INTRODUZIONE Vinceslas Lavinius di Moravie, è un autore completamente sconosciuto, sia al grande pubblico che agli studiosi di Alchimia. Le scarse informazioni che si hanno su Lavinius, contemporaneo di Paracelso, ci sono fornite da Lenglet du Fresnoy, da cui apprendiamo le seguenti scarne note:
“1533, Venceslao Lavinius, Gentiluomo della Moravia, di cui abbiamo un solo trattato, che contiene non più di tre pagine, ma che è stimato”.
Questo alchimista, vissuto a cavallo del XVI-XVII° secolo girovagò per varie università d’Europa, sostando anche a Parigi. Sembra fosse riuscito ad ottenere la Pietra Filosofale, tanto che fu ritenuto in grado, da alcuni suoi contemporanei, di operare trasmutazioni metalliche. E’ citato sia dallo studioso ottocentesco Albert Poisson, a proposito della sostanza ermafrodita, o Rebis, sia da Fulcanelli, per il quale riveste un ruolo di grande interesse, collocandolo tra gli eredi riconosciuti dell’esoterismo egiziano del XVI secolo, insieme a nomi prestigiosi quali Sethon, Zachaire e Paracelso. A proposito del Fulcanelli, vale la pena citare il seguente passo, estratto dal primo volume delle sue “Dimore Filosofali”:
“Vinceslao Lavinius di Moravia espone il segreto dell’Opera in una quindicina di righe, nell’Enigma del Mercurio Filosofale che sta nel Trattato del Cielo Terrestre“,
riconoscendogli quindi una notevole rilevanza sul piano alchemico.
Nel Trattato del Cielo Terrestre (1613), che viene presentato per la prima volta in Lingua Italiana nella traduzione del Carissimo Fratello Luca B., Lavinius si concentra principalmente sull’arcano dell’Acqua, condensato di Zolfo e Mercurio, Materia dell’Opera, che rappresenta la prima difficoltà ed il primo segreto che si pone all’attenzione dell’alchimista operativo. Essa riceve l’appellativo di Cielo Terrestre a causa delle sue virtù:
“Questa Acqua, che può essere coagulata, e che genera tutte le cose, diventa una terra pura che, per un forte legame, possiede le virtù dei Cieli più alti rinchiuse in sé; e proprio perché questa stessa terra è unita e congiunta al Cielo, le dò il bel nome di Cielo Terrestre”.
Il Cielo Terrestre, ovvero l’unione tra il Cielo e la Terra filosofici, è la chiave di volta dell’operare alchemico. Esso è, in ultima analisi, il soggetto dell’Arte, quel “Verbum Dimissum” che, come ci ricorda ancora Fulcanelli, è “il segreto materiale dell’Opera“, ottenuto dall’Artista per rivelazione divina - perciò vero Donum Dei – che gli aprirà la porta alla conoscenza della Natura e dei suoi segreti, come ci conferma Lavinius in questo passo:
“Colui, dunque, che conosce il modo di servirsi dell'acqua, e del Fuoco, conosce la vera strada che lo condurrà ai più alti segreti della Natura”. Questa Acqua è il Mercurio iniziale è la sostanza indicata dai Filosofi per preparare l’umido radicale o Mercurio dei Saggi, che è la Pietra Filosofale. In essa riconosciamo anche il famoso Alkaest, tanto caro agli spagiristi del XVII-XVIII secolo. Ora, ciò che prima era possibilità indeterminata, per mezzo di separazioni e coagulazioni – di solve et coagula – in un continuo movimento si distingue in due altri principi, il Sole e la Luna. Dice a proposito il Cosmopolita:
“I cristiani pensano che Dio abbia dapprima creato una certa materia prima…e che da questa materia per mezzo di separazioni, si siano originati dei corpi semplici, che poi essendo stati mescolati gli uni con gli altri, servirono per fare tutto ciò che noi vediamo”.
Il testo, estratto dal più celebre "Splendor Solis" o "Fiore dei Tesori" pubblicato da Salomon Trimosin, godette di una certa notorietà presso gli antichi Alchimisti, proprio a causa della sua particolare indagine condotta sull’Acqua ignea, in seno alla quale si bagnerebbe il Sole Ermetico. Ogni diritto è riconosciuto, la libera circolazione in rete è subordinata alla citazione della fonte (completa di link attivo) e dell'Autore. © Luca B.
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