Tratto dal n. 84 della Rivista Le Voile d’Isis - Dicembre
1926, Edizione Chacornac – Paris
Traduzione di N. d’Anglar
Tanto antica quanto l’astrologia e, com’essa, con le sue radici che
si estendono fino alle sorgenti stesse dell’antico sapere umano,
misteriosa nella sua origine, nei suoi principi, nella sua lingua
ricca di simboli e di allegorie, nella sua dottrina come nei suoi
modi di realizzazione pratica, ammirata dagli uni, derisa dagli
altri, scienza sempre tanto alta e tanto impenetrabile, l’alchimia
non ha mai cessato, nel corso dei secoli, di essere il grande enigma
dell’occultismo. E oggi ancora nel nostro secolo scientifico, così
come al tempo delle grandi dinastie egiziane, a onta di tutte le
scoperte accumulate, malgrado tutti i multipli tentativi di forzare
il mistero che l’avvolge, la scienza ermetica, arte sacerdotale o
arte regale, resta come un tempo il privilegio gelosamente custodito
da un pugno di adepti, per la maggior parte dai nomi sconosciuti.
L’alchimia non è solamente una scienza, non è solo un’arte; essa è a
un tempo, per chi vuol darsi la pena di approfondirla, una scienza,
un’arte, una filosofia, una religione. Lungi dal limitare la sua
azione al piano fisico-chimico dei fenomeni materiali, in luogo di
essere semplicemente una scienza di laboratorio, pretende
raggiungere e reggere i fenomeni vitali dei regni vegetale e
animale. Più ancora, essa pretende governare l’evoluzione stessa
dell’essere umano tanto morale che fisica, nonché reggere lo
sviluppo sociale dell’umanità e, ancor più in là, vuole scrutare e
dirigere le leggi che regolano l’evoluzione dell’universo.
Non è da negarsi che vi siano stati, nel corso dei secoli, degli
adepti e delle trasmutazioni autentiche, certe, indiscutibili. Ma
se, abbandonando questo aspetto scientifico, interroghiamo i
documenti più venerabili in cui fu simbolicamente consegnata
l’antica saggezza umana, se noi consultiamo la Bibbia, non già libro
di un uomo o di un popolo, ma libro ispirato in cui si concretizza
il sapere di varie generazioni, ci domandiamo quale possa essere il
senso simbolico di quel fiume Phison che sorge dal giardino di Eden
e circonda il paese ove nasce l’oro.
Che cosa è dunque questo misterioso albero di vita eretto al centro
stesso del giardino Edenale? Che significa quel fiume che bagna il
giardino, culla dell’umanità, e che, uscendo di là, si divide in
modo cruciale o quaternario?
Al
di fuori della Bibbia in cui ritornano con una persistenza voluta e
significativa le cifre e i simboli misteriosi: ternario,
quaternario, settenario, duodenario, triangolo e croce, animali
simbolici della visione di Daniele e di Ezechiele o del Profeta
dell’Apocalisse, al di fuori dei libri sacri dell’India e della
Persia, il Tarocco dei Bohemiens, questo legato della primitiva
saggezza così antico da far risalire la sua origine al di là degli
atlantidi sino alla civilizzazione Chamita, ci presenta esso pure
gli stessi simboli appena modificati, tanto è vero che l’esoterismo,
sotto le sue manifestazioni diverse attraverso differenti popoli,
non è che la espressione di una sola e stessa tradizione
estremamente antica, di una sola e stessa rivelazione la cui origine
sfugge alle ricerche della Storia.
Tutte queste questioni e tutti questi problemi non sorgono
dall’alchimia ordinaria o metallica, ma fanno parte di un dominio
vastissimo della metafisica trascendentale. Su questi problemi che
sorpassano la filosofia comune, certe rivelazioni dell’alchimia
mistica proiettano delle turbanti luci su chi sa penetrare il senso
segreto delle loro misteriose allegorie.
Nella concezione volgare, l’alchimia è la scienza che insegna a
trasmutare i metalli e, in un senso più particolare, è la scienza
che insegna a fabbricare l’oro e l’argento partendo dai metalli
inferiori. Per il volgare l’oro è il simbolo della potenza, il mezzo
per soddisfare tutti i desideri e tutte le gioie. Di oro è fatta la
corona che cinge la fronte dei Re, ed è sull’oro che i signori e i
«nuovi ricchi» di questo mondo fondano la loro potenza.
