Lo scritto, catturato dalla rete, è opera dell'ingegno di Dionigi Labouré e costituisce un opera della maestria dello Autore. Il suo contenuto non riflette di necessità la visione della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto gli è riconosciuto. © Dionigi Labouré La libera circolazione della traduzione, effettuata del carissimo Fratello Federico P., è subordinata all'indicazione di fonte ed autore. | "Nas mentes" Cantigas de Santa Maria secolo XIII |
Le diverse scienze, tra cui l'astronomia, descrivono il mondo, ma non indagano che cosa esso significa. Questo non rientra nelle loro competenze. Cercano il "come funziona", non il "perché funziona". Ora, il mondo che percepiamo con i nostri sensi è suscettibile di una lettura simbolica, in altre parole, significa qualche cosa. Tutte le culture umane l'affermano. Scrivendo che il cielo è simbolo, non voglio dire che, per convenzione o per poesia, ciascuno può attribuire il senso che vuole ad ogni astro che si muove nel cielo. Non sono gli astrologi che hanno convenuto che Venere aveva tale significato piuttosto che tale altro. Questa interpretazione psicologica del simbolismo non spiegherebbe, del resto, perché l'astrologia funziona. Nell'arte di Uranio, ogni astro possiede un senso che gli è proprio sia questo o no quello di cui gli esseri umani lo rivestono. Non fu a posteriori che il mondo venne caricato di un significato simbolico. Fu d'emblée, e nella sua stessa sostanza, che fu dotato di un funzione iconografica. Questo senso viene dall'alto, non dal basso. Di dove viene che l'universo abbia un senso? Entriamo qui in un campo che riprende dalla religione. Dalla religione in generale, non da una religione in particolare. L'universo ha un senso perché il divino (Dio o gli dei) parla agli uomini il linguaggio della creazione. Ogni opera denota il suo autore. In un quadro di pittura, un esperto riconosce il pittore, perché il quadro esprime qualche cosa del suo creatore. Il mondo che percepiamo con i nostri sensi, anche gli svela qualch’cosa del suo Creatore. Questo tema è presente nel cristianesimo. L'universo racconta Dio. Dio è conosciuto nelle sue opere, afferma il vangelo di Giovanni, ed il mondo è uno specchio in cui Dio si fa contemplare. L'invisibile manifesta il suo Essere ed il suo Potere nell'universo visibile. Rileggete il Salmo XIX, 2: "I cieli cantano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani, il firmamento l'annuncia". Rileggete Romani I, 20: "Ciò che non si vede di Dio, in altre parole il suo Potere eterno e la sua Divinità, sono diventati visibili dopo la creazione del mondo e possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da Lui compiute". È sorprendente constatare quanto questi due termini (Divinità e Potere) corrispondono alla coppia indù di Brahma e della sua Shakti, la "Bi-unità divina ". O di paragonare queste citazioni bibliche coi testi indù come questo: "Quelli che non vedono nel Sole che una sfera ed ignorano la vita che l'anima, quelli che vedono il cielo e la terra come due mondi e non sanno niente della coscienza che li regge, possiedono dell'universo una conoscenza molto limitata. Una scienza che studia soltanto la parte inerte delle cose e non raggiunge la vita che li anima, la coscienza che li abita, è incompleta e non conduce ad una comprensione reale della loro natura. (1) L'autismo della nuova scienza Dai pitagorici ed i platonici, lo studio del "come funziona "non perdeva mai di vista il "perché funziona ". Di conseguenza, non c'era astronomia senza astrologia, né astrologia senza astronomia. Sebbene Tolomeo abbia introdotto per primo il dubbio, bisognò attendere gli inizi del XVII secolo perché una distinzione artificiale si imporse definitivamente. Riposava implicitamente sull'idea che il sacro è distinto del profano, che esistono delle cose sacre e delle cose profane. Come se un quadro di pittura potesse essere descritto in quanto tale, sotto il suo aspetto rigorosamente fisico (composizione chimica dei colori utilizzati, ecc.), senza pensare di chiedersi se esistesse un pittore e se questo quadro esprimesse qualche cosa di quel pittore. Certo, era in ogni caso ipotizzabile supporre che alcuni eruditi si torturavano lo spirito per sapere se esistesse un pittore e quale sarebbe stata la conseguenze di una tale ipotesi. Ma si trattava principalmente di eruditi di teologia o di conoscenza delle religioni, specialità, queste, che non avevano nulla a che vedere con lo studio del quadro in sé. A partire da là, il mondo poteva essere descritto, ma non significava più niente. Questa sostituzione di un'universo-macchina ad un universo-simbolo ha trascinato una crisi di cultura e di civiltà da cui non siamo usciti. Malgrado la resistenza dell'ammirevole Keplero, a distanza di un secolo possiamo constatare due conseguenze di questo atteggiamento schizofrenico. La prima è l'obbligo, per essere presi sul serio per il credere (o di far finta di credere) che il quadro di pittura si sia formato per caso. Non c'è pittore. La schizofrenia si è trasformata in autismo. La seconda conseguenza è la sostituzione di un'universo-macchina ad un universo-simbolo. Un astro si descrive fisicamente. Non significa niente. Per l'essere umano, non ha altro valore che per gli eventuali sfavillii che lo raggiungerebbero. Ora, tali influenze celesti sono infime se comparate a quelle del Sole e della Luna. Ciò che gli astrologi credono di estrarre dalla posizione dei pianeti è dunque fisicamente insostenibile. Exit l'astrologia, orma fantasiosa dell'infanzia delle scienze. Non c'è astrologia laica Parlando di "influenze celesti "per non dispiacere al potere centrale, gli astrologi hanno fornito per molto tempo dei per farsi picchiare. I più ingenui non sempre hanno compreso la lezione. Per essere presi sul serio, si credono obbligati di ricorrere ad un discorso para-scientifico adornato di alcuni luoghi comuni psicanalitici. Ciò che non interessa il grande pubblico e distrae fisici e psicologi. Plotino afferma la natura alfabetica delle figure celesti, senza identificarle, tuttavia, a nessuna scrittura in uso negli uomini. "Supponiamo che gli astri ", in altre parole i pianeti, ivi compreso il Sole, la Luna e le stelle fisse "supponiamo che gli astri siano sempre simili a caratteri scritti nei cieli, o scritti una volta per tutte ed in movimento così come compiono il loro compito (2). Aggiungerò con Robert Amadou, "E supponiamo che il loro significato ne risulti". In astrologia, il mondo, dunque il cielo, è visto in qualche modo del punto di vista di Dio. Perché non vi è, in verità, nessun altro punto di vista dal quale si possa percepirlo nella sua natura vera. Ogni astro è un simbolo. È la congiunzione, senza divisione né confusione, di un significato divino e di una realtà fisica. È l'athanor, questo forno degli alchimiste, dove entrambi si fondono. Occorre, una volta per tutte, prendere la nostra posizione: non c'è astrologia laica. Ciò che è posto al primo colpo, sono il divino ed il sacro. L'astrologia è solidale con una visione mistica della Realtà. L'ordine del mondo, il significato dell'universo, ne sono le conseguenze. La creazione tutta intera, in quanto "Dio visibile ", è il linguaggio del Dio invisibile. Il cosmo è l'immagine manifestata di una Realtà e di un Ordine non-manifestato. È l'illustrazione percettibile ai sensi di questo che, in se, è invisibile e trascendente. In conclusione Nei riti sacri, in astrologia come nelle operazioni alchemiche, ciò che agisce non sono delle forze fisiche, meccaniche od occulte. Non sono delle "influenze astrali "di cui gli uomini di scienza, piccoli e limitati non vorrebbero riconoscere la realtà. Ciò che agisce è il potere proprio delle relazioni che uniscono i segni e le cose sulle quali essi si uniformano.
1. Vijayânanda Tripâthi, jevatâ-tattva, Sanmârga, volume. III, P. 682. Citato da Alain Daniélou, in: "Il politeismo indù". [Torna al testo] 2. Enneadi. [Torna al testo] |