Implicazioni sociali delle Tecnologie dell’Informazione In questi anni le nuove Tecnologie dell’Informazione (Information Technologies, IT) sono diventate sempre più importanti nello sviluppo sociale ed economico in tutto il mondo. A partire dalla metà del Novecento si è via via riconosciuto che accanto al mondo dell’energia e della materia (dell’atomo), esiste il mondo dell’informazione, retto da leggi diverse e alcune volte sorprendenti. La possibilità di maneggiare enormi quantità di dati e quindi d’informazioni su hardware sempre meno costoso e meno ingombrante, e poterle trasmettere in tempi sempre più brevi in qualunque luogo attraverso le reti, sta provocando notevoli cambiamenti e sconvolgimenti in tutte le attività economiche e nelle più profonde correlazioni sociali dell'uomo, tanto che oggi si parla di vivere nell’Età dell’Informazione. Le IT: un mezzo e non fine Nella storia ci sono state diverse rivoluzioni tecnologiche da cui l'uomo ha tratto vantaggio per dare impulso allo sviluppo economico e alla crescita delle proprie condizioni di vita, anche se da un punto di vista sociale hanno presentato nuovi e più profondi problemi. Ma oggi l'uso delle nuove tecnologie dell’informazione avviene in maniera più veloce che in passato e soprattutto non si riescono a stabilire con precisione i confini delle aree interessate da tali tecnologie. Ma, a parte tutte le possibili applicazioni che possono avere le tecnologie dell’informazione, l’interrogativo pressante d’oggi è un altro: riusciranno le tecnologie dell’informazione (e della comunicazione) a migliorare, a far star meglio l’umanità, o si limiterà a far raggiungere solamente una maggiore efficienza, una maggiore produttività? Analizziamo tale problematica, cercando di dare risposte realistiche e realizzabili, e non futuristiche o catastrofiche. Perché le tecnologie dell’informazione e il loro uso possano migliorare l’umanità, il primo passo da fare è quello che tali tecnologie siano utili alle persone, e non il viceversa; ossia i sistemi computerizzati dovrebbero sempre più adeguarsi alle necessità umane, invece di obbligare l’uomo a rimanere soggiogato dall’aumento irrefrenabile della complessità delle procedure e delle opzioni dei calcolatori: per oltre quarant’anni il computer ha rappresentato l’altare di fronte cui ci siamo doverosamente inchinati. Basti, per esempio, pensare alle varie segreterie telefoniche che obbligano ad una perdita di tempo e di pazienza inaudita; oppure alla lettura di manuali di diverse centinaie di pagine per conoscere un semplice programma d’elaborazione di testi; oppure agli aspetti che il marketing definisce ‘amichevoli’ (user friendly) ma che in realtà sono in buona parte difficili da utilizzare; oppure ai guai procurati da un blocco inaspettato del computer; oppure all’uso forzato di comandi diversi per il sistema operativo e il browser, nonostante eseguano operazioni uguali, come inserire, modificare, spostare, visualizzare, utilizzare informazioni; oppure al numero spropositato di messaggi ‘privi di significato’ di posta elettronica che inonda ogni computer con la relativa perdita di tempo. Si deve sempre tener presente che l’informazione primariamente non è di per se stessa una meta finale da dover raggiungere ad ogni costo, ma un mezzo per soddisfare le esigenze umane; il ruolo dell’informazione nella vita resta principalmente quello di permetterci di raggiungere i nostri obiettivi. Tale caratteristica dell’informazione è talmente forte e fondamentale che, insieme alla natura immutabile degli uomini, probabilmente perdurerà nonostante le più imprevedibili invenzioni del futuro. Come ha spiegato E. Severino in “La filosofia futura”, gli strumenti sono mezzi per la realizzazione di scopi; ma hanno la tendenza a diventare scopi essi stessi. In generale: gli strumenti servono inizialmente a soddisfare dei bisogni; poi i bisogni servono a possedere e ad usare gli strumenti; e quando il sistema