando, ancora direttore de La Gazzetta di Mantova, un giorno si buttò anima e corpo ad accusare Luigi Castellazzo (1884) di aver tradito i Martiri di Belfiore.
Subisce un clamoroso processo intentatogli da Felice Cavallotti e viene condannato. Per non scontare la condanna deve emigrare a Vienna (1893-1898), dove diviene corrispondente del Corriere della sera e della Gazzetta piemontese di Torino; ma nello stesso tempo si dà a rovistare negli Archivi imperiali ed a raccogliere una serie di documenti che, integrati con quelli che reperirà in seguito all'Archivio di stato di Torino, presso il quale, ottenuta la grazia, sarà nominato sovrintendente (1918-1934), costituiranno la base su cui costruirà la sua faziosa interpretazione del Risorgimento e della Massoneria nell'Ottocento.


Il tracciato del suo iter storiografico è semplice, addirittura semplicistico.
Si inizia con una riabilitazione sproporzionata della figura di Carlo Alberto; poi si volge contro la Massoneria per dimostrare che, nel periodo compreso tra il 1815 e il 1859, la setta... non è esistita e perciò non può aver avuto un peso nelle nostre vicende risorgimentali; e alla fine si conclude con la degradazione del Cavour a intrigante di poco rilievo e di modeste capacità, inferiore per ingegno allo stesso re Vittorio Emanuele II, che è tutto dire, e con la conseguente esaltazione polemica di figure di secondo piano.
Gli storici rimangono esterrefatti di fronte a tanta furia iconoclastica, intesa a dismagare, con ogni mezzo, l'opera della Massoneria, congiuntamente con quella del grande statista piemontese.
Adolfo Omodeo cerca di far cessare lo scempio invitandolo a rendere accessibili agli altri storici quelle carte d'archivio che egli considera una... personale riserva di caccia.
Ma il Luzio le difende con la pervicacia e il furore del mistificatore e del passionale.
Qualche altro, come il francese Paul Matter, gli rimprovera, ma inutilmente, le storture e i dirizzoni più macroscopici e monumentali.
Viene in mente la profezia fatta da Francesco Ruffini in una lettera ad Arrigo Cajumi:
«Serbo a Luzio molta riconoscenza per aver presentato ai lettori del Corriere la mia Giovinezza di Cavour, in termini tali che mi compensarono della fiera stroncatura di Enrico Thovez.
« Ed io ho la gobba della riconoscenza.
«D'altra parte io conosco tanto a fondo il Luzio (il quale, ad onta della sua sincera e commovente passione di ricercatore e di scrittore, non sarà mai uno storico obiettivo, perché sarà sempre trascinato dalla sua antica carriera di giornalista e di polemista a fare o il Pubblico Ministero, o la Parte Civile, o L'Avvocato difensore in ogni questione storica) che non mi adonto affatto nel sentirgli dire le cose straordinarie che va dicendo intorno a Cavour, e anzi quasi me ne diverto: tanto sono persuaso che questa sua campagna non farà che provocare una reazione, la quale ravviverà gli studi cavouriani e ridonderà a tutto vantaggio di quella grande figura».
 

Il che si è verificato puntualmente. Anche a vantaggio della Massoneria.
 

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