| El mi diletta do dir brevemente, Tutt'i secreti de l'arte felice, Dal summo a la radice, Non sincopando dal mezo niente: Pero' ne prego la summa clemenza, Che mi conceda gratia d'aprire Ogni secreto, e dire De quelli ch'han parlato in questa scienza Chi nol seguir adunqui il dritto cale, Non tiri l'arte fuor del naturale Sole, Luna, et Mercurio ti basta, Per far la bona pasta; Et non vi poner dentro seme vario Che la natura non giunge il contrario I padri nostri per diverse vie, Sono tutti venuti ad un effetto; Ch'ogni corpo imperfetto Han sanato de varie malattie, Alcuni hanno divisi gli elementi, L'acqua da l'aer dico, et quel dal fuoco Et poi a puoco, a puoco, Rettificando gl'han fatti lucenti, Et poi gionti insieme in uua essentia Con la so' virtu' de la quinta essentia. Altri soblima, calcina, et dissolve, Et cercando risolve, Poi cosi' congelando fan fissione, Ma la prima opra, e' la putrefazione, Ma nota ben, che non fusti in errore, Ch'e' una tosa sola in che son fitti, Gli elementi preditti, L'anima, il corpo, il spirito, et l'humore, Et anco in essa quattro, tre et uno, La quinta essentia e' calce con fermento, Mercurio, Oro, et Argento, Insieme tutti et divisi in ciascuno, Come nel uovo la chiara col giallo, La tela, il scorzo, et il seme del gallo: piu' chiaro esempio non ti so trovare, Pero' debbi notare, A chi tu poni mano, e poi pratica, Ch'alcuno si tien maestro, et molto ratica Quando componi non t'esca di mente, Ch'a far la pasta, che sia bona, et fina, Gli vuol acqua, e farina, et fermento a' la pasta condecente, Et similmente so senza fermento Lavori, o' senz'acqua, o' bona farina, La nostra medicina, Ti trovarai le man piene di vento. Et per ridurti ogni tenebra in fulgo Nostro Mercurio non e' quel del vulgo, Et non di cosa morta, ma ben divina Si forma questa dina, E sana medicina, che riduce ogni corpo inperfetto a vera luce. Alcuno piglia la pietra recente, Et senza farla in altra divisione, in un vaso la pone, Ben sigillato con sigillo ardente, Ponendolo poi nel suo dolce letto Et qui lo coce per fin ch'e' perfetto; Ma nota ben la meta Che nel Vulcano sta tutto l'effetto, Et tutta l'arte si fa in un vasello, Con lento fuoco, et sol in un fornello Qui, li, sublima, solve, et si distilla, Lava, discende, humilla, Incera, putrefa, calcina, e fissa, Qui s'occide, et suscita per se stessa. La pietra nostra e' di cosa animata, Et preciosa et soave, e gentile, Ma pure nel prezo e' vile, Considerando la virtu' celata, Gia' non fara' pero' che non rammenti, Del tempo, nei qual molti son decetti, Et anche altri defetti, Che fanno gli operanti, tristi, set lenti. Il minor tempo e' di nove mesi, Testanti li filosofi cortesi. Ancora mostri di molti colori, Com'un prato di fiori; Ma poi nel nero ogni color s'attacca E preso il fine si mostra di biacca. Poi per la decottione piu' lontana, Diventa tutto quanto in color d'oro, Con un si bel lavoro, Che da letitia ad ogni mente sana; Un altro segno ancora manifesta, Se la decottione tua e' finita, La fumosita' uscita, Et ferma ne sta senza altra molesta. Ancora diro' della proiettione La qual ha gia' fallito assai persone Poiche' non fuma, et che no' fa piu' motto, Fa che sia esperto, e dotto, Et guarda ben che medicina alcuna, Non poni se non sopra Sol, o Luna. Ma perche' cade un peso sopra mille, Et piu' s' il tuo elisir e' perfetto, Fa che tu sia discreto, Et quel ch'io dico non tener per vile, Piglia una dragma de la medicina, E dieci dragme di Mercurio mondo, Et mettilo nel fondo, Del fuoco ardente dentro alla fucina; Et poi ch'el servo comincia fuggire Fumando metti dentro l'elisire, E tutto si converte in medicina, Dico perfetta, fina, Della qual getta un peso sopra cento, E faratti quest'opra