dei bisogni ostacola in qualche modo il sistema degli strumenti, è il primo sistema, non il secondo, ad essere modificato. I due esempi più noti: Gesù e il denaro. Inizialmente, Gesù è un mezzo (il mezzo) che deve guidare l’uomo a Dio (che è lo scopo autentico); in seguito, Gesù viene trasformato e diventa Dio, cioè diventa egli stesso lo scopo al quale egli avrebbe dovuto condurre. Inizialmente, il denaro è un mezzo per entrare in possesso di merci, e tale possesso, e il correlativo consumo, sono lo scopo del processo economico; in seguito, il denaro diventa lo scopo di tale processo, cioè la produzione di merci diventa il mezzo per possedere quantità sempre maggiori di denaro. Tale abitudine di confondere spesso il mezzo con il fine sembra essere una costante nella cultura occidentale, e soprattutto europea. Perché anche le tecnologie dell’informazione non cadano in questa ambiguità, occorre sempre ricordare che esse sono soltanto strumenti per soddisfare esigenze umane, per far star meglio il maggior numero possibile di uomini; ossia che le tecnologie devono essere di utilità alla gente, e non viceversa. Lo scenario futuro Esaminiamo lo scenario in cui opereranno l’IT nei prossimi 10-20 anni. Il modello strutturale della società del prossimo futuro che finalmente sta emergendo è quello del mercato dell’informazione: nel 2010 si prevede che saranno interconnesse in rete oltre un miliardo di persone attraverso i loro rispettivi calcolatori, e circa 100 miliardi di ‘elettrodomestici’. Tutte queste entità collegate si dedicheranno ad attività di vendita e acquisto, al libero scambio d’informazioni, all’attuazione dei servizi richiesti e nel prossimo futuro caratterizzeranno il lavoro dell’informazione: ossia la gestione di dati di qualsivoglia tipo da addetti qualificati con l’ausilio di strutture offerte dall’IT, e conseguente consegna delle correlate produzioni dove e quando necessitano, oltre ogni limitazione spazio-temporale; e riguarderà la finanza, le compravendite, l’assistenza sanitaria, l’apparato statale, la produzione e la consegna di beni, l’istruzione, ed ogni tipo di servizio. Entro il 2020 è previsto che gli introiti del mercato planetario dell’informazione sarà di circa 5 mila miliardi di dollari; ciò apporterà enormi ripercussioni economiche nella distribuzione mondiale del lavoro, per cui il flusso professionale di tipo informazionale si indirizzerà sempre più dai paesi ricchi a quelli più poveri (in quanto gli stati industrializzati tenderanno ad appaltare le attività connesse all’IT a entità di paesi in via di sviluppo diminuendo in tal modo i costi), mentre i paesi più ricchi usufruiranno di servizi connessi all’informazione sempre più ampi, veloci e convenienti. Ma in tale scenario socio-economico come si può attuare questo drastico cambiamento di tendenze e permettere che nell’età dell’informazione possa migliorare ‘veramente’ la vita degli uomini? L’analisi e le (ipo)tesi che si presenteranno in seguito sono il frutto di ricerche e realizzazioni concrete avvenute nel Laboratory for Computer Science del MIT; tali studi hanno portato alla progettazione di prototipi, in parte già funzionanti, di nuovi sistemi e modelli che effettivamente determinano questo cambiamento di tendenza: le tecnologie dell’informazione al servizio dell’umanità. Il più importante progetto in fase di realizzazione è Oxygen sviluppato nel MIT in collaborazione con il Ministero della Difesa statunitense (DARPA), Acer, HP, Nokia, Philips, NTT, Delta Electronics; tale progetto si prefigge di realizzare intorno al 2004 un prototipo da usare nelle varie attività quotidiane. Sono stati avviati altri progetti di ricerca simili ad Oxygen presso la Carnegie-Mellon Univerity, la University of California di Berkeley, la University of Washington, la Georgia Tech. Scopo principale di Oxygen è quello di implementare un approccio completamente innovativo nell’uso dell’IT al servizio degli utenti. Infatti