1. La Massoneria, in Italia come nel resto d’Europa, elabora e rende politicamente possibili i meccanismi di superamento dello Stato assolutista e permette la costituzione di una classe politica unitaria e autonoma dai tradizionali canali di selezione: la Chiesa, il ceto dei possidenti, la nobiltà, le corti monarchiche. Con la Massoneria, dalla Rivoluzione Americana del 1776 fino a quella Francese del 1789 alle rivoluzioni nazionali unitarie italiana e tedesca, si costituisce la “religione dei moderni”, ovvero la politica come costruzione della Nazione e il partito politico come meccanismo di collegamento tra identità settoriali e coscienza nazionale. Lo spazio di questa costruzione identitaria è quello della oscillazione, nel pensiero di Rousseau, tra “volontà generale” e “volontà di tutti”. La volontà generale è una idea e una verità oggettivamente esistente in ogni uomo al di là del fatto che egli la percepisca o meno. La volontà di tutti è la volontà empiricamente verificata in un popolo, che quindi non può non coincidere, presto o tardi, con la verità insita nella volontà generale. I partiti organizzano la volontà di alcuni gruppi, che non può non coincidere, alla lunga, con la verità oggettiva, con la “realtà effettuale della cosa”, per usare il termine del machiavelli che Hegel ricalca creando il lemma Wirklichkeit. La fenomenologia è il passaggio naturale e necessario dello Spirito dalla sua invisibilità unitaria e ineffabile alla sua realizzazione universale nella realtà e tra gli uomini. Ed è il modello concettuale che permette all’Illuminismo massonico tedesco di divenire il fermento che porterà prima alla riforma progressiva degli Stati tedeschi e poi di sostenere la Prussica nel suo sforzo unitario. E’ un meccanismo concettuale che sottostà al mito mozartiano e massonico del “Flauto magico”, in cui Papageno (l’uomo naturale e il primitivo) finisce per essere parte del tutto illuminato, previsto dal mago Sarastro. Quindi, secondo la tradizione esoterica della massoneria moderna, a carattere templare, le identità umane reali, come ebbe a dire un Iniziato di grande sapienza come Fernando Pessoa, sono tre: l’individuo, la nazione, l’umanità. Senza questo contesto sapienziale, e senza il riferimento al mito templare della massoneria moderna, non si capisce il ruolo della Fratellanza nel processo di costruzione della nazione, caratteristico della modernità europea, e nemmeno, e qui si specifica il ruolo del mito templare, il rapporto complesso e polemico della Massoneria con la Chiesa Cattolica. Il mito templare, sia chiaro, appare nella Massoneria europea nell’ambito della sua rinascita come Rito speculativo all’inizio del Settecento. Il mito templare, che ancora è presente nei gradi più alti del Rito Scozzese Antico e Accettato, è un simbolismo in cui la Chiesa Cattolica viene ritenuta colpevole, in combutta con l’assolutismo monarchico, dell’eliminazione dell’Ordine del cavalieri del Tempio, nucleo di origine dell’iter massonico. Anche il mito templare è pre-rivoluzionario: appartiene alla Stretta osservanza De Maistre, colui che riterrà la Rivoluzione del 1789 un “miracolo del maligno” e teorizzerà l’assolutismo moderno contro la deriva nazionalista-populista delle altre obbedienze massoniche influenzate dai Riti Scozzese e di York, di provenienza britannica e collegati alla tradizione rivoluzionaria degli Illuminati di Baviera. Quindi, l’idea di una Rivoluzione Francese come “congiura massonica” elaborata proprio dai Gesuiti e da Barruel non è del tutto priva di fondamento. 2. La rottura avviene, nell’ambito della tradizione massonica, tra due progetti che convivono agevolmente nel riformismo dall’alto della monarchia austriaca alla metà del Settecento (il “giuseppismo”) e nella modernizzazione forzata operata da Federico II di Prussia. Il quadro si rompe, e l’unità massonica si annulla, quando scatta la crisi della monarchia francese, derivata dal suo sostegno alla Rivoluzione Americana; e il resto d’Europa si allea per evitare sia il “contagio” ideologico dei princìpi dell’Ottantanove parigino sia la dominanza geopolitica della Francia nella penisola eurasiatica. La Francia del 1789 opera la sutura tra identità nazionale e principio rivoluzionario, mentre la Massoneria del resto d’Europa scopre il legame con la società tradizionale per difendere i propri stati dalla dominazione di Parigi, resa difficilmente controllabile da una invenzione della Rivoluzione massonica: la coscrizione obbligatoria di tutti i cittadini. In questa costante divisione tra Massoneria che si espande con il sistema rivoluzionario e Fratellanza che si riunisce con i ceti che pure combatte per difendersi dalla nuova geopolitica europea determinatasi dopo la Rivoluzione del 1789, sta la dialettica massonica tra Stato e Popolo, tra Nazione e Riforma, che passa attraverso tutto il dibattito massonico italiano dalla prima Loggia Regolare fiorentina alla scissione tra Piazza del Gesù e palazzo Giustiniani del 1908 fino all’avvento del fascismo e alla sua lotta contro i principi “demoplutogiudaicomassonici”; che pure non impedì affatto che il Gran Maestro Palermi di Piazza del Gesù facesse firmare al Duce il “manuale dell’Apprendista” durante il suo viaggio da Milano a Roma per l’omonima “marcia”. Tra i fascisti i Massoni erano numerosi, e appartenenti a tutte le “anime” del regime: Dudan, il generale Diaz, Padovani, Viola, Starace, Dumini, Costanzo Ciano, Italo Balbo, Rossoni, Acerbo, Bottai, Farinacei, e tanti altri. E certamente la Massoneria, forse più che in Germania, rappresentava per l’Italia tre sintesi necessarie: quella tra processo di unità nazionale e riforma borghese dell’economia e del diritto, la sintesi tra dimensione locale e classi dirigenti nazionali, la sintesi infine tra le diverse anime che costituiscono le classi dirigenti nazionali in Italia e Germania, dove la mai avvenuta tabula rasa della Rivoluzione Francese creava la necessità di un forte collante identitario di tutta la classe dirigente. Un collante massonico che diviene via via sempre più necessario quando si tratta di difendere l’unità nazionale appena raggiunta dall’opposizione estranea delle masse cattoliche (che non parteciperanno nemmeno al voto fino al Patto Gentiloni del 1913, nel quale si prevedeva che gli elettori cattolici sostenevano i candidati liberali e conservatori che fossero contrari a misure anticlericali. Il Patto aveva una finalità evidente: evitare, con l’apporto del voto cattolico, la crisi finale dello Stato liberale e risorgimentale che doveva combattere la vasta diffusione del movimento e del partito Socialista, costituitosi