Nelle pagine che seguono, presentiamo ai nostri ospiti i 38 acquarelli che ornano il testo «Aurora Consurgens», una delle opere più celebri di alchimia, da sempre attribuito al Beato Tommaso d'Aquino, Santo e Dottore della Chiesa di Roma; e questo non solo perché il nome del «Doctor Angelicus» appare in calce al frontespizio dell'opera, ma per il fatto - come fa notare Gustav Jung in «Psicologia e Alchimia» - che nella prima parte dello scritto non vengono mai menzionati, quali autorevoli autori su temi dell'Arte, alchimisti come Arnaldo da Villanova e il suo discepolo Raimondo Lullo, bensì molti filosofi Greci ed Arabi e tra questi: Morieno e il suo discepolo Calid, Alfidio, del quale nulla si sa se non che visse tra il decimo e l'undicesimo secolo della nostra era (e nulla è rimasto dei suoi scritti) e Senior, filosofo arabo del decimo secolo. Questi compare come uno degli interlocutori della disputa filosofica trattata in «Turba Philosophorum», il cui vero nome presumibilmente era Mohammed ibn Umail. Proprio per questo ultimo motivo Jung eliminò velocemente il problema dell'attribuzione dell'Aurora a Tommaso d'Aquino, propendendo, invece, per un chierico versato tanto nella «Volgata» quanto in alcune cognizioni di ordine alchemico - tutt'altro incomuni all'epoca - che volle accostare la figura del Cristo alla Pietra. Quasi tutti gli studiosi che si sono occupati della paternità dell'opera, divisa in due parti non sempre presenti in tutti i manoscritti che si conoscono, sono concordi nell'attribuire a Tommaso esclusivamente la stesura della prima parte, ossia quella che mette in relazione il Cristo con la «Lapis Philosophorum». Al fondo vi sono motivazioni anche di ordine sintattico: infatti, mentre il latino della prima parte è più fluido, più dotto e molto vicino allo stile adoperato da Tommaso per altre opere, anche di natura alchemica - come i trattati «De Lapide Philosophico» e «De Arte Alchemica», quello della seconda parte - in ventun capitoli - dove vengono, per altro, trattate varie materie complementari all'alchimia, ma essenziali alla produzione della Pietra, è decisamente un latino medioevale e poco scorrevole. La prima parte fu pubblicata già in passato, in lingua latina, inserita in quella magnifica raccolta di testi alchemici del Manget «Biblioteca Chemica curiosa seu rerum ad alchemiam pertinentium thesaurus instructissimus» (Ginevra 1702). La qualità eccezionale di questo lavoro convinse C.G. Jung a farne, in qualche modo, l'incoronazione della sua Opera Alchemica: chiese a von Franz Marie-Louise, sua discepola, di prepararne la pubblicazione, con una traduzione ed un ampio commento. L'insieme è diventato, nell'edizione originale, il III tomo del Mysterium Conjunctionis. In lingua Italiana esiste una stampa ad opera della casa editrice KEMI nella traduzione di Pasquale de Leo, da cui queste note sono state estratte ed adattate, che comprende anche la riproduzione di 26 dei 38 acquarelli contenuti nelle due parti del manoscritto originale. "Aurora Consurgens" «Aurora Consurgens», scrive giustamente il De Leo, è un titolo difficilmente traducibile in lingua italiana. Per comodità, nella nostra lingua, è stato riportato come «Aurora Nascente». Ma la traduzione che più si approssima al significato recondito del termine latino è: «L'Aurora che avanza». «Aurora Consurgens», infatti, indica il chiarore dell'aurora che precede l'alba, ed aumenta sino alla comparsa del Sole sull'orizzonte. Le immagini presentate - che datano probabilmente XV secolo - sono articolate in modo abbastanza lento, intorno ad un testo che presenta l'Alchimia come la realizzazione di una coscienza superiore (del Sé), appunto simile all'Aurora, dove conoscenza e saggezza mettono fine alle tenebre (dell'incoscienza). Questa opera è frutto di nozze interiori, da qui il largo spazio concesso all'amore, nei termini presi, spesso, in prestito dal Cantico dei Cantici. Esistono diverse versioni di questi acquerelli, ma nessuna nella nota completezza di 38. La maggior parte di quelli che presentiamo ai nostri ospiti appartengono al Codex Rhenovacensis n. 172, proveniente dalla famosa biblioteca dell'abbazia benedettina di Rheinau, presso Zurigo; ed è l'unico codice che contiene sia la prima parte, quella attribuita a S. Tommaso, mutila però delle prime quattro parabole, sia la seconda, di attribuzione dubbia. Cinque acquarelli sono contenuti nella prima parte: Il primo acquarello si trova sul piatto interno della legatura, Il secondo come antiporta dell'opera, Il terzo come riferimento alla quinta parabola della prima parte: «Che riguarda la casa del Tesoro, che la Sapienza costruì sulla Pietra» Il quarto come riferimento alla sesta parabola della prima parte: «Riguardante il Cielo e il Mondo e il sito degli Elementi» Il quinto acquarello è inserito come riferimento alla settima parabola sempre della prima parte: «Riguardante il colloquio dell’amato con l’amata».
I restanti trentatre, si trovano nella seconda parte; ma non sempre sono le stesse rappresentazioni; quando sono presenti più versioni abbiamo provveduto a segnalare la provenienza del Codex. I manoscritti in cui si trova l'Opera, ma non tutti necessariamente presentano gli acquarelli ed entrambe le parti, sono: Zurigo, Zentralbibliothek; cod. Rhen. 172 Parigi, Bibliothèque Nationale; Lat. n. 14006 Venezia, Biblioteca Marciana; cod. Lat. VI. CCXV membr. Bologna, Biblioteca Universitaria; cod. Lat. ms. 1492 Vienna, Osterreichischen Nationalbibliothek; cod. 5330 Leiden, Universiteitsbibliotheek; cod. Vossianus Chemicus 29 Berlino, Staatsbibliothek; Ms. Germ. qu. 848
|