il sistema è presente ovunque nella quotidianità (per esempio collega tutte le macchine e tutti gli elettrodomestici) e pertanto l’utente non dovrà spostarsi; le interazioni tra utente e macchine avvengono attraverso le modalità naturali della parola e della vista, ossia dialogando normalmente con le macchine (comprensione del linguaggio parlato); il significato delle informazioni avrà sempre più importanza in modo che le macchine possono capire ciò che si comunicano, e quindi eseguire processi automatici (automazione); le risorse informatiche saranno abbondanti, come avviene oggi per le prese elettriche in maniera che ogni individuo possa accedere alle informazioni (accesso individualizzato alle informazioni); il software sarà ‘nomade’, cioè segue gli spostamenti dell’utente e si aggiornerà automaticamente, ed ‘eterno’ (ossia girerà indefinitamente), sempre disponibile senza dover mai riavviare le macchine in modo che sia possibile adattarlo alle necessità dei singoli utenti (personalizzazione); infine il sistema permette interazioni tra persone, e quindi collaborazione con gli altri indipendentemente dalle limitazioni spazio-temporali (cooperazione). L’uomo e l’IT Noi costruiamo le tecnologie, ma le tecnologie influenzano noi e la società, e poiché le tecnologie cambiano continuamente e velocemente dobbiamo attenderci anche veloci e continui mutamenti sociali; ovviamente anche le tecnologie dell’informazione che abbiamo descritto come utili alle persone, avranno su tutta la società ripercussioni che possono essere positive e negative. Molti ritengono che uno dei maggiori pericoli del mondo dell’IT consista nel fatto che l’influenza delle macchine sull’uomo sia eccessiva, per cui un’esagerata diffusione di macchine ci trasformi in esseri quasi robotizzati fanatici dell’efficienza anziché guidarci verso relazioni interpersonali più autentiche. La cosa importante è difendere e proteggere tutti quegli aspetti della vita che hanno una certa importanza per noi; ma sono importanti anche tutti gli aspetti e i vantaggi che provengono dalle tecnologie dell’informazione: aspetti umani e aspetti tecnologici danno cose diverse, che ognuno deve imparare a conoscere e deve saper valutare. Un’altra problematica aperta consiste nel chiedersi cosa possa accadere al mondo del lavoro. La risposta che molti economisti danno è che non si ha alcuna idea sulle conseguenze che tale sviluppo tecnologico avrà nel mondo del lavoro. Infatti è noto che si ritenga che una crescita occupazionale è possibile solo se i mutamenti (in questo caso soprattutto di natura tecnologica) possano produrre un incremento della domanda maggiore di quello della produttività. Se è opinione quasi unanime che la produttività avrà col tempo una crescita proporzionale allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione, non si può sostenere con certezza che salirà anche la domanda. Ma anche se è difficile fare previsioni sulla situazione dell’occupazione in generale, si può affermare con un alto grado di sicurezza che andranno scomparendo le occupazioni prettamente ripetitive, in quanto i compiti ad esse associati possono essere eseguiti efficacemente dalle macchine, se opportunamente istruite. Probabilmente il livello quantitativo occupazionale non subirà grandi cambiamenti: alcune attività andranno scomparendo, mentre ne verranno create altre; per esempio, crescerà la domanda di intermediari dell’informazione capaci di aiutarci a trovare ciò che si desidera in un numero considerevole di informazioni inutili che provengono da tutte le parti del pianeta. Tali mutamenti indurranno automaticamente agevolazioni e benefici per alcune persone del mondo industrializzato, mentre apporteranno danni anche notevoli ad altre. Alcuni sostengono che l'attuale processo di atomizzazione della vita sociale occidentale può essere frenato dal computer, adatto soprattutto ad allargare gli orizzonti personali tramite l'esperienza virtuale: le