"Animale fantastico, metà capro e metà pesce, il Capricorno è una figura antichissima, le cui origini sono precedenti al mito costitutivo greco.
In astrologia esso segna il sorgere del Sole al solstizio d'inverno e si lega ai significati simbolici di tale avvenimento.
Secondo il calendario astrologico il Sole sorge al solstizio d'inverno nel segno del Capricorno. Si tratta in realtà di una convenzione perché a causa della precessione degli equinozi fin dal 60 a.C. nasce nella costellazione del Sagittario e dal 2100 passerà in quella dell'Acquario..."
Il documento che presentiamo ai nostri ospiti è opera d'ingegno del saggista Alfredo Cattabiani, ed ha trovato ospitalità sul periodico "Massoneria Oggi" n.6 di Dicembre 1966.
Ogni diritto è riconosciuto © Alfredo Cattabiani (saggista) Animale fantastico, metà capro e metà pesce, il Capricorno è una figura antichissima, le cui origini sono precedenti al mito costitutivo greco. In astrologia esso segna il sorgere del Sole al solstizio d'inverno e si lega ai significati simbolici di tale avvenimento. Secondo il calendario astrologico il Sole sorge al solstizio d'inverno nel segno del Capricorno. Si tratta in realtà di una convenzione perché a causa della precessione degli equinozi fin dal 60 a.C. nasce nella costellazione del Sagittario e dal 2100 passerà in quella dell'Acquario. Ma da quel momento si è preferito mantenere la sistemazione greca delle costellazioni che componevano lo zodiaco, sicché l'astrologia è diventata una scienza simbolica. D'altronde anche gli astronomi moderni non hanno mai voluto cambiare il nome dei due tropici, del Cancro e del Capricorno, i paralleli che segnano sulla sfera celeste ciascuna delle declinazioni estreme (± 27°27') che il Sole raggiunge durante il suo moto annuo apparente: e sulla terra i luoghi, sul medesimo parallelo, che hanno il Sole allo zenit per un solo giorno dell'anno. Avrebbero dovuto chiamarli più correttamente Tropico dei Gemelli e Tropico del Sagittario.
Il Capricorno è un animale fantastico, formato nella parte anteriore da un capro mentre dalle spalle in giù ha il corpo di un pesce. Si spiegava la sua natura anfibia per la sua posizione nel cielo, in una zona che gli Antichi chiamavano “il Mare” perché contiene esclusivamente asterismi acquatici come i Pesci, l'Acquario, il mostro marino Cetus, il fiume Eridano, il serpente acquatico Idra, il Fluvius Aquarii e la Nave Argo: da quel mare egli si arrampica come una capra, simbolo del Sole, che raggiunta al solstizio la declinazione più bassa, ricomincia la sua ascesa lungo l'ellittica. I Greci narravano che Zeus vi aveva voluto raffigurare un travestimento del dio Pan. Quando Tifone, il mostro generato dalla madre Terra con Tartaro per vendicarsi dell'eccidio dei suoi figli, i Giganti, si lanciò con la sua mole che toccava le stelle alla conquista dell'Olimpo, gli dei fuggirono terrorizzati in Egitto dove si travestirono da animali: Pan trasformò la parte posteriore del corpo in un pesce e la restante in un capro. Ma Atena, che non si era mossa, rimproverò Zeus per la sua codardia convincendolo a combattere con Tifone. Il re degli dei scagliò una folgore contro il mostro ferendolo con una falce di diamante e lo insegui fino al monte Casio che sovrasta la Siria. Qui, vedendolo ferito, cominciò a lottare con lui a mani nude. Ma Tifone lo avvolse tra le sue spire imprigionandolo: poi, toltagli la falce, gli tagliò i tendini delle mani e dei piedi. Così immobilizzato lo trasportò sulle spalle attraverso il mare fino alla Cilicia e, giunto nell'Antro concio, ve lo rinchiuse; e prudentemente nascose i suoi tendini in una pelle d'orso che affidò alla custodia della sorella Delfine, una fanciulla dalla coda di serpente. Fu Pan a salvarlo terrorizzando Delfine con un improvviso, orribile urlo mentre Hernies sottraeva i divini tendini per riattaccarli alle membra di Zeus. Il re degli dei, recuperata la sua forza, si lanciò all'inseguimento di Tifone sopra un carro di cavalli alati bersagliandolo di fulmini. Fu una battaglia apocalittica che si concluse a favore di Zeus il quale riuscì infine seppellire il mostro sotto il monte Etna, che da quel giorno, narra Apollodoro, sprizza il fuoco dei fulmini che Zeus scagliò (1). Per ringraziare Pan il sovrano degli dei volle che da allora in poi apparisse nel cielo la figura animale che egli aveva assunto in Egitto per sottrarsi alla furia di Tifone (2).