A
questo oro volgare che rappresenta uno dei poli, il polo materiale e
grossolano della potenza umana, l’alchimia trascendente oppone l’oro
spiritualizzato, l’oro mistico della carità e dell’amore
vivificante, quell’oro che i Re Magi deposero come simbolo, con
l’incenso e la mirra, ai piedi del fanciullo-Dio, oro rigenerato e
incorruttibile che solo potrà riscattare l’umanità decaduta.
Nella concezione volgare, la fabbricazione dell’oro comune è lo
scopo unico dell’alchimia, e la pietra filosofale o polvere di
proiezione è il mezzo di cui l’alchimista si serve per raggiungere
il suo scopo. In altri termini, per il volgare profano, il segreto
alchimico riposa tutto intero nella conoscenza di questa Pietra,
nella conoscenza della materia prima che serve a prepararla, come
nei suoi modi di preparazione. Tale è l’alchimia, considerata nel
suo aspetto più grossolano e secondo la concezione più frusta. Ma se
la si osserva dal punto di vista filosofico, essa è un po’ più di
questo e se la si considera dal punto di vista occulto o esoterico,
essa sorpassa di molto questo ristretto quadro che la concezione
popolare le assegna.
In
effetti, per fabbricare l’oro e l’argento partendo dai metalli più
grossolani quali il piombo e il mercurio, vale a dire per effettuare
una trasmutazione, bisogna ammettere l’unità di essenza di queste
forme materiali diverse. Bisogna ammettere che le forme multiple
sotto le quali si presenta la materia da noi conosciuta: elementi
semplici, metalli, metalloidi e loro innumerevoli combinazioni, non
siano altro che delle apparenze diverse, delle specificazioni
accidentali e transitorie, più o meno durevoli, di una stessa
materia, della materia Una, degli stati di equilibrio differenti,
più o meno stabili, di uno stesso substrato unico o materia
primordiale, ENS PRIMUM, MATERIA PRIMA dei filosofi di un
tempo, i quali – come fa Gastone Claveus nella sua «Apologia
Argyropoeioe Crysopoeioe» - distinguevano una materia prossima –
(m. proxima) a mezzo dei quattro elementi, e infine una
materia lontana (m. remota) vera materia prima non colta dai
sensi, ma solo dall’immaginazione e dall’intelligenza.
Questa concezione filosofica unitaria è alla base della metafisica
alchemica. Ammessa una volta questa concezione, la mutua
trasmutazione degli elementi appare come una possibilità logica e
razionale. Ma se al contrario, come lo si faceva un tempo non
remoto, appena qualche anno fa, si ammette la specificità degli
elementi chimici, l’ipotesi alchemica è necessariamente una pura
chimera.
Dopo le numerose e successive scoperte di questi venti ultimi anni
in radioattività, questa nozione dell’unità sostanziale degli
elementi materiali sembra oggi semplicissima; essa è anche divenuta,
in qualche modo, una nozione scientifica; non lo era quando noi
professavamo, trenta anni or sono, le stesse teorie. Allora ci si
considerava come degli utopisti che edificavano delle ipotesi
contrarie alla realtà dei fatti. Se le cose si sono oggi invertite,
non è perché l’alchimia sia divenuta scientifica. La dottrina
alchemica non è variata; essa ha serbato la sua concezione unitaria,
ma è la scienza stessa che, costretta dall’accumulo dei fatti nuovi,
ha modificato la sua filosofia, facendovi rientrare l’antica
concezione alchemica o unitaria.
Se
la materia è una, se gli elementi – diversi in apparenza – non sono
che degli stati di equilibrio differenti di un substrato materiale
identico nella sua essenza, bisogna ben ammettere che questa
diversità apparente ha una causa capace di spiegarla.
Noi abbiamo da una parte degli elementi diversi o forme attuali e,
all’origine, un substrato identico o materia essenziale. Ove e come
trovare l’origine di questa differenziazione? L’osservazione dei
fenomeni fisico-chimici ci fa vedere che non solo gli stati fisici
di uno stesso elemento sono suscettibili di provare delle
grandissime variazioni, ma inoltre che la costituzione chimica di
questo elemento può essa pure variare in proporzioni considerevoli
sotto l’azione di diversi modi energetici.