star contento. | Li nostri antichi per celar quest'arte, L'hanno descritta in diversi volumi, Et chi la chiama gummi, Et chi Mercurio, solfo, Giove, ò Marte, Alcun il chiama per ciascun metallo, Alcuno poi per nome di pianetti, Et ciascuno li metti, Diversi nomi fin per risigallo, Ouum capilli, lapis mineralis, Adebesi, rebis, lapis herbalis, Arsenico, auropigmento, et drago, Et chi sal'armoniaco, Et cuperosa, basalisco, et sangue, Laton, azoch, ernech, chibrith, et angue. Per questi varii nomi son docetti Molti operanti c'hanno preso quello, Di che il tacer e' bello, E vanno seguitando i lor concetti Alcuni fanno la dealbatione, Con risigallo, tartaro, et calcina, E fanno metallina, La chiara di uova, un altro vi pone, Alcun'altro prende l'auropigmento, Et alcun'altro arsenico, et non mento Et alcun prende li quattro elementi, Alcuni son contenti D'alcuna limatura de metali Chi de boraci, d'alumi, o' di sali. Dico per questi nomi son decetti Et molt' idioti, e favi, e circonspetti, Che questi nomi han scritti, Per diversi colori, et vari effetti, Pero' non ti partir da la natura, Che qual seme sia, che seminarai, Tal frutto coglierai, Ch'ogni animal fa simil genitura, Prendi dunq; il Mercurio puro, et mondo; Ma qui ti manca la misura, et pondo; Et dalli perfettissimo fermento, Dico d'oro, o' d'argento, Che chi semina fava o pur fasoli Non puo' raccoglier grano, ne pizoli, Alcuni piglian herbe venenose, La tora, l'oleandro, la lunaria, Secondo che li varia, La mente quinci, quindi a varie cose; Alcuni ci lavora il seme humano, Chi piglia talco chi capelli, o' sangue, Chi sterco, buffo; o' angue Chi prende esusto, o' vitriol romano; Alcun cinaprio, alcun lume di piumma Io non potria cantar di tutt'in summa Che sarian gran volumi, et grand'affanni, A raccontar gli inganni, Et le ribalderie che fanno assai. Et io lo dico, che gia' lo provai. Alii solvunt duo corpora sana, In acqua forte alcun amalgamando Alcuni dealbando. Fanno di rame bronzo di campana, Alcun fa descensorio, alcun soblima, Chi stilla per lambicco, et chi per feltro, Chi fa di stagno peltro, Et ch' in marchesista fa sua stima; Alcun tinge con tutia, o' zelamina, Et mele, fichi, et penne di gallina; Chi gionge croco, o' vitriol romano, cosi' col capo insano, Con tal opra sofistica, et fallace, L'arte fanno parer vile, et mendace. Guardate molto dal fuoco eccessivo, Oleo, et carboni, poi del fimo basta, Et guarda che la pasta, Mai non sia priva del mercurio vivo: Il troppo fuoco fa verificare, Il troppo humore se converte in laco. Pero' governa il draco, Com'ha bisogno da bere, et mangiare; Et di putrefare non sia tedio, Che tutta l'opra dona gran rimedio, Ma pur il troppo fuoco non ti vale, Che non fa il naturale, La scorsa d'ova, e denti d'elefanti, Il sol rubini, balassi, et diamanti. Poich'e' compita questa dolce manna, Non solamente i corpi di metali, Ma tutti i gravi mali, Rimove, e caccia da li corpi a spanna Poi che cacciato il morbo se difende Che non ritorni piu' in nel futuro E fa l'uomo sicuro, Per fin che vive, e sano chi la prende Et conserva sanita', et giovinezza Senza peccato dona gran ricchezza, Conserva ancora il color naturale, Et lo spirto vitale, Sopra ogni medicina di Glalieno, Avicenna, Ipocrate, e Damasceno. Non so se debbo dir il vaso, il pondo, Quia, quesidi plures quinque lustris In novis, et vetustis Libris, per diverse parti del mondo Con molte fatiche, spese, et affanni Semel duntaxat reperii de rasis, Et pondus vere basis, Per spatio, et oltre e' venticinque anni Il vaso e' la figliuola di Latona, Et li pianeti il peso pur ti dona. Quel in so forma, et quel in algorismo. Questo non e' sofismo, Anci descritto per vera figura, Il vaso, la materia, e la misura. Il Fine |