a Genova nel 1892 nella Sala Sivori dopo essere stato costituito segretamente alla “Società del carabinieri”, una associazione di copertura per una Loggia massonica con forti legami con il movimento positivista e sansimoniano. Quindi, i socialisti si fanno partito allontanando gli anarchici del Principe Kropotkin, massone, all’interno di un progetto politico e culturale di unificazione tra “masse e stato” in cui le massonerie francesi, già operanti in Italia durante le guerre napoleoniche, sostengono le sinistre parlamentari italiane. Ed è stata la Massoneria francese a elaborare il modello della “rivolta sociale” nelle organizzazioni settarie che, poi, si fondono e si trasformano nella Carboneria prima e nella “Giovane Italia” mazziniana poi. Mentre gli eredi di Cavour, massone all’Oriente di Ginevra, cercano di realizzare l’unità italiana intorno al Piemonte e tentano di acquisire le masse cattoliche alla Riforma unitaria e nazionale. In effetti, il progetto di “democrazia cristiana” nasce nella mente di Cavour, come partito per nazionalizzare le masse cattoliche da una parte e utilizzare la Chiesa di Roma, dall’altra, per proteggere e irradiare all’estero lo Stato Italiano. Tre progetti si incontrano nel sistema identitario della massoneria italiana e nella sua classe dirigente: la definizione e la “messa in sicurezza” dello Stato nazionale, la modernizzazione sociale e produttiva per permettere all’Italia l’uscita determinata dalla chiusura ai mercati esteri europei, la costituzione dell’identità nazionale delle masse, fossero esse cattoliche, socialiste, radicali, liberali. Una Massoneria che, in quel contesto, ben giustifica la formula gramsciana di “superpartito della borghesia”. Ma a cosa serviva il partito “della borghesia” e dello Stato, che unifica nel suo seno gli estremi del panorama politico? 3. C’è a questo punto da fare un parentesi: le classi dirigenti dell’ottocento, in Italia, sono molto ristrette. La media degli aventi diritto al voto è del 2,3% sul totale della popolazione, data la restrizione sul voto attivo allora presente in tutti i sistemi elettorali europei. E quindi, da un lato il sistema elettorale permette l’emergenza di elementi nuovi e sconosciuti alle classi dirigenti centrali (bastano 1200 voti per essere sicuramente eletti) e dall’altro c’è il pericolo di avere a che fare con rappresentanti con vincolo di mandato e privi dell’omogeneità culturale, politica, ideologica che permette non solo la stabilità politica, ma addirittura l’omogeneità antropologica e linguistica dell’Assemblea parlamentare. La Massoneria, erede della linea che costruisce lo Stato nazionale, è il collante della nuova classe politica unitaria. Ma è anche il sistema culturale e formativo della classe politica e della dirigenza pubblica. Ed è un fenomeno che nasce fin dall’inizio dei moti risorgimentali: fino alla Seconda Guerra di indipendenza, dall’aprile al luglio 1859, molti massoni italiani, costretti alla clandestinità, avevano finalizzato la loro attività politica al conseguimento dell’unità nazionale, e alcuni moti nei territori delle legazioni pontificie, il che avrebbe portato ad una crisi internazionale molto pericolosa per il progresso della causa nazionale. Fu per questo motivo che Cavour, con i capi della Società Nazionale, pensò di anticipare le azioni del Partito d’Azione e di creare un Oriente Massonico in Italia: il fine era quello di attenuare l’influenza delle tendenze mazziniane sulla formazione politica delle classi dirigenti locali e di unificarle sotto il controllo della Società Nazionale, che avrebbe fra l’altro dato unità al caos delle Obbedienze Massoniche che si era creato nel clima di clandestinità in cui erano costrette ad operare le Logge. L’8 Ottobre del 1859 fu creata a Torino la Loggia “Ausonia” che era completamente indipendente dai Grandi Orienti stranieri. Era l’inizio della costruzione della identità risorgimentale in tutta la classe dirigente dell’Italia non ancora unificata sotto l’egida della casa Savoia. Con la presa di Roma, alla fine della Seconda Guerra di Indipendenza, termina il ruolo della Destra storica e inizia l’egemonia della Sinistra, una coalizione di vari gruppi e uomini politici che si sono formati alla scuola della massoneria democratica e mazziniana, in gran parte fuori dalla rete della “Ausonia”. E’ la fase storica in cui gran parte dei dirigenti politici italiani risulta essere, parallelamente, ai vertici della Massoneria, che si era unificata nel 1887 grazie alla mediazione delle Gran maestranze di Lemmi, Petroni e Mazzoni. E’ in questa fase, nella quale la sovrapposizione tra classe politica nazionale e massoneria risulta massima, che l’anticlericalismo e la polemica contro la Chiesa Cattolica diviene una sorta di collante ideologico per la classe dirigente italiana. Ma i compromessi con i moderati e, indirettamente, con la stessa Chiesa attenuano il progetto di laicizzazione integrale che trova il suo culmine nel governo Depretis. Con l’industrializzazione rapidissima dell’Italia in quegli anni, la Chiesa riprende la rappresentanza, soprattutto a livello locale, del proletariato agricolo e della attività mutualistiche e di sostegno sociale al nuovo proletariato urbano. Si delinea, tra i tanti dualismi che caratterizzano la storia dell’identità italiana e delle sue strutture politiche, la differenza strutturale tra locale e centrale: tra strutture di rappresentanza territoriale, nelle quali la Chiesa recupera rapidamente la propria egemonia, e lo Stato centrale, ancora legato al laicismo massonico e all’anticlericalismo risorgimentale. Fu questo uno degli elementi determinanti del cosiddetto “autoritarismo” di Francesco Crispi; se lo Stato Unitario massonico e laicista perdeva potere culturale tra le masse agrarie del Nord e de centro, l’uscita da questa situazione di crisi nel rapporto tra Stato e masse popolari fu la costruzione, nel solco dell’anticlericalismo risorgimentale, dell’Italia come “grande potenza” europea e coloniale. La celebrazione del 1889, il centenario della Rivoluzione Francese, fu organizzata da Lemmi e da Crispi sulla base della contrapposizione tra Rivoluzione Francese e Risorgimento italiano: Roma laica contro Roma papale, esaltazione dell’identità e dell’unità nazionale, inaugurazione del monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma, con il volto corrusco del pensatore nolano che si volge, quasi a rimproverarlo al Cupolone di San Pietro. La frattura dell’anticlericalismo in Italia era poi visibile anche all’interno dell’Ordine massonico, vi era tensione tra le Logge milanesi e il Gran Maestro crispino Lemmi, con l’Oriente milanese schierato su posizioni democratiche vicine a quelle della Massoneria francese e fieramente contrarie alle avventura coloniali italiane. Parlare di Massoneria, soprattutto in Italia, significa parlare anche della politica estera della Penisola, con gli Orienti francese e britannico che tentano di influenzare le scelte politiche delle èlites italiane, e con la Massoneria italiana che cerca spazi, come peraltro accade ancor oggi, sia Oltre Atlantico sia in direzione dei paesi dell’Est europeo. 