Così il numero delle linee spettrali del ferro varia da parecchie
migliaia a qualche dozzina, secondo la temperatura alla quale questo
metallo è sottomesso, temperatura dell’arco voltaico o temperatura
di una scintilla.
L’azione metallica (martellamento, distensione), il calore, la
corrente elettrica, modificano profondamente la natura degli
elementi, ciò che si potrebbe chiamare la tessitura intima dei
tessuti metallici, e imprime loro delle nuove proprietà. Il fosforo
rosso differisce notevolmente dal fosforo bianco ordinario per le
sue proprietà tanto fisiche quanto chimiche. L’ozono non è più
l’ossigeno. I prodotti di dissociazione degli elementi radioattivi
subiscono tutta una serie di metamorfosi, corrispondenti a degli
stati di equilibrio materiali, fisicamente e chimicamente assai
differenti gli uni dagli altri.
In
tutte queste trasformazioni che non escono affatto dal dominio del
laboratorio, il passaggio da una forma a un’altra si opera fornendo
al corpo un’energia supplementare sotto forma di luce, di calore, di
energia meccanica o di corrente elettrica. Inversamente, nelle
trasmutazioni spontanee dei metalli radioattivi, queste si
accompagnano con una dispersione di energia, relativamente enorme in
rapporto alla minima frazione di materia dissociata. Da cui si può
concludere che per una stessa sostanza materiale formante il
substratum comune ai corpi, le forme che riveste questa materia
(elementi chimici) sono in stretta correlazione con la quantità di
energia di cui questo corpo è dotato a un qualsiasi momento.
L’elemento radioattivo situato assai in alto sulla scala dei pesi
atomici, al limite degli equilibri dei materiali stabili, può essere
paragonato a una molla tesa al massimo del suo potere di elasticità,
o meglio a un potente esplosivo che nasconde, sotto la sua inerzia
apparente, una considerevole energia distruttrice. Viene
dall’esterno una eccitazione relativamente leggera, e la molla si
rompe proiettando lontano i suoi frammenti, e l’esplosione deflagra
brutalmente, liberando di un sol colpo tutta l’energia che era
occorsa alla sua formazione.
L’energia appare così come il terzo termine della trilogia dei
principi alchemici, di cui gli altri termini sono rappresentati dal
principio materiale e dal principio formale.
La
materia è una e identica in tutti i corpi, ma la proporzione interna
(destinata a mantenere l’equilibrio intra-atomico) varia da un
elemento all’altro. Le forme o apparenze o elementi chimici
propriamente detti, corrispondono a degli stati di equilibrio
diversi, stati di equilibrio essi stessi dipendenti dall’energia
intrinseca e fondati su rapporti geometrici, come lo prova la
struttura cristallina dei metalli, e su rapporti matematici, come lo
dimostrano ugualmente con suprema evidenza le classificazioni
periodiche di Newlans, di Chancourtois, di Mendéléef.
Questi tre principi della metafisica alchemica: materia, energia,
forma, sono precisamente i tre principi degli alchimisti di una
volta: SALE, MERCURIO E ZOLFO.
Il
SALE è il simbolo della sostanza, della conservazione, della
fissazione. Il Sale è quella terra vergine che non ha ancor prodotto
nulla, dichiara Planis Campy nella sua «Ouverture de l’Escolle de
Philosophie trasmutatorie», cioè quel substrato amorfo,
indifferenziato, terra vergine nella quale lo Spirito del Mondo (o
energia) si converte, cioè sposa delle forme diverse.
E
Raimondo Lullo nel suo
«Testamento», afferma che al centro di tutte
le cose si trova una certa terra vergine: In centro omnium rerum
inest quaedam terra virgo. Questa terra vergine è la sostanza
primordiale, o sale, non ancora individualizzata.
Al
MERCURIO, al contrario, si allea la concezione di mobilità, di
instabilità, di moto perpetuo, l’idea di qualcosa di fuggitivo, che
sfugge tra le dita senza nulla lasciare della sua sostanza intima.
Il Mercurio dei Filosofi è, essi affermano, «la nostra acqua che non
bagna le mani».