La sua associazione con il Capricorno ispirò nel periodo classico il suo nome a quella costellazione che nel periodo classico venne chiamata Pan. Il significato astrologico di questo mito è evidente: Zeus è il Sole che, giunto al solstizio d'inverno, è in preda alle tenebre, entra metaforicamente in una grotta oscura da cui viene liberato dall'animale in cui si era tramutato Pan. E Zeus, con i tendini rimessi a posto, può risalire in cielo a vincere le tenebre della notte.
La vera origine della figura del Capricorno Ma la figura del Capricorno, che ai Greci aveva ispirato quel mito, era in realtà originaria della Mesopotamia dove ricorreva spesso il simbolo del capro dalla coda di pesce, sormontato dalla testa di un ariete e soprannominato Kusarikku, Pesce-Ariete. Era l'immagine del dio Ea, signore del segno, il dio principale nella più arcaica religione sumera, destinato a diventare successivamente una delle tre divinità della Triade creatrice insieme con Anu ed Enlil: il dio saggio per eccellenza, il creatore e architetto di tutto ciò che apparteneva al mondo sublunare. L'ideogramma del nome significava “dimora delle Acque” perché si narrava che il dio abitava nell'abisso da cui emergeva nelle sembianze di un pesce-capro, simbolo della sua ambivalenza terracquea. Ea era considerato il protettore degli uomini che aveva salvato dall'estinzione insegnando a un uomo, il Grande Saggio, a costruire un'arca per salvarsi dal diluvio universale. Poiché sovrintendeva alla terra e alle acque, gli era riservata la regione meridionale dello zodiaco celeste, definita dall'attuale Tropico del Capricorno e chiamata allora via di Ea. A Enlil, come dio del cielo, era riservata invece la zona settentrionale, detta appunto “via di Enlil”: e infine ad Anu la fascia celeste del sole.
Non a caso nella religione cristiana l'ariete e il pesce furono interpretati come simboli del Cristo non diversamente dal capro espiatorio. L'autore anonimo della Vitis Mystica scriveva a questo proposito: “Questo termine capro si attribuisce giustamente all'ottimo Gesù benché il capro sia un animale immondo, Gesù, è vero, era senza peccato: ma si era rivestito della disgraziata carne che i nostri peccati hanno coperto di macchie” (3).
La Porta degli dei Fino al 60 a.C., come si è già ricordato, il Sole sorgeva al solstizio d'inverno nel segno del Capricorno. Raggiungeva cioè la sua declinazione più meridionale sullo zodiaco celeste. Da quel momento avrebbe ripreso a risalire nel cielo. Su questo solstizio e sull'estivo Omero scrisse nell'Odissea alcuni enigmatici versi descrivendo un simbolico antro dell'isola di Itaca:
In capo al porto vi è un olivo dalle ampie foglie: vicino è un antro amabile, oscuro, sacro alle Ninfe chiamate Naiadi: dove vi sono crateri e anfore di pietra: lì le api ripongono il miele. E vi sono alti telai di pietra, con cui le Ninfe tessono manti purpurei, meraviglia a vedersi; qui scorrono acque perenni; due porte vi sono, l'una, volta a Borea, è la discesa degli uomini, l'altra invece che si volge a Noto, è per gli dei e non la varcano gli uomini, ma è cammino degli immortali (4).
Il testo completo di Porfirio che interpreta questi versi è nella sezione "Alchimia"
Porfirio interpretò l'enigma in un memorabile libro, L'antro delle ninfe, spiegando come l'antro fosse la metafora del cosmo dove regnavano le Naiadi, le potenze che presiedevano alle acque del cui simbolismo generativo esse partecipavano: rappresentavano cioè tutte le possibilità di esistenza, tutti i germi vitali. Perciò, come scriveva Salustio, tutta la vita discendeva da loro, ed erano loro a “tessere” i corpi dei viventi (5). Ma Porfirio le interpretava anche come simboli delle anime che scendono nella generazione e tendono alla creazione del corpo (6). Associava loro i crateri di pietra e le anfore, simboli di fertilità, di abbondanza, di vita, di creazione. A sua volta il miele, riposto dalle api nelle anfore, alludeva alla virtù generativa delle acque ma anche alla loro virtù purificatrice. Quanto alle due Porte, quella meridionale del Capricorno era la via di risalita delle anime; e quella settentrionale del Cancro la via della loro discesa nel cosmo, della loro incarnazione. “Le regioni settentrionali” scriveva “appartengono alle anime che discendono nella generazione, e quindi giustamente la porta dell'antro volta a nord è accessibile agli uomini; le regioni meridionali non sono luogo degli dei, ma di chi ritorna agli dei e proprio per questo il poeta disse che è cammino non degli dei ma degli immortali, espressione che si addice anche alle anime, perché sono immortali o in sé o nella loro essenza” (7).