4. Vi è una geopolitica della Massoneria italiana, che reagisce in opposizione o collaborazione con i più importanti Grandi Orienti europei e statunitensi. E anche questo è un tratto costante della tradizione massonica italiana. Il punto non era, nella polemica interna all’Ordine massonico nazionale, l’anticlericalismo: per i Fratelli milanesi, in rapporto alla diffusione sia del socialismo “antinazionale” che delle società mutualistiche cattoliche, si doveva diffondere la Massoneria tra le classi operaie e tra il proletariato agricolo, per sottrarre il decisivo voto operaio alla tenaglia antirisorgimentale formata da cattolici “popolari” da un lato e da socialisti internazionalisti dall’altro. Adriano Lemmi rassegnò le dimissioni, richieste a causa della sua politica troppo vicina a Crispi, nel 1895. Gli successe Ernesto Nathan, simbolo del legame stretto che si era creato, nella fase risorgimentale, tra Ebraismo e Massoneria, tra modernizzazione delle comunità ebraiche italiane, e la loro integrazione nel tessuto locale e nazionale, e processo unitario, e soprattutto il porsi della Massoneria come polo di unificazione culturale e organizzativa della nuova borghesia italiana. Nathan fu, per molti aspetti, il contrario di Lemmi. Affermò che il colore della Massoneria “è il bianco, la sintesi di tutti gli altri colori, ad eccezione del nero, negazione della luce”. Il dirigente di una minoranza organizzata, le Comunità Ebraiche italiane, che si poneva come punto di sintesi, nel contesto post-risorgimentale, tra le tante e spesso irriducibili anime della borghesia laica italiana. Ma anche qui la divisione Nord-Sud, caratteristica delle fasi dell’unificazione italiana e della stessa geopolitica della penisola, si manifestò, come prima con Lemmi, all’interno dell’Ordine Massonico. Le Logge del Nord avevano dato vita al Grande Oriente di Milano, obbedienza alla quale aderirono Logge toscane, siciliane, liguri e campane, venne riconosciuto nel 1898 dal Grande oriente di Francia. Permaneva, nell’Italia unitaria, quella rete massonica filofrancese e rivoluzionaria che si era integrata nell’Ordine all’epoca di Filippo Buonarroti. Ma c’era anche in questione la geopolitica del Regno d’Italia: riunire l’Italia alla potenza rivoluzionaria francese, e ai suoi interessi, che contemplavano l’abolizione per il giovane regno della Penisola, di ogni prospettiva mediterranea e coloniale, o entrare, sia pure in ritardo, nell’equilibrio coloniale e mediterraneo delle potenze europee? Una dinamica di questioni che attraversa il periodo crispino, si definisce nella fase finale dell’Ottocento e prosegue, sia pure con tattiche diverse, nel ventennio fascista. Fu comunque nelle Logge “francesi” del Settentrione che prese forma l’opposizione democratica e di sinistra alla politica spesso reazionaria della fin de siécle italiana. Quindi, abbiamo alcune linee guida dell’interpretazione della Massoneria nella costruzione dello Stato Unitario: laicismo radicale, progetto minoritario di massonizzazione dei movimenti socialisti e radicali al Settentrione, rapporto tra questione sociale, diffusione degli ideali del Risorgimento nelle masse che ne erano state escluse, la scelta determinante della politica coloniale come affermazione simultanea della Nazione italiana unita e della sua indipendenza rispetto agli interessi delle Potenze europee che ne avevano peraltro favorito il raggiungimento. Per la Francia, l’Italia unita era il bastione nel Mediterraneo che interrompeva la continuità strategica della Gran Bretagna e degli Imperi Centrali. Per la Gran Bretagna, l’Italia unita era l’asse mediterraneo che permetteva la sicurezza delle comunicazioni da un estremo all’altro del parallelo mediterraneo: da Gibilterra alla Palestina, fino all’estremo oriente. Per la Germania, l’Italia poteva essere un asse longitudinale che impediva la continuità strategica di Francia e Inghilterra, evitando la chiusura della Germania verso le pianure dell’Est, a contatto con la Russia e l’area balcanica. Come si vede, la geopolitica non cambia molto durante le epoche e i cambiamenti governativi. 5. E la Chiesa cattolica, al centro di queste linee di frattura, già costruiva la sua nuova egemonia nella società, lasciando che la classe politica si destrutturasse nelle sue contraddizioni tra Nord e Sud, laici e clericali, conservatori e progressisti, localisti e unitari. Tutte linee di frattura che correvano dentro la Massoneria come all’interno delle altre identità politico-culturali del Risorgimento italiano, come per esempio i cattolici liberali di Alessandro Manzoni e le “insorgenze” clericali nel Meridione appena acquisito alla unità nazionale. La lotta della Chiesa cattolica contro la Massoneria, in quanto asse portante del processo unitario, che chiudeva la geopolitica dello spazio papale e “italianizzava” malgrado tutto, la Chiesa Cattolica, fu durissima. Il pontificato di Pio IX, per esempio, si manifesta con l’Enciclica “Qui pluribus” contro le sette, del 1846, l’allocuzione “Quibus Quantisque” del 1849 con cui Pio IX respinge la diceria della sua affiliazione alla Massoneria, e con la più famosa “Quanta cura” del 1864, con il relativo, e ormai famosissimo, “Sillabo”. Il Concilio Ecumenico Vaticano I, svoltosi dopo l’esecuzione dei patrioti garibaldini Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti a Piazza del Popolo nel 1868, fu la cifra della lotta contro la Massoneria e il suo progetto di Stato laico e nazionale. Il centro della “risposta” vaticana al processo risorgimentale, che creava un isolamento potenzialmente mortale del Vaticano nell’equilibrio delle potenze europee, fu incentrato nella dichiarazione della infallibilità papale e nella lotta intransigente della Chiesa contro il razionalismo. Ai membri del Concilio residenti in Roma Giuseppe Mazzini scriveva che “il vostro domma si compendia in due termini, caduta e redenzione, il nostro nei due Dio e Progresso”. L’”anticoncilio”, organizzato dal massone conte Ricciardi e che vide, non a caso, l’adesione del Grande oriente di Torino, quello della Loggia “Ausonia” creata da