Infine lo ZOLFO rappresenta il principio delle forme. Come lo
dichiara Planis Campy nel suo Bouquet chimico, «lo zolfo è
l’olio o resina del corpo che contiene in sé il fuoco di natura,
nutritore e conservatore della vita, mezzo di ogni vegetazione,
accrescimento e trasmutazione, che ha la virtù di tenere e
congiungere le estremità contrarie del Mercurio e del Sale».
Tutti gli esseri, a qualsiasi regno appartengano, insegna la vecchia
tradizione alchemica, sono fatti di sale, di mercurio e di zolfo;
tutti gli esseri del regno minerale, in particolare, e più
particolarmente ancora i metalli, sono costituiti da questi tre
principi. Ma nella maggior parte dei corpi questi principi sono
impuri, grossolani, imperfetti, male equilibrati. Essi non si
trovano allo stato di perfezione, uniti in proporzione ideale, che
nell’oro.
Ora lo scopo dell’alchimia, considerato sul piano materiale, essendo
la purificazione dei metalli o la loro evoluzione progressiva, il
problema alchimico consiste nel trovare il modo di accelerare questa
evoluzione metallica che la natura sola compie in modo lento.
La
Pietra filosofale o Polvere di proiezione o Tintura del metalli, non
era altro che la sostanza preparata a mezzo dell’arte, capace di
provocare la rottura degli stati di equilibrio materiale e di
portare in un tempo cortissimo i metalli imperfetti allo stato di
perfezione metallica. Pietra filosofale la cui conoscenza è
riservata solo ai filosofi, veri e pazienti inquisitori o
investigatori delle leggi di natura; Pietra o materia fissa
dell’Opera, dissolta dapprima, poi coagulata nel corso delle
operazioni dell’opera ermetica; polvere di proiezione, detta così
perché si proiettava sui metalli allo stato di fusione; tintura dei
metalli o tintura illuminante, perché tinge o illumina i corpi
naturali e, senza mutare la loro essenza radicale primitiva,
conferisce loro una nuova forma più perfetta.
Questa pietra o tintura, risultato della Grande Opera Ermetica, non
è altra cosa che un fermento metallico, ciò che oggi si chiamerebbe
in chimica un catalizzatore cha ha per scopo di sostituire a uno
stato di equilibrio metallico, un altro stato di equilibrio più
stabile, oro o argento, secondo il grado al quale esso stesso è
stato spinto; Pietra al bianco per l’argento, Pietra al rosso per
l’oro.
La
preparazione di questo Fermento minerale o Pietra filosofale è stata
descritta in diversi modi dagli antichi autori.
Gli uni hanno impiegato il procedimento designato sotto il nome di
via secca; altri il procedimento detto via umida.
Talvolta la preparazione, o per lo meno una parte delle operazioni,
sembra essere descritta in termini chiarissimi, come per esempio in
certi passaggi dell’«Introitus apertus ad occlusum Regis Palatium»
del Filalete. Ma vi è una cosa che mai in nessun trattato è stata
designata in modo esplicito: è la materia prima che serve a
confezionare l’opera.
La
maggior parte degli autori ha dichiarato che questa materia prima è
unica, altri ne vogliono due, altri un più gran numero. Certuni
pretendono trarla dal regno animale o vegetale, la maggior parte
dice che bisogna estrarla dal regno minerale soltanto, mentre il
filosofo Morieno afferma al Re Calid che essa è ovunque, che è in
lui stesso e che lì conviene cercarla, affermazione che nel caso
presente deve essere interpretata in un senso affatto simbolico.
La
stessa incertezza è sulla natura esatta del fuoco o agente segreto
della Grande Opera; anche esso è stato designato sotto molteplici
nomi e, secondo gli autori, è uno o parecchi: fuoco innato, fuoco
centrale, fuoco innaturale, fuoco celeste.
La
maggior parte degli alchimisti, in effetti, distingue il fuoco
interno che è l’essenziale, e il fuoco esterno, che serve unicamente
a eccitare e a condensare il fuoco interno, poiché la materia prima
dell’opera deve pervenire alla perfezione da per sé e senza alcun
miscuglio o addizione.
In
nessuna opera ermetica si può sperare di trovare la soluzione
precisa del problema essenziale dell’alchimia. Nessuno può far
conoscere questo segreto se non lo possiede lui stesso, e d’altra
parte nessun adepto ha mai tradito il segreto che lega i figli di
Ermete.