Questo simbolismo non era soltanto greco “Si tratta di una conoscenza tradizionale” commenta René Guénon “che concerne una realtà di ordine iniziatico, e proprio in virtù del suo carattere tradizionale non ha né può avere alcuna origine cronologicamente assegnabile. [...] Essa si trova dappertutto, al di fuori di ogni influenza greca, e in particolare nei testi vedici che sono certamente molto anteriori al pitagorismo [...]: si tratta di un insegnamento tradizionale che si è trasmesso in modo continuo attraverso i secoli,'e poco importa la data forse tardiva alla quale certi autori, che non hanno inventato nulla, [...] l'hanno formulato per iscritto in modo più o meno preciso” (8).
Il simbolismo della Porta solstiziale si ritrova in una parabola del Cristo come pastore e porta del gregge: “Gesù disse questa parabola” scrive Giovanni nel suo Vangelo. “Ma quelli non compresero di che cosa volesse parlare loro. Gesù allora continuò: In verità. in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. [...] Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo; entrerà ed uscirà e troverà pascolo. Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in sovrabbondanza” (9). Non casualmente i cristiani vollero festeggiare la nascita del Cristo proprio all'inizio del segno del Capricorno, il 25 dicembre, considerato dai Romani antichi il solstizio d'inverno prima che venissero a conoscere l'astronomia egizia.
In questa luce solstiziale il dio-pianeta Saturno, che ha domicilio in questo segno, ha la funzione di accompagnare le anime attraverso la Porta e per estensione è la Porta stessa. Per capirne meglio la valenza occorre però tradurlo nel nome greco di Cronos, il più giovane dei Titani, figlio di Urano e di Gea, del Cielo e della Terra. Solo fra tutti i suoi fratelli aiutò la madre, che non voleva più partorire, tagliando i testicoli del padre. Poi prese il suo posto in cielo e sposò la sorella Rea. Egli divenne quindi il Cielo mentre la sposa venne identificata nel tardo ellenismo con Cibele, la Grande Madre. Nella tradizione orfica Cronos è il principio di tutti gli esseri che egli genera nella Grande Madre per poi riprendere in sé, simbolicamente mangiandoli. La sua casa nel Capricorno sottolinea proprio questa funzione di Porta delle anime che ritornano nel non manifestato. Come Guardiano della Soglia, Cronos fu identificato nella religione e nell'astrologia romana con Saturno, il dio che secondo il mito dopo un lungo viaggio dal cielo o dall'Olimpo, costretto ad abbandonare per la detronizzazione subita dal figlio Giove, era approdato nel Lazio dove, accolto da Giano (10), aveva posto le prime basi per l'agricoltura che per gli Antichi era il fondamento della civiltà. Ma dopo un lungo regno improvvisamente scomparve. Giano gli consacrò un altare, celebrando in suo onore i primi Saturnali. Dopo la sua scomparsa si dissolse l'età dell'Oro, l'età del “beato disordine”, in cui l'ordine non era necessario poiché benessere, abbondanza, pace e felicità erano assicurate dalla presenza stessa degli dei.