Cavour, si tenne alla presenza di Victor Hugo al Teatro San Ferdinando, si basava sulla assoluta separazione tra Chiesa e Stato e sulla costruzione di una morale “italiana” estranea alle religioni rivelate. Un processo ideologico che sarà realizzato, solo in parte da Mussolini, estimatore di Crispi, ma, è bene notarlo, dopo il Concordato e i Patti Lateranensi del 1929. Gli “anni del consenso”, come furono chiamati da Renzo de Felice, si basarono sulla intuizione mussoliniana della assoluta necessità della ricomposizione tra fede cattolica del popolo e Stato Unitario. Nella Massoneria, poi, venivano alla luce, come peraltro nella Francia di quegli anni, una Obbedienza esplicitamente atea, diretta dal fiorentino Giuseppe Dolfi. Ma la linea della riconciliazione tra Stato e Chiesa, essenziale per recuperare la distanza tra Stato unitario e masse popolari, era stata portata avanti proprio dal “fratello” Depretis, nel 1887, quando Leone XII fece marcia indietro. E peraltro da parte massonica rimaneva intransigente l’opposizione ad ogni tipo di “conciliazione” ritenuta esiziale per la “patria italiana”. Si noti inoltre che la polemica anticattolica di molte aree della Massoneria si riequilibra con la polemica antimassonica di personaggi che raggiungono vasta fama, come Leo Taxil, che fu ricevuto dal papa Leone XIII nel 1886 e, da massone “pentito”, il Taxil diffuse fantasiose ricostruzioni di rituali demonologici nel Rito Scozzese Antico e Accettato, e la narrazione fantasiosa di coiti con il maligno da parte di Diana vaughan, all’epoca fondatrice del “palladismo” e nota esoterista. La Massoneria, un po’ come oggi, diviene oggetto di polemiche di bassissimo profilo, che però sono indicative di un processo ideologico e politico importante: la demonizzazione della Fratellanza implica la diffusione del mito della estraneità delle masse popolari, cattoliche o socialiste, al processo unitario, e manifesta una debolezza propagandistica e pubblicistica della Massoneria chi rimarrà, in Italia, il “partito della borghesia”, come lo definirà Antonio Gramsci. Ma il laicismo risorgimentale e massonico continuava a determinare l’immagine pubblica della Fratellanza: si pensi all’inaugurazione a Venezia, nel 1892, del monumento a Paolo Sarpi, lo storico del Concilio di Trento, il monumento a Mazzini, in quello stesso anno, a Roma, e soprattutto quello a Garibaldi sul Gianicolo, opera del fratello Emilio Gallori, inaugurato nel venticinquesimo anniversario della presa di Porta Pia, il 20 settembre 1895, da Crispi, alla presenza del Re, in cui venne sottolineato il valore essenziale del Risorgimento, come “conquista laica” e che rappresentava, nella “debellatio” del potere clericale l’essenza della liberazione dell’uomo, il punto di arrivo della Rivoluzione Francese. 6. Importante qui notare come la propaganda Crispina, in termini antifrancesi per questioni di espansione coloniale, impostasse il Risorgimento italiano come “compimento” della rivoluzione del 1789, come punto di sutura tra l’affermazione del Trinomio rivoluzionario nel quadro della libertà e della identità nazionale. Ma la questione era anche più politica e immediata: si trattava di raccogliere i voti dei cattolici. Il Papa Leone XIII aveva ribadito, nel 1894, con una enciclica indirizzata al clero italiano, in cui si sconfessavano i cattolici “conciliaristi”, mentre da parte massonica non mancò l’azione di pressione, nei confronti del Governo, per una linea di intransigente laicismo in varie occasioni, come ad esempio nel Congresso Universale della pace all’Aia del 1899, dove si impose che non venisse invitato il papato, o le famose “Circolari di Rudinì” del 1897, nelle quali si tendeva ad ostacolare l’attività delle associazioni cattoliche. Il massonismo, in una situazione di debolezza strutturale della classe dirigente italiana post-risorgimentale, diviene il trait d’union delle numerose e divergenti caratterizzazioni locali, sociologiche, geografiche, ideali della èlite unitaria, e l’anticlericalismo diviene una sorta di minimo comun denominatore per le varie frazioni della classe dirigente italiana. E il collante massonico richiede, nell’equilibrio tra papato e cattolici italiani, un tratto fieramente anticlericale. E, dall’altra parte, questo elemento determinerà quelle tipologie di “risorgimento incompiuto” che caratterizzeranno tanta storiografia sulle cause della crisi italiana in rapporto al socialismo e alla autodistruzione delle élites unitarie dopo la Prima Guerra mondiale e l’avvento del fascismo. Solo Pio X, permettendo il “Patto Gentiloni” del 1913, capisce il gioco: il voto dei cattolici è permesso ai candidati che apertamente si oppongano a “leggi antireligiose”, e quindi la storia della massoneria come elemento di saldatura, sul piano dell’anticlericalismo, delle varie parti della classe dirigente post-risorgimentale avrà uno sviluppo ben diverso da quello che potevano prevedere i Crispi e i Depretis. Ma occorre immettere nel nostro quadro un altro elemento determinante, quello relativo al rapporto Nord-Sud dopo l’unificazione nazionale. Ed è un elemento che spiega molti dei tratti ferocemente anticlericali della classe dirigente post-risorgimentale. A partire dagli anni ’70 e poi, in particolare negli anni ’90, in coincidenza con la trasformazione che si semplifica oggi nel passaggio dalla “Prima” alla “seconda” Repubblica italiana, si è studiato in modo approfondito il quadro delle insorgenze antiunitarie che, nel decennio successivo all’unificazione, venivano definite come “brigantaggio”. Gli storici di ispirazione fascista o nazionalista, come Rota, Rodolico, o quelli di ispirazione marxista o crociata, hanno tutti cercato di marginalizzare il fenomeno del brigantaggio, che invece fu propriamente una vera controrivoluzione svolta dagli italiani, soprattutto nel Sud, contro la Rivoluzione Francese così come si stava trasferendo nella Penisola. Già Gramsci e Gobetti, con toni diversi, avevano iniziata la “desacralizzazione” e la revisione della mitologia unitaria e risorgimentale, e Gramsci in particolare aveva parlato del Risorgimento come “rivoluzione incompiuta” ovvero solo borghese e per niente proletaria, ovvero il dirigente comunista sardo voleva sottolineare l’estraneità della borghesia massonica e unitaria al suo popolo, lo scarso radicamento degli ideali unitari e laici tra le masse, sia al Nord che al Sud, con il popolo italiano che rimase estraneo all’azione politica della classi dirigenti, spesso coordinata dalla Massoneria. Un modo diverso, quello di Antonio Gramsci, di rileggere il famoso slogan di massimo D’Azeglio che, “dopo aver fatta l’Italia, occorreva fare gli italiani”. L’antimassonismo di molti socialisti (anche se il PSI nasce in area massonica e positivista) e l’assoluto rifiuto parallelo di Massoneria e Unità nazionale mostrato da papa Leone XIII e, per molti versi, dal suo successore, era il frutto di una percezione comune alla sinistra popolare e al cattolicesimo sociale: l’unità dell’Italia era, per così dire, un’operazione gestita non solo fuori da un rapporto con le masse, ma addirittura “contro” le masse popolari. 