La
rivelazione, quando c’è, è dissimulata sotto un tale lusso di
allegorie, di enigmi e di termini strani, che è impossibile al
profano di scoprirne il senso celato.
In
realtà, l’interpretazione delle parabole alchemiche e la conoscenza
della prima materia o del suo modo di preparazione, resteranno
sempre ostinatamente chiuse a tutti coloro che vorranno attenersi al
lato puramente materiale e terra terra dell’alchimia.
Dietro le apparenze materiali, al di sotto delle forme, in seno alle
illusioni passeggere, l’adepto cerca la sostanza prima della Grande
Opera, cioè la sostanza energia proiettata dalla volontà del Padre
nel seno della Vergine Celeste, questa energia proiettata è sparsa
ai confini del mondo realizzato, in ciò che erano le tenebre o
l’abisso.
Per ottenere il Fuoco dei Saggi, questo fuoco simbolico che non ha
niente di comune col fuoco volgare, egli andrà ad attingerlo
nell’immensa onda di vita che incessantemente si dispiega,
oscillante e ritmata, fino all’estremo limite che separa l’Essere
dal «Forse» (Peut Être), ai margini di quel deserto ove si
esercita l’attività di Marte notturno il precursore.
Allora si chiariscono e divengono intelligibili le affermazioni
oscure dei vecchi maestri. Che la materia non abbia che un nome,
dice Planis Campy, questo è certo, cioè: Spirito di vita. Che essa
ne abbia parecchi è indubitabile, perché ne ha tanti quanti sono i
Misti dai quali questo Spirito è specificato.
I
CANONI ERMETICI insegnano che Ermete Trismegisto ha meritato di
essere chiamato il Padre dei Filosofi per aver cercato la tripla
sussistenza dei tre regni IN UNA ESSENZA CREATA. Egli insegna anche
che in questo Mercurio si trova una virtù vegetante che non è
comune, che da questo Mercurio dipende e proviene il movimento e il
flusso della natura umana, che la massa del limbo del grande e
piccolo mondo dal quale l’uomo è stato fatto, può aumentare,
conservare e mantenere tutte le forze e le virtù della natura,
sempre che essa sia debitamente convertita e portata in un corpo
astrale fisso, e infine che questo limbo procede da un’acqua che non
è volgare, ma è «UN’ACQUA CHE SORGE DA UNA CERTA ACQUA CHE HA PATITO
E SOFFERTO E CHE É DAVANTI AGLI OCCHI DI TUTTI».
La
trasmutazione metallica non è, in realtà, che un dettaglio
accessorio in rapporto all’alchimia trascendentale, la quale ha per
scopo lo studio delle leggi dell’evoluzione universale e
l’acceleramento del ritmo di questa evoluzione, come più innanzi si
è detto. Poiché l’essere umano è triplo in sua natura e vivente a un
tempo su tre piani differenti, l’alchimia studia la rigenerazione
dell’uomo e la sua purificazione su ognuno di questi piani: piano
materiale o fisico, piano astrale o sensibile, piano volitivo o
intellettuale.
Esiste un’igiene dello Spirito e un’igiene astrale come esiste
un’igiene del corpo fisico.
La
purificazione dei desideri sensibili, dei pensieri, va di pari passo
col mantenimento della salute fisica, alfine di equilibrare
armoniosamente questi tre ordini di fenomeni vitali simultanei, e
ciò si compie a mezzo dei quattro elementi, simboli del quaternario,
simboli dell’energia agente e del sacrificio. É attraverso la
conversione degli elementi che il ternario purificato si trasforma
nell’Unità monadica, dice Ruggero Bacone: «PER ELEMENTORUM
CONVERSIONEM TERNARIUS PURIFICATUS FIAT MONAS». Questa
purificazione si opera con l’aiuto del Fuoco secreto dei Saggi,
questo primo operaio e principio delle cose, che li conduce sino
alla loro perfezione ultima, dichiara Planis Campy. «A mezzo del
Fuoco Dio trasmette dal mondo intelligibile al celeste e da questo
all’elementare, tutti i tesori della Natura, affinché a mezzo della
comunicazione di questi, tutto si muova, si crei, si vivifichi in
tante vite particolari quante sono le matrici, di cui l’Embrione,
fecondato dallo Spirito del Mondo, riceve la sua perfezione per una
viva simpatia che il Padre ha per il Figlio».