I Saturnali e il solstizio d'inverno I Saturnali si svolgevano poco prima del solstizio invernale e in epoca imperiale duravano fino al 23 dicembre, scavalcandolo. Il primo giorno veniva nominato in ogni comunità il rex Saturnaliorum che regnava per una settimana fra banchetti, danze, giochi d'azzardo mente ci si scambiavano doni e i ruoli sociali s'invertivano, sicché gli schiavi potevano burlarsi del padrone e farsi servire a tavola. Si diceva che la libertà concessa agli schiavi e l'allegro caos di quel periodo erano il memoriale dell'Età dell'Oro. In quell'occasione la statua di Saturno, che durante il resto dell'anno era legata con una fascia di lana nel suo tempio, ai piedi del Campidoglio, veniva sciolta a simboleggiare il ritorno, sia pur breve, dell'Età dell’Oro. Qual era l'origine dei Saturnali? “In merito all'origine dei Saturnali” diceva Pretestato, uno dei personaggi dell'omonimo libro di Macrobio, “il diritto divino non mi permette di rivelare nozioni connesse alla segreta essenza della divinità; posso esporre soltanto la versione mista ad elementi mitici o divulgata dai fisici. Quanto alle origini occulte e promananti dalla fonte della pura verità, non si possono illustrare nemmeno durante le cerimonie sacre; anche qualora si giunga a conoscerle, è obbligo tenerle ben nascoste dentro di sé” (11). Secondo Renato Del Ponte i Saturnali invitano a un cammino spirituale di purificazione, di ritorno alle origini: “Soltanto coloro” osserva “che riusciranno a recuperare dentro di sé il senso delle condizioni anteriori all'inizio potranno tornare alle origini, cioè riottenere quello stato di perfezione naturale che era proprio dell'umanità primordiale. È questo l'insegnamento del mito e della solennità di Saturno” (12). Che sono perfettamente omogenei al segno del Capricorno il quale simboleggia l'abbandono di tutto ciò che pone ostacoli al completo ritorno allo Spirito. È il sacrificio della terra attraverso la Terra affinché se ne liberi “Colui che risiedendo nella terra è differente dalla terra, che la terra non conosce, di cui la terra è il corpo, che dall'interno aziona la terra, colui che è l'Atman, l'agente immortale”, com'è scritto nelle Upanishad. Ma i Saturnali, come festa solstiziale, avevano anche un'altra funzione simbolica che può essere illuminata da un mito della tradizione induista e dalle usanze connesse alla sua festa se, come sostiene Guénon, vi è una qualche analogia fra il dio romano e il vedico Satyavrata, testimoniata dalla comune radice sat, che letteralmente significa “essente” e dal fatto che nella tradizione induista la sfera di Saturno è chiamata Satya-Loka, l'eterno mondo di Brahma, o mondo della Verità (satya), formato da infinita saggezza. È il più elevato e luminoso dei mondi dove non esiste differenziazione. Il mito narra che alla fine del ciclo cosmico precedente quello attuale Vishnu apparve nelle sembianze di un pesce a Satyavrata, ovvero a “Colui che ha fatto della verità il suo voto” e stava per diventare con il nome di Vaisvaswata il Manu o Legislatore del ciclo attuale. Vaisvaswata era uno dei dodici Aditya, considerati come altrettante forme del Sole in corrispondenza con i dodici segni dello zodiaco e che dovevano apparire simultaneamente alla fine di ogni ciclo. Vishnu gli annunciò che il mondo stava per essere distrutto dalle acque e gli ordinò di costruire l'arca nella quale si dovevano chiudere i germi del mondo futuro. Dopo il cataclisma Satyavrata-Vaisvaswata portò agli uomini il Veda, ovvero la Rivelazione primordiale, la Parola Divina mediante la quale tutte le cose sono state create. In questa luce Saturno era la manifestazione divina che rinnovava il cosmo ogni anno; ipotesi che spiegherebbe l'atmosfera orgiastica dei Saturnali e persino la letizia e la frenesia che pervadevano e pervadono ancora oggi i giorni solstiziali. Ma, rinnovato il cosmo, Saturno veniva nuovamente legato e il suo sostituto, il rex Saturnaliorum, simbolicamente ucciso perché questo periodico rinnovamento dell'anno non è ancora la fine dell'attuale ciclo cosmico e l'inizio di uno nuovo, non prelude a una nuova Età dell'Oro la quale sarà restaurata soltanto quando il misterioso dio riapparirà per condurre il mondo manifestato verso il nuovo ciclo cosmico.
1. Apollodoro: I: 6, 3. 2. Igino: Fabula 196. De Astronomia II, 28. 3. Cfr. A. Cattabiani - M. Cepeda Fuentes: Bestiario di Roma. Roma 1986. 4. Omero: Odissea 13, 102-112. 5. Salustio: De deis et mundo 4, 9. 6. Porfirio: L'antro delle ninfe 14. 7. Cit. 23. La Porta degli Immortali è anche simboleggiata dal numero del Capricorno, il dieci, perché questo segno è la decima casa dello zodiaco. Per il simbolismo zodiacale e metafisico del dieci cfr. M. Pénard: Lo zodiaco applicato alla psicologia. Genova 1989, pp. 438-439. 8. R. Guenon: Simboli della scienza sacra. Milano 1975, pp. 245-246. 9. Giovanni 6. 9. 10. Cantano i versi Ianuli del Carmen Saliare, trasmessi da Varrone: “Egli spalanca tutte le porte [ormai ci ascolti benevolo], tu sei il buon Creatore, di gran lunga il migliore degli altri re divini [...]. cantate in onore del padre degli dei, supplicate il dio degli dei” (Varrone II, VII, 26-27) 11. Microbio: Saturnaliorum convivia, 7, 18. 12. R. Del Ponte: La religione dei Romani. Milano 1992, p. 206. Cfr. anche A. Cattabiani: Calendario. Milano 1988, pp. 58-67).
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