7. Il “brigantaggio” meridionale ne è una spia, e si tratta di una rivolta che, da un lato, difende le credenze antiche delle popolazioni locali contro un incompreso “laicismo” (si pensi al cardinale Ruffo e alla sua “santa Fede”) ma rappresentava anche la rivolta sociale, come per esempio nel brigantaggio di Chiavone e di tanti altri, in cui la rivolta contro “li piemontesi” era anche la lotta contro la coscrizione obbligatoria, che spopolava i campi, e l’eccesso di tassazione, che poneva nelle mani dell’usura camorristica i piccoli contadini. L’altro elemento, collegato al brigantaggio, è l’inizio della emigrazione di massa. Gli emigranti sono “masse pericolose” e la loro partenza deprime il sud e evita che esso divenga una mina vagante per l’intero processo unitario. Inoltre, le prime guerre coloniali creano il “mito della nazione” che si materializza in simboli, rituali, manifestazioni dal carattere spesso a- o addirittura anticattolico, nell’opposizione, caratteristica della propaganda Crispina, tra “martiri” delle guerre coloniali e “santi” della Chiesa Cattolica. Tutti temi che, con le opere di Ernesto Galli della Loggia e di Emilio Gentile, permettono di ridiscutere il Risorgimento in termini di “religione della patria” e di genesi spirituale, non solo politica, del movimento fascista, che realizza l’unità con la sua specifica religione della patria e con la distruzione parallela della Massoneria e del socialismo, oltre che nella negazione operativa del liberalismo. Una problematica della “morte della patria”, come Galli della Loggia ha definito l’Otto Settembre 1943, e una tematica che, come ha riferito Emilio Gentile, elabora il lungo filo rosso della “guerra civile tra gli italiani”. Ma, in questo contesto, cosa ne è della Massoneria come modello di unificazione delle classi dirigenti unitarie? Potremmo dire che la Fratellanza, intanto, unifica le classi dirigenti, che erano diverse e di differente qualificazione e identità storica e sociologica. Potremmo anche ricordare che la Massoneria, non direttamente ma attraverso le sue strutture parallele, collabora talvolta alla crescita culturale e civile degli italiani, soprattutto nel centro-nord, e penso alle reti di “Società mazziniane di mutuo soccorso” o alla cooperative repubblicane, o ancora si ricordi il grande sviluppo di associazioni di “elevazione culturale” come l’”Umanitaria” di Milano, sorta peraltro con il sostegno primario di un imprenditore ebreo e massone. O ancora alla legge Casati sull’istruzione obbligatoria, del 1859. Insomma, se è vero che la Massoneria rappresenta il collante delle élites risorgimentali e che esiste un “Risorgimento” come rivoluzione incompiuta, è anche vero che sia la tesi di Antonio Gramsci che quelle di Galli Della Loggia e di Emilio Gentile scontano un eccesso di accusa di élitismo al risorgimento massonico, che certamente fu infinitamente più lontano dalle masse popolari della Rivoluzione Francese del 1789, ma non fu invece, come qualche divulgatore tende oggi a proporre, una sorta di congiura degli Illuminati. Le parole di Giuseppe Montanelli sono rivelatrici: “V’erano due Italie: quella dei letterati, dei medici, degli avvocati, degli artisti, degli studenti; e l’Italia dei contadini, degli operai, dei preti e dei frati. Dalla prima uscivano le congiure liberali, la seconda vedeva passare le rivoluzioni, apparire e scomparire la bandiera tricolore, senza commuoversi punto”. E per far entrare una idea nuova nelle menti e nei cuori delle masse popolari, occorreva o togliere le masse dalla direzione del clero, o persuadere il clero a mettersi egli stesso alla testa del progresso liberale. E quindi, si spiega, se non possiamo giustificare, che non è il mestiere dello storico, il radicalismo anticlericale della Massoneria risorgimentale. E, se vediamo con queste prospettive gli anni più vicini ai nostri, possiamo osservare come il Fascismo abbia portato con sé nella tomba, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il ceto dirigenziale laico e risorgimentale che aveva vissuto a lato o addirittura collaborato con il regime (i casi IRI e IMI sono esempi essenziali) e sia emerso, in un contesto di “guerra fredda” tra Est e Ovest, che si combattono dentro l’Europa e fino ai confini Nord Est dell’Italia, il contesto dell’Italia cattolico-popolare che era rimasto ai margini del processo unitario. 8. E, aggiungeremo noi, nella fase in cui il cattolicesimo democratico perde la sua egemonia e centralità nel sistema politico italiano, tra la “Prima2 e la “Seconda” Repubblica, rinascono le due fratture strutturali del processo unitario: quella tra Nord e Sud e quella tra identità locali e Stato centrale. E si aggiunga che la crisi della cosiddetta “Prima Repubblica” era stata prefigurata dalla questione della Loggia Propaganda 2, un progetto di unificazione massonica della classe dirigente che salda insieme, diversamente da come era avvenuto nella fase tra Crispi e Depretis, cattolici e laici, destra e sinistra e, in particolare, interessi locali e proiezione internazionale dell’Italia. Tutto ritorna, sia pure in forme e modi diversi. Ma la Massoneria era significativa, nella rete delle élites italiane risorgimentali, perché portava la Rivoluzione Francese all’interno dell’Idea nazionale italiana. La Massoneria, in altri termini, salda insieme una classe dirigente marginale e scarsamente importante nell’Europa dei primi decenni del secolo XIX, e la proietta nel “grande gioco” europeo. In una “Istruzione” dell’Alta Vendita della Carboneria del 1817, si afferma dunque che “il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della Rivoluzione Francese: l’annientamento per sempre del Cattolicesimo ed ancora dell’idea cristiana, che se resta in piedi sulle rovine di Roma ne avrebbe perpetuazione”. E il neoguelfismo di Gioberti era una teoria che cercava di agganciare i cattolici e i moderati alla Rivoluzione Italiana, per distruggere l’Impero Austro-Ungarico (come poi accadrà nella Prima Guerra Mondiale, uno dei più tragici errori geopolitici dell’Europa moderna) e dopo l’eliminazione del referente austriaco del