tecnologie dell’informazione sono una specie di amplificatore sociale e mentale, in quanto permettono di accedere ad un gran numero di persone, conoscenze, punti di vista; e certamente tutto ciò era impossibile prima d'ora. D'altra parte molti sostengono che è strano, se non contraddittorio, che per rivitalizzare i rapporti sociali, ci si debba rinchiudere da soli in casa circondandosi di amici virtuali. Un altro aspetto pericoloso della virtualità è che il globale possa diventare più importante del locale; e se ciò è importante per conoscere persone sparse per tutto il mondo, certamente ci allontana dai luoghi reali e vicini a noi, cambia il rapporto fra amici e conoscenti. Da quello che si è detto in precedenza, emerge una importante conclusione, che è rappresentata da una grande contrarietà schizofrenica del mondo delle tecnologie dell’informazione: da un lato si ampliano gli orizzonti, dall’altro ci si chiude in noi stessi; da una parte si conoscono altre culture, altre ‘cose diverse’, dall’altra preferiamo il nostro piccolo mondo del quotidiano, vogliamo sentire il senso del ‘nostro piccolo’. La contemporanea affermazione del senso della diversità e del nostro costituisce un’ulteriore interpretazione degli effetti globali provocati dalla filosofia di “agisci localmente e pensa globalmente”. Ciò riporta ad un antico problema proprio della cultura occidentale: le tecnologie dell’informazione cioè sembrano che rappresentino quella tendenza culturale che porta alla separazione tra mente e corpo, pensiero e fisicità, umanità e natura, e ad una “naturale simbiosi” con la tecnologia. Umanesimo e Tecnologia (dell’Informazione) Dal momento che la razionalità è il fondamento della tecnologia, sicuramente le tecnologie dell’informazione apporteranno enormi benefici alla parte razionale dell’uomo. Per quanto riguarda la sfera sentimentale, si deve tener presente che la macchina non trasmette le sfumature espressive; fornisce solo un’idea generale, un’idea sufficiente per tutti i fini pratici. Ciò non vuol dire che nell’universo delle macchine non si possano esprimere dei sentimenti: si piange, ci si entusiasma, si ride di fronte ad immagini trasmesse tramite i canali veicolari virtuali. Ma le tecnologie informatiche non consentono di esprimere le emozioni più profonde; pertanto tali tecnologie potranno incrementare la parte sentimentale quantitativamente con benefici probabilmente minimi, ma non possono migliorare la profondità dei sentimenti. Le tecnologie dell’informazione quasi sicuramente non possono influire sul contenuto e sulla spinta che determina la sfera spirituale della fede; d’altra parte le nuove tecnologie, migliorando la razionalità e la conoscenza umana, potranno spiegare ulteriori fenomeni, rimuovere errori, ma anche porre nuovi interrogativi inquietanti. Essendo l’agire umano conseguenza delle tre dimensioni precedenti, l’IT apporteranno di certo enormi vantaggi nell’ambito delle azioni determinate dalla pura razionalità. Pertanto, ogni parte della sfera umana verrà influenzata diversamente da tali tecnologie, a seconda se in ogni uomo è più sviluppata una dimensione anziché un’altra, se si dà più importanza o meno ad un aspetto o piuttosto ad un altro; se invece tutte queste dimensioni umane convivono in maniera equilibrata o anche variabile allora occorre scegliere personalmente come migliorare o meno la propria vita umana consapevole dell’influenza di ciascuna dimensione e stabilendo quale di queste è più importante in assoluto o al momento per se stesso. Il millennio che si è appena concluso è stato dominato da Dio e dalla fede, come appare evidente dalle guerre religiose (dalle crociate alle crisi irrisolte in Medio Oriente), dallo scisma della chiesa ortodossa, dalle conseguenze della Riforma protestante, da secoli di musica e arte in gran parte ispirate dalla religione. Oggi, all’alba del nuovo millennio, questa posizione di dominio si sposta verso un nuovo ‘Dio’: la tecnologia, la cui possente scalata ha preso avvio sul finire del XX secolo. Cresce rapidamente la tendenza a confidare in questo nuovo ‘Dio’ per soddisfare ogni necessità umana, per il miglioramento delle condizioni di salute, per la protezione dai pericoli, per la spiegazione dei fenomeni naturali, per raggiungere la felicità. Dato che la tecnologia, e soprattutto quella relativa all’informazione, è fondata sulla ragione, il nuovo millennio, se lasciato a se stesso, finirà per ampliare ulteriormente la supremazia della razionalità a spese del sentimento e della fede, aggravando così il divario già esistente fra queste tre componenti dell’essere umano. Questa separazione, nata sull’onda del successo della rivoluzione industriale, ha provocato una serie di problemi. I tecnologi hanno iniziato a mettere in discussione i propri obiettivi. Gli umanisti a essere nauseati da idee materiali. Chi era attratto dalla spiritualità a soffrire per la perdita di ogni credo. I giovani, percependo una sensazione di vuoto interiore, a subire l’attrazione dell’apatia e della droga. Le persone si sono chiuse progressivamente in se stesse, attribuendo al possesso un valore sempre più grande, lamentandosi di sentirsi depresse, provocando la disgregazione delle famiglie. I governi hanno stabilito la separazione tra fede e ragione nei programmi scolastici. Un’intera popolazione ‘politically correct’ è diventata sempre più riluttante a pronunciare la parola ‘Dio’. Le università hanno isolato i tecnologi dagli umanisti in compartimenti stagni, in campus separati tra loro. Oggi tale scissione si è talmente integrata nel quotidiano che non riusciamo neppure a rendercene conto né a notare i problemi che provoca. L’accettiamo semplicemente come un fatto ‘naturale’. La tecnologia fornirà un importante contributo agli obiettivi più nobili e alla comprensione del mondo, al pari degli ideali umanisti che esistevano in passato e che continueranno a esistere in futuro. Ma la separazione tra tecnologi e umanisti potrebbe impedirci di scoprire questi nuovi territori. Proseguendo in questo processo di frammentazione, non riusciremo a raggiungere la pienezza delle potenzialità umane. Per migliaia di anni abbiamo vissuto senza questa separazione interiore. E non sempre la ragione, la morale e tutto ciò che abbiamo costruito sulle fondamenta di un pensiero umano traballante ha lasciato un’impronta in noi, come è invece accaduto negli ultimi secoli. Cosa c’entrerà mai la ragione con l’amore di un bambino, la bellezza di un fiore, l’eternità di una pietra, la nostra origine, la nostra meta finale? Il nuovo secolo della tecnologia sta amplificando la tendenza umana a sopravvalutare la razionalità nei confronti della spiritualità, e il pensiero tecnologico rispetto alle idee umaniste. I problemi umani non possono essere risolti unicamente dalla tecnologia. E neppure dal puro umanesimo o dalla sola fede. Per trovare una via d’uscita all’incredibile groviglio di un mondo sempre più complesso, dobbiamo riportare questi elementi all’integrazione reciproca grazie al concorso di tutte le dimensioni umane; dovremo essere capaci di tornare a guardare con stupore un tramonto o una ruota con tutto ciò che significano. Il senso del sé Oggi nella realtà on line e nei mondi virtuali possiamo creare nuovi tipi di comunità, possiamo incontrare sesso e matrimoni virtuali, formiche-robot, psicoterapeutici multimediali, e ricercatori che si spingono a progettare e creare bambini artificiali. Tutto ciò fa parte della cosiddetta cultura virtuale delle reti, che sta avendo forti conseguenze sulle nostre concezioni della mente umana e dell'intelligenza del computer, del corpo, di noi stessi e della macchina, e della stessa vita; cioè sul concetto stesso di identità di noi e della società. La crisi d’identità già in atto nella nostra società dovuta a motivi politici ed economici, è stata ulteriormente evidenziata nel processo contemporaneo di