Questa simpatia o amore reciproco è il principio formale che nella
sua essenza e quanto al suo scopo ideale, tende a portare ogni cosa
all’ultima perfetta sintesi.
La
Pietra dei Filosofi, pietra o non pietra, tintura illuminante, non
deve essere intesa solo in senso materiale e concreto. Nel senso
intellettuale è la conoscenza, conoscenza dei principi e della loro
messa in applicazione, frutto dell’albero della scienza, colto con
uno scopo egoistico o per acquisire il summum di potenza, ma
desiderato, voluto, acquistato infine a prezzo di sforzi
perseveranti e di continuo sacrificio.
Come lo dichiara Paracelso, la Tintura dei Filosofi è una materia
mobilissima che tinge i corpi metallici e umani e li cangia in una
essenza assai più eccellente e in un modo di essere assai più
perfetto di quello di cui godeva dapprima; essa penetra i corpi e li
fa fermentare come il lievito.
Bisogna in un primo tempo purificare la materia prima delle sue
impurità e dalle superfluità che traggono dalla sua macula
originale: purificazione fisica, purificazione astrale del mondo dei
desideri, purificazione mentale.
Poi viene la putrefazione, periodo di prova, la quale, perseguendo
l’analogia col soggiorno di Cristo nel deserto dopo il suo
battesimo, dura quaranta giorni, come dura ugualmente quaranta
giorni il periodo del diluvio, come sono in numero di quaranta le
ore del Cristo nel sepolcro. É il periodo di annientamento
temporale, il periodo di sacrificio, il quale si opera secondo il
modo cruciale dei quattro elementi, è il colore nero che simbolizza
i limiti del NON-ESSERE, là ove le monadi ritornano alla loro
primitiva purezza. Poi a poco a poco, progressivamente la materia si
riveste del color bianco; ma non è lì ancora che una perfezione
relativa; bisogna continuare a spingere l’azione del fuoco fino a
che la materia si rivesta del color rosso-porpora e risusciti
gloriosamente per salire al cielo a giudicare (cioè a dirigere) i
vivi e i morti, per purificare i corpi imperfetti e per trasmutarli
in quell’oro purissimo il cui colore simbolizza il corpo glorioso
del Cristo.
Un
vecchio autore afferma che quegli il quale vorrà nettare la Testa
del Corvo (la materia al nero), deve farla discendere sette volte
nel fiume di rigenerazione: il Giordano. E la TURBA dichiara che
l’opera deve cuocersi sette volte, e che ognuna delle sette, va dato
un colore sino alla sua perfezione.
Ora, per colore bisogna intendere la qualità corrispondente ad ogni
pianeta astrologico, inteso nel senso filosofico.
Così a Saturno corrisponde la fissazione, a Marte l’attività in modo
divisionale, a Venere la potenza di espansione, e così dicasi degli
altri pianeti.
Come vi sono tre principi fondamentali, SALE, MERCURIO, e ZOLFO, vi
sono, dunque tre stati principali nella preparazione: materia al
nero, al bianco, al rosso, e i quattro elementi che giocano il loro
ruolo nella costituzione dei corpi e presiedono anche alle
operazioni della Grande Opera.
L’addizione di tre più quattro dà il settenario, settenario dei
metalli e settenario delle operazioni in arte alchemica. Questi due
numeri, moltiplicati l’uno per l’altro, danno il duodenario che ha
la sua importanza in alchimia come in astrologia.
I
dodici segni dello zodiaco sono, infatti, le dodici porte a mezzo
delle quali le anime penetrano nel campo di attività terrestre.
Ricordarsi, peraltro, che prima di iniziare l’opera, è necessario
imparare a conoscere se stesso, e, di esso, la sua vera natura, la
sua origine, la sua potenza, il suo scopo. Tale è il senso riassunto
nel vocabolo alchimico: VITRIOLUM: «VISITABIS INTERIORE TERRAE,
RECTIFICANDO INVENIES OCCULTUM LAPIDEM, VERAM MEDICINAM», che
completa l’antica massima degli Istruttori: «Lege, relege, labora,
ora et invenies».
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