papato ricostruire la tradizione duramente clericale della carboneria e della Massoneria. E però si ricorsi che, per Carlo Alberto di Savoia e per Cavour, il fine della Rivoluzione Liberale italiana era quello di estendere il Regno del Piemonte al Lombardo Veneto e all’Emilia, secondo i vecchi confini della Repubblica Cisalpina durante la fase napoleonica, e le Marche pontificie e il Meridione erano visti, nel caso migliore, come aree di protezione del nuovo Regno dalle tensioni mediterranee e di stabilizzazione dei confini a sud, verso la Toscana. Due geopolitiche si inseriscono quindi nella Rivoluzione Italiana e nella progettazione massonica del Risorgimento: una scelta di stabilizzazione del Regno di Sardegna che lo renda credibile e arbitro nell’area centro-europea, verso la Francia e la Svizzera e da lì verso la Germania, e il progetto di un regno d’Italia unitario che proietta il Nord verso il Mediterraneo e i Balcani. Non a caso, infatti, le operazioni coloniali del siciliano e garibaldino Crispi furono verso il Corno d’Africa e la Libia, e non a caso la consorte di Vittorio Emanuele III fu scelta nei Balcani. Ma la chiave della “Rivoluzione Italiana” rimane Cavour. Il fondatore, per interposta persona, della “Ausonia” e l’organizzatore della “Società Nazionale”. Come il moderatismo post-cavouriano riesce, sia pure senza il genio politico del Conte Benso, a portare in un’area di “grande centro” tutte le istanze della élite risorgimentale e post-unitaria, così la linea di Cavour riesce a spiegare il misto di azzardo, moderazione, acume politico e strategia globale che permette a Camillo Benso di gestire tutte le fasi della unificazione nazionale. Quando il Conte muore, il 6 giugno 1861 a 51 anni, lascia alla futura classe dirigente un “regno piemontese” una entità mai esistita precedentemente nella penisola, un sistema politico estremamente frazionato, una riunificazione ancora in fieri e, soprattutto, la chiave della unificazione, anche attraverso la Massoneria, delle classi dirigenti del nuovo Regno. Le problematiche del nuovo regno sono note: il debito pubblico alle stelle, dalla Seconda Guerra di Indipendenza in poi, i costi della conquista del Sud, che saranno moltiplicati dalle spese necessarie alla repressione del banditismo, il problema della sistemazione amministrativa del nuovo Stato, la politica estera del nuovo regno d’Italia. E qui una problematica tipicamente massonica viene alla luce all’interno del dibattito politico successivo alla morte di Cavour: scegliere tra l’unitarismo accentratore di Rattazzi e il decentramento di Minghetti significava, anche, definire il rapporto tra i vecchi Orienti degli antichi Stati italiani, in rapporto a quello nazionale, e scegliere un diverso sistema di selezione tra le classi dirigenti regionali del nuovo Regno. E qui si staglia la questione storica e ormai secolare della corruzione della classe dirigente, che pure Cavour ben conosceva, e della sua aspra valutazione del garibaldino 8che odiava) e della limitatezza dei suoi più vicini collaboratori, Rattazzi, Farini, Ricasoli . 9. Un sistema politico debole, isolato dalla Francia ormai spazientita di Napoleone III, con il Papa che, conoscendo la fragilità del Regno unitario, vuole dare battaglia fino in fondo, e le masse meridionali, che vedono i “piemontesi” come usurpatori. In tutte queste situazioni, la Massoneria darà il meglio di sé senza poter sostenere, da sola, la radicalità delle sfide. E in questo contesto politico, di crisi interna e di freddezza internazionale, che si situa la storia della Massoneria unitaria. Il Grande Oriente Italiano fu nominalmente una reincarnazione dell’organizzazione massonica voluta, da Napoleone I, a Milano, L’imperatore di origine toscana voleva far coesistere un Grande Oriente italiano così come esisteva un Grande Oriente a Parigi, in funzione della costituzione di un Regno d’Italia amico dell’Impero francese. La scelta di costruire un altro Grande Oriente italiano, con la Loggia “Ausonia” di cui abbiamo già parlato, era da un lato la dichiarazione di autonomia della Massoneria italiana liberale e moderata dalla politica estera francese, dall’altro il tentativo di neutralizzare (anche qui, in nuce, un contrasto Nord-Sud) del centro massonico palermitano, emanazione degli ambienti democratici garibaldini e denominato Consiglio della Massoneria Italiana, basato sul Rito Scozzese Antico e Accettato. Una Massoneria meridionale, che oggi diremmo “di sinistra”, che si orienta sulle necessità politiche e geopolitiche inglesi in contrasto con un Oriente Piemontese che, pure di origine francese, ha abbandonato la Casa Madre del Grande Oriente di Francia. La differenza rituale è una delle cause più profonde del dissidio, oltre alla diversità di orientamento politico. In Massoneria, peraltro, la diversità di sensibilità rituale e simbolica conta, spesso, molto di più della diversa impostazione politica. E infatti l’idea di imitare l’Impero francese, che aveva con successo tolto ai democratici e ai repubblicani l’egemonia delle reti massoniche con il Grande Oriente costituito da Napoleone, fu alla base della ipotesi di Grande oriente piemontese. Nelle prime tre assemblee generali massoniche il gruppo torinese riuscì nell’intento di costituire un notevole numero di Logge sull’intero territorio nazionale, per utilizzarle come una sorta di “camera di compensazione” delle diverse sensibilità politiche unitarie, ma dopo il 1864 la leadership passò alla “sinistra” democratica che, pure nell’ambito di una assoluta fedeltà alla legalità e alla Corona, fu elemento di opposizione al sistema “piemontese”, sostenendo sia Crispi, garibaldino siciliano, che Depretis, mazziniano “pentito” di Brescia. E in questo contesto ideologico che, ap arte il caso di Ernesto Nathan, di cui abbiamo già parlato, si situa l’esperienza di David Levi tra massoneria e Ebraismo, nella fase di costituzione del Programma presentato alla Prima Assemblea Massonica Costituente del gennaio 1862 a Torino. Ma, in effetti, il movimento nazionale italiano ha forti ambiguità ideologiche, oltre che pratiche. Il Montanelli, nello scritto già citato, definisce il movimento nazionale come “nato nelle viscere non già della rivoluzione, ma della controrivoluzione, perché lo straniero, contro cui l’Italia prese prese per la prima volta il problema della sua personalità, il suo io nazionale, non fu il tedesco, ma il francese,. Così, fu stretta una alleanza tra i partigiani del passato e gli apostoli dell’avvenire”. Non si potrebbe dir meglio per caratterizzare sia la storia della Massoneria post-unitaria che la stessa fisionomia