Questa analisi comparativa delle due Encicliche: "Rerum Novarum" e "Centesimus Annus", datata 11 Aprile 1992, è opera d'ingegno del carissimo F:. Francesco R. Sublime Areopago dei Gr.El. Cav. Kadosh Ogni diritto è riconosciuto In questo mio intervento mi propongo di sottolineare quelli che sono gli aspetti fondamentali di una certa concezione cattolica così come emergono da due encicliche, distinte e distanti dal pensiero laico, tuot court. La "Centesimus annus" che è stata pubblicata il 1° maggio 1991 e la "Rerum novarum cupidine" di Leone XIII, il 15 maggio 1891.
Nella “Rerum novarum cupidine” il Papa Leone XIII si riferiva nel primo paragrafo alle sfide del mondo contemporaneo, alle "cose nuove", ai vari errori della civiltà moderna dando una formulazione degli errori stessi come essi sono visti dalla critica cattolica. L'enciclica si apre con la denuncia di cinque mali sociali nei quali pare di vedere i cavalli dell'Apocalisse, tutti fiamme e fuoco, mali sociali ravvisati nella conflittualità del mondo economico e sociale, nell'insorgere sulla scena del mondo, del proletariato, nella libertà di parola e di azione accordata a due falsi profeti che sono il capitalismo liberale ed il socialismo collettivista. Tale parte dell'enciclica è la parte c.d. caduca legata come essa è al contingente dei tempi; la parte invece che si riferisce ai punti irrinunciabili della dottrina cattolica, così come essa è spiegata nell'insegnamento pontificio, è quella relativa alla considerazione della religione come fondamento di tutte le leggi sociali, all'istruzione religiosa come garanzia contro gli errori e le seduzioni del vizio, all'invito fatto all'operaio al culto di Dio e ad amare la Chiesa, l'enunciazione del diritto di associazione con la lamentazione che esso "viene largamente concesso ad uomini apertamente congiurata a danno della religione e dello Stato, dove il riferimento non potrebbe essere più chiaro, la necessità di ricorrere alla religione e alla Chiesa in quanto depositaria dell'unica e sola verità, al richiamo "di quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo", alla concezione stessa di libertà. Tali errori denunciati nella "Rerum novarum" erano già stati fatti oggetto di condanna da precedenti allocuzioni, lettere apostoliche, encicliche ed in particolare dal "Syllabus" di Pio IX e dalla lettera enciclica del 9 novembre 1848 "Qui Pluribus", dal "Ad Gravissimas" di Gregorio XVI dove è tutta una difesa del principio della Rivelazione e si sferra un violento attacco contro le società segrete; e ciò valga per quelli che sono considerati dalla dottrina cattolica i suoi punti irrinunciabili, essendo le "res novae" apparse soltanto con Leone XIII.
Le encicliche sopra mentovate, per non parlare di altre successive, costituiscono l'antecedente cronologico logico filosofico teologico della "Rerum novarum" e della stessa "Centesimus annus" di Ioannes Paulus PP. II. La quale è una riscrittura della "Rerum novarum" di Papa Pecci definita da Pio XI "documento immortale" (è il Papa della conciliazione!). Leggere il "Syllabus" di Pio IX in particolare è come leggere la "Rerum novarum" e la "Centesimus annus" in quelli che sono i punti vitali e fondamentali della dottrina cattolica ed infatti il Violet ha scritto che Pio X e Leone XIII hanno per ben quattro volte visè il sillabo.