costruzione dell'identità nella cultura delle reti; tale processo (per essere pertanto maggiormente capito) va inserito nel contesto più ampio di confronto, ed ormai di lenta ma continua erosione dei confini tra il reale e il virtuale, l'animato e l'inanimato, l'io unitario e l'io multiplo e fluido. Cosa anche molto importante è che tali cambiamenti avvengono non solo nell'ambito della ricerca e di studi più avanzati, ma anche nei comportamenti della nostra vita quotidiana. Le vecchie distinzioni tra cosa vada considerato umano e cosa tecnologico si fanno sempre più complicate. Inoltre tali interconnessioni tra uomini e tecnologia hanno prodotto profondi cambiamenti in ciò che i computer fanno per noi, e in ciò che i computer fanno a noi, alle relazioni sociali e al modo di considerare noi stessi. Noi realizziamo le tecnologie, e queste costruiscono noi e le epoche storiche. Ma le epoche storiche ci costruiscono, noi realizziamo le tecnologie, le tecnologie costruiscono le epoche storiche. L’uomo diventa gli oggetti che realizza, ma questi diventano ciò che l’uomo ne fa. Ci siamo abituati alle tecnologie opache delle interfacce grafiche che sono capaci di nascondere la nuda macchina agli occhi di chi l'usa. E tali interfacce rappresentano molto più di un semplice cambiamento tecnico: sono un modello per la comprensione basato sul fatto che per conoscere il computer (ma forse anche il mondo) occorra interagire con esso, proprio come quando si conosce una persona o si visita una città. Le finestre a video sono divenute nella vita quotidiana forti metafore per pensare il proprio sé come un sistema multiplo e distribuito, che esiste in molti mondi e impersona ruoli diversi nello stesso tempo: un singolo può essere molti, e molti possono essere una sola persona. Un elemento della cultura informatica che ha contribuito molto al pensiero della identità come molteplicità è stato negli ultimi tempi sicuramente Internet e in genere le reti. Su Internet si costruisce un sé che fa ricorso ciclicamente a molti sé: contemporaneamente riceviamo posta elettronica, partecipiamo ad una video conferenza, prenotiamo un posto a teatro, controlliamo il nostro conto in banca, aspettiamo il risultato di una ricerca in alcuni siti, giochiamo nei tempi d'attesa. Internet è diventato a livello sociale un laboratorio sperimentale importante per la costruzione e la decostruzione del sé. In Internet sono ancora più confuse e opache le linee di demarcazione fra il sé e la ‘maschera’, fra il sé e la simulazione. Internet e la realizzazione d’interfacce grafiche a finestre a video permettono di poterci trovare contemporaneamente in contesti diversi. Per esempio, si può usare simultaneamente il computer per scrivere una ricerca, oppure per partecipare ad una discussione, oppure per chiedere l'importo della polizza ad un'agenzia di assicurazione. Ciascuna di tali attività ha luogo in una finestra specifica e la nostra identità sul computer è data dalla somma della nostra presenza che risulta distribuita in più parti. Ma mentre si fa tutto ciò sul computer, può arrivare in un'altra finestra un messaggio, che in genere ha a che fare con la vita reale: la vita reale non è altro che una finestra in più. Noi passiamo ciclicamente dal mondo on line alla vita. Come utente, in un dato momento facciamo attenzione ad una sola delle finestre sullo schermo, ma in certo senso siamo contemporaneamente presenti a tutte per poter recepire eventuali messaggi connessi a diverse attività svolte contemporaneamente. Su ogni finestra si svolge una specifica attività; la nostra identità sul computer è data dalla somma della nostra presenza in tal modo distribuita. Ma senza alcun principio di coerenza, il senso del sé tende a frammentarsi e a sfaldarsi in tutte le direzioni; la molteplicità è dannosa e invivibile se significa solo muoversi tra personalità che non sono capaci di comunicare tra loro; la molteplicità non è accettabile se implica