dell’identità nazionale italiana, anche oggi. 10. Prima del 1830 l’internazionalismo conservatore della Santa Alleanza stimola per contrasto la formazione di una ideologia nazionale, soprattutto in Italia. La “Santa Alleanza dei popoli” teorizzata da Mazzini e gli “Stati Uniti d’Europa” evocati da Carlo Cattaneo nascono sull’onda degli scritti dei democratici francesi del Globe, giornale massonico successivamente sansimoniano e positivista. Saranno le origini anche del partito Socialista Italiano, nella Genova francofona del 1892. Anche nel Conciliatore, nel biennio 1818-19, si fanno avanti insieme elementi illuministici e utilitaristici, tipici della cultura scozzese e settecentesca, con tematiche tipiche del romanticismo tedesco, filtrato dal cenacolo della De Stael e delle sensibilità “cristiano-europee” del Di Breme e della tradizione di Novalis. La letteratura gioca il suo ruolo: è la lettura dei Promessi Sposi che induce il Mazzini ad abbandonare, intorno al 1827, il suo pessimismo di radice foscoliana. E questa diversa strutturazione delle sensibilità unitarie si riscontra anche nella geografia delle logge: anche sui dati, certo parziali e tardi, del 1885, si verifica che il 30,8% delle Officine si trovava in Toscana, il 14% in Campania e in Sicilia, il 9,3% in Liguria. La crescita maggiore delle Logge si registra in età giolittiana, e si attua nel centro-sud, dove si espande la tradizione massonica dell’Oriente palermitano retto da Garibaldi. Nell’ambito del Supremo Consiglio di Palermo operavano, dopo l’Unità, circa cento Logge, e con qualche presenza in Liguria e in Toscana. La tradizione Scozzese si sovrapponeva alla amicizia per la Gran Bretagna di queste Logge, che spesso diedero origine a circoli, associazioni e società di Mutuo Soccorso che fecero parte della Prima Internazionale. Nel 1872, superati gli elementi di attrito e trovato l’accordo sulle formule “libertà di rito, unità di governo”, le Logge siciliane decisero di convergere nel Grande Oriente di Italia. Fu uno “spostamento a sinistra” del GOI, in cui vennero accentuate le esperienze di democrazia interna, e fu in questo contesto cge si deve leggere la scissione massonica di Piazza del Gesù del 1908. E’ questa il vero “redde rationem” della massoneria italiana nell’incrocio tra politica e pedagogia nazionale che l’ha caratterizzata negli anni successivi all’Unità. Lo scisma del Rito Scozzese Antico e Accettato dal GOI è basato su una scelta politica: l’accentuata radicalizzazione del Grande oriente, con l’ascesa alla Gran maestranza di Ettore Ferrari, la forte caratterizzazione anticlericale delle Logge italiane, e quindi colpisce al cuore la questione essenziale della classe dirigente italiana durante e dopo l’Unità nazionale: come gestire il rapporto con i cattolici e come rapportarsi a quelle frazioni della élite dirigente che non hanno né partecipato né sono culturalmente affini alle ideologie che hanno costituito la spina dorsale del Risorgimento? Il 26 Giugno del 1908, a seguito della elezione illegale di Achille Ballori quale capo del rito scozzese, Saverio Fera dichiarò risolte le costituzioni del 1906 e sciolto il Grande Oriente d’Italia. 11. Il 13 Luglio di quell’anno Ferrari espulse Fera e tutti i massoni del Gran Consiglio a lui vicini, ma solo nove Logge del GOI seguirono Saverio Fera, che invece ebbe rilevanti sostegni dai gradi alti del Rito. Solo nel giro di un anno, la nuova obbedienza massonica già contava più di cento Logge e soprattutto al Sud, dove la Gran Loggia d’Italia superò, per numero di aderenti, il Grande Oriente. Segno che la frattura tra Massoneria radicale e garibaldina, e comunque legata alle nuove istanze sociali al Nord e al centro, si trovava in difficoltà in rapporto alla nuova dislocazione delle classi dirigenti locali italiane. Nel 1912, comunque, la Gran Loggia d’Italia ottenne il riconoscimento della Conferenza Mondiale dei Supremi Consigli del Rito Scozzese Antico e Accettato. La divisione tra le due Massonerie fu essenziale anche nella valutazione della crisi del primo dopoguerra e nell’avvento del Fascismo. Raul Palermi, Gran Maestro dal 1919, ebbe simpatia per il nascente regime e sostenne, in vario modo, il fascismo fino alle repressione antimassonica del 1925. Era ovvio: il fascismo era, appunto, il “fascio” che univa insieme le forze che avevano accettato con qualche ritrosia il Risorgimento e di quelle tradizioni politiche che lo avevano radicalmente rifiutato, e che si trovavano, in Italia, in sostanziale maggioranza sul piano della capacità di mobilitazione delle masse. E comunque il fascismo, ideologia totalitaria, non aveva alcuna necessità né interesse a rivenire tributario di una Massoneria, sia pure in rotta con il radicalismo democratico del GOI e che comunque gli impediva il vero progetto del Regime: la pacificazione con la Chiesa cattolica in nome dell’”antirisorgimento” fascista e del suo rifiuto della democrazia parlamentare, che Mussolini vedeva comunque come elemento di de-nazionalizzazione del processo decisionale. Ma la personalità di Fera ci dice molto della Massoneria di quegli anni. Cristiano appartenente alla “Chiesa Cristiana Libera” di mac Dougall, giornalista e polemista anticlericale, rappresenta il progetto, che pure fu presente in non trascurabili aree della élite risorgimentale, non di un ateismo di massa come nella Rivoluzione Francese del 1789, e nemmeno di un accomodamento ai vertici del potere con i cattolici “neoguelfi” e le classi dirigenti conservatrici, ma il perseguimento del Risorgimento non solo come “Rivoluzione Liberale” e unitaria, ma anche come “Riforma religiosa” con caratteristiche protestantiche. E’ una nuova lettura della tradizione risorgimentale: la scelta di una riforma culturale e religiosa in rapporto alla nuova composizione della “Rivoluzione Italiana”, il Risorgimento. E certamente questa linea di pensiero poteva riunire nuovi tipi di classe dirigente in Italia: la borghesia delle minoranze religiose, molto presente nel NordOvest, settori del modernismo cattolico, addirittura alcuni settori del fascismo, interessati più di altri alla costruzione di una “religione nazionale” che inglobasse, superandola, l’epica risorgimentale. Ma anche qui, come vedremo in seguito durante il secondo dopoguerra, occorre comporre insieme la struttura e gli equilibri delle classi dirigenti nazionali, composite e frazionate anche nell’acme dello sforzo unitario del Risorgimento, con la geopolitica della nazione italiana unitaria. La Gran Bretagna, che ha aiutato il processo di unificazione nazionale italiano, cerca, come abbiamo visto, un Paese amico nel Mediterraneo sufficientemente coeso e forte per evitare la proiezione di potenza germanica e austriaca nel quadrante Mediterraneo, fino al medio oriente, la Francia cerca un alleato per chiudere la Germania nel suo sistema continentale, la Germania infine identifica nell’Italia un eventuale alleato per creare una “zona di coprosperità” con il suo Nord e inserire elementi di turbolenza proprio nel sistema mediterraneo centrale. E’ da questo equilibrio debolissimo dell’Italia come “Paese in bilico tra Mediterraneo e Europa”, come affermava Ugo La Malfa, che si dipana la matrice delle interconnessioni tra frazionismo delle élites nazionali e complessità degli interessi geopolitici in gioco sulla Penisola. Oggi, potremmo aggiungere che questo sistema di equilibri strategici è modificato dalla pressione da Sud del maghreb e dalla nuova collocazione della Spagna come chiusura geopolitica tra Europa continentale e Mediterraneo centrale. 