La prima origine del quale infatti è attribuita al cardinale Pecci, poi divenuto Leone XIII, che in un sinodo provinciale a Spoleto nel novembre 1849 ebbe ad invocare dal Papa il raggruppamento in un documento ufficiale degli errori della società contemporanea intorno alla famiglia alla proprietà alla cultura; il modello che veniva compilato quindi assumeva il nome di "Syllabus" in referendis erroribus comprendente ventotto punti relativi al panteismo al kantismo al socinianesimo ( dottrina filosofica questa che combatteva il dogma cattolico e luterano); la civiltà cattolica aveva proposto di raccogliere in una sola bolla tutti gli errori del razionalismo, ciò che è nella logica della dottrina della Chiesa incentrata sul concetto di "Rivelazione". ( L'enciclica " quanta cure" ed il "Syllabus" di Pio IX erano state precedute dai fatti svoltisi tra il 1830 ed il 1837 come furono raccontate dall'abate Lamennais il cui giansenismo doveva incontrarsi con quella di Mazzini, dove si ravvisò l'oscillazione delle coscienze fra i sentimenti di libertà, da cui esse erano attraversate, e quelli legati alla Restaurazione (alleanza del trono e dell'altare) mentre la " mirari nos " di Gregorio XVI del 15 agosto 1834 fa impressione, come da taluni storici è stato osservato, per la contraddizione con le pagine scritte dallo stesso Lamennais sull'Italia che sono di condanna per l'oppressione Austriaca e di esaltazione del principio di libertà osteggiato con veemenza da Gregorio XVI.
L'elezione di Pio IX al Soglio ebbe luogo quando già contro la tradizione ecclesiastica dei Gesuiti ed il suo opportunismo, che dimostrava essere la religione considerata più come “instrumentum regni", come scrisse Macchiavelli nella prima Deca di Tito Livio, che “fundamentum regni", sorgevano uomini decisi e liberi che si chiamavano Michelet, Ledru Rollin, Marx, Mazzini che proponevano la cultura laica di cui peraltro erano state gittate le fondamenta nel nostro rinascimento (Ficino, Cusano, Telesio, Bruno, Galilei).
Gli Italiani nei due fini dell'indipendenza nazionale e della libertà concordarono con i Mazziniani, coi democratici ed anticlericali perchè avvertivano essere il "Syllabus" condanna del modo nazionale italiano, conseguenza di un movimento di idee interiore alla Curia romana, specie dopo che aveva avuto inizio il disgregamento del potere temporale pontificio con la guerra italiana del 1859 combattuta assieme alla Francia di Napoleone III ed altresì condanna del liberalismo cattolico francese.
É appena il caso di ricordare Montalembert autore della formula "libera Chiesa in libero Stato", le "questions contemporaines" del 1868 ripubblicate da Ernesto Renan dove il sillabo viene dato e presentato come dimostrazione che liberalismo e cattolicesimo sono fra di loro inconciliabili, la dissertazione di De Sanctis sulla tradizione di democrazia cristiana assommata in Rosmini, che al potere assoluto del pontefice intendeva sostituire il potere costituzionale come avvenuto nelle società civili, dovendo però con grave malessere constatare come invece della democrazia si era avuto il sillabo e non poteva essere altrimenti se è vero che il liberalismo era sorto dalla lotta antiecclesiastica.
Innanzi alla libertà della teocrazia e della Chiesa che pesava sulla coscienza universale, prese forma un partito, non di demagoghi o di atei ma di uomini credenti aventi fede nella religione della libertà che scrisse sulla sua bandiera che la Chiesa non doveva avere privilegi e che il temporale doveva essere dissociato dallo spirituale.
Questa concezione liberale era nata non da una mentalità illuministica ed ecclesiastica del giansenismo settecentesco bensì da una intuizione immanentistica e stoicistica della vita ( Codignola "Carteggio di giansenisti liguri").
C'è il diritto alla verità e c'è il diritto alla libertà.
Il sillabo doveva essere il primo atto di una ripresa teocratica cui seguiva la condanna del modernismo nell'enciclica "pascendi" di PIO X su cui fiumi di eloquenza furono versati da Ernesto Buonaiuti ("Pio XII") e di cui traduzione politica e giuridica doveva essere il concordato del 1929 con il famoso o famigerato articolo 5 che oramai è stato spazzato dalla Corte Costituzionale e che intendeva surrettiziamente dare alla Chiesa un immagine nuova di quel potere temporale che nel secolo scorso Gladstone bollò come "la negazione di Dio".
Mi si permetta di ricordare che fu un oscuro prete di un piccolo paese della Sicilia (Sinagra) che sollevò la questione della incostituzionalità dell'art.5. In verità il sillabo ed il concordato si fondano sulla forza, chiedono a loro soccorso come nei secoli bui, l'intervento del braccio secolare violentando, così