confusione al limite dell'immobilità. Tale senso di frammentazione entra in tensione anche con il senso quotidiano di noi stessi come un tutt'uno: quando si dice "io faccio", "io voglio", "io dico" si sta usando in ogni caso un termine che implica unità e centralità. Nella vita quotidiana occorre assumere responsabilità per le proprie azioni e quindi considerarci attori intenzionali e univoci. Una tale discrasia tra l'illusione della teoria dell'unitarietà del sé e la pratica di vita di un sé unitario come realtà di base, è uno dei principali motivi per cui le teorie su molteplicità e decentralizzazione vengono accettate con grande lentezza e sospetto. Se l'identità si considera unitaria e solida, è abbastanza facile riconoscere e condannare la deviazione dalla norma; invece un senso più fluido e flessibile del sé ci permette di riconoscere più facilmente le diversità in noi stessi e negli altri. Non siamo più obbligati ad escludere quel che appare estraneo alla molteplicità; ognuno a suo modo è incompleto, ognuno è un tutto nella sua incompletezza. L'ambiente virtuale può dare la possibilità e la sicurezza per esprimere le nostre incompletezze, così da accettare noi stessi per come siamo e il mondo per come è. E’ certo che le tecnologie dell’informazione hanno contribuito alla riconcettualizzazione dell’umano: l’IT ha reso possibile pensare le entità (incluso gli uomini) come agglomerati che possono essere scomposti, combinati con nuovi elementi e rimessi insieme in modi che violino i confini tradizionali. Sicuramente questa trasgressione è liberatoria poiché permette di destrutturare costruzioni storicamente opprimenti e sostituirle con nuovi tipi di entità molto più aperte all’espressività della differenza. Inoltre alcuni ritengono che concepire le persone come un insieme di elementi, porta a pensare l’uomo in termini d’informazione finendo con il livellare il terreno su cui ci muoviamo. Per esempio, se tutte le persone vengono rappresentate come una serie di dati, allora categorie come razza, classe, sesso, ecc. possono essere liberate dal loro peso culturale. Ma considerare gli esseri umani come un insieme di elementi e di dati contiene in sé anche il rischio di impoverire e snaturare il nostro senso di ciò che è umano. D’altra parte anche riconoscendo i rischi insiti nel ridurre le persone a stringhe di codice, occorre tener presente e riconoscere la nostra particolare e istintiva vulnerabilità al messaggio (che inviano ricercatori, studiosi, scrittori, registi, futurologi, ecc.) per cui, in quanto esseri umani, riveliamo qualche parantela con le macchine. Tali cambiamenti non sono avvenuti in modo isolato nell’ambito della sola cultura on line, ma hanno riguardato un’ampia gamma di altri movimenti scientifici e culturali: oggi a vari livelli le macchine sono riconfigurate come oggetti psicologici e le persone come macchine viventi. I giornali di tutto il mondo hanno dato grande spazio al progetto Genoma e ad un visione dell’uomo vicino a quella di un programma. Il concetto di sé psicologico è stato aggredito dall’uso sempre più frequente di medicine psicoattive che hanno posto una serie di interrogativi molto profondi: qual è, secondo la nozione standard, il sé reale di una persona che usando, per esempio, un psicofarmaco si sente meglio, più se stesso sotto l’effetto della medicina? Dov’è il confine tra la persona e la medicina? Dov’è la linea di demarcazione tra finzione e reale? Il sé reale è sempre quello che sta nel mondo fisico? Se una persona può fare molte cose o si sente ed opera meglio sotto l’effetto di psicofarmaci o nel mondo virtuale, si può ritenere il suo vero sé quello legato a questo mondo fittizio? Gli stessi confini della vita sono stati più volte messi in dubbio e contestati dall’uso di nuove tecnologie per prevenire e interrompere la gravidanza, per allungare la vita, per mantenere in vita neonati prematuri e con gravi disturbi. Da: www.grandeoriente.it |