12. Una collocazione determinata dalla “germanizzazione” economica e, per certi versi politica, della Spagna post-franchista. Il Fascismo, che pure annoverava numerosi massoni, come abbiamo visto precedentemente, dal 1925 e più evidentemente dalla firma del Patto con Berlino del 1939, giuoca una carta di asimmetria massima con l’equilibrio delle potenze e tra le potenze europee e le élites italiane creando l’Asse con la Germania nazista, anch’essa fortemente venata di antimassonismo, e abbandonando la correlazione di forze tra Francia, Gran Bretagna e la stessa Germania che aveva permesso da un lato l’Unità italiana e la crescita economica nazionale fino al decennio giolittiano. Ma nella caduta del regime fascista, in cui la massoneria ha certamente giocato un ruolo non trascurabile, si ridisegnano le alleanze internazionali che hanno determinato la geopolitica unitaria italiana. La Presidenza Roosevelt identifica, con Myron taylor in Vaticano, la Chiesa cattolica sia come unico elemento di riunificazione del Paese in funzione anti-Patto di Varsavia e, collateralmente, come luogo di riequilibrio, nel Mediterraneo, della Francia instabile della IV Repubblica e successivamente del nuovo ordine gollista. E naturalmente questo significa ricreare, all’interno della nuova classe dirigente postfascista, un sistema di relazioni, al quale la Massoneria non è estranea, che riportano intorno alla Chiesa cattolica vaste aree della classe dirigente laica e laicista dell’Italia Repubblicana. E’ con la “guerra fredda”, da un certo punto di vista, che si ricostruisce un progetto neoguelfo in Italia. Quindi, per riassumere, potremmo affermare che la massoneria italiana ha racchiuso in sé varie anime, nel suo percorso dal Risorgimento all’Unità fino alla Repubblica: in una prima fase, è stata il collante pressoché unico delle avanguardie unitarie dei vecchi Stati della Penisola, ha quindi ricostruito una identità sia nazionale che internazionale omogenea per la classe dirigente successiva alla seconda Guerra di Indipendenza, ha poi fornito il legame tra classi dirigenti “centriste” prima cavouriane e poi giolittiane e i settori più progressisti della classe politica nazionale, ha infine impostato, all’interno del sistema di potere crispino, una politica estera insieme nazionalista e non del tutto sgradita agli alleati europei con l’eccezione della Francia. 13. Il rapporto tra massoneria e Socialismo è, come abbiamo visto, molto più complesso. La Fratellanza ha rapporti con il movimento repubblicano di Mazzini, e perfino alla fine della “Prima Repubblica”, nella seconda metà degli anni ’90 del XX secolo, il Gran Maestro di Palazzo Giustiniani siederà nel Consiglio nazionale del PRI. Il primo parallelo che viene in mente, in questo caso, è il rapporto tra liberalismo massonico Whig e costituzione del labour party in Inghilterra. Le “Trade Unions” non gradiscono, all’inizio, un partito socialisteggiante e preferiscono votare in massa i rappresentanti liberal e Whig. Il Socialismo italiano nasce certamente in un ambito massonico, sia pure di area sansimoniana e francese (in latente opposizione con la massoneria tradizionale di area anglosassone e cavouriana) ma si costituisce in un rapporto simbiotico con molta parte della tradizione massonica liberale e del radicalismo “borghese” che non ha trovato sfogo nel sistema parlamentare del Regno. Classe dirigente spesso massonica quindi, nel PSI, e ceti popolari che lo votano talvolta largamente influenzati dall’odio antimassonico della tradizione italiana preunitaria e dalla propaganda non solo cattolica, ma anche del liberalismo moderato. E quando Mussolini lancerà dalle colonne de “L’Avanti” la sua campagna antimassonica dentro il PSI, vorrà “fare il pieno” dei voti popolari al socialismo italiano, pescando anche in elettorati lontani dal partito, ma si proporrà soprattutto di creare le condizioni della rottura tra PSI e borghesia laica e massonica, che aveva tenuto il socialismo italiano nel solco di una opposizione interna alla logica delle classi politiche cavouriane e giolittiane. E’ con la lotta antimassonica (e antiriformista) di Mussolini dentro il PSI che inizia, di fatto, il Fascismo italiano. Che poi diverrà quello che è stato nella ricerca spasmodica di una autonomia geopolitica e economica che evitasse la collocazione dell’Italia ai margini del blocco europeo centrale e proteggesse il suo mercato interno dalle conseguenze della crisi del 1929. E in questo frangente il Duce sceglierà, per la progettazione e la guida dell’IRI, l’ente di salvataggio delle imprese italiane distrutte dalla crisi finanziaria, un massone e un socialista riformista: Alberto Beneduce. Oggi, è forse il caso di ripensare a questo progetto antico di unificazione delle classi dirigenti italiane che, in una logica di internazionalizzazione virtuosa della Repubblica Italiana, che fu quello della massoneria dalla R.L. “Ausonia” al fascismo ed oltre. Portò alla modernizzazione del nostro paese. Potrebbe essere la rilettura della geopolitica italiana e della sua utilità nel Mediterraneo in contatto con le nuove realtà del Medio Oriente. In primo luogo Israele, e comunque il mondo ebraico della Diaspora, che molto spesso è stato presente tra le Colonne del Tempio. In secondo luogo l’Est europeo post-comunista, in cui la Massoneria italiana, soprattutto in Ungheria e Romania, vanta notevoli presenze e influenze. Occidentalizzare in modo virtuoso l’Est, acquisirlo alla sfera di influenza del mondo liberale europeo, e ricollegare lo Stato Ebraico, asse portante della lotta contro il jihad, all’intero sistema politico europeo e mediterraneo. Sarebbe il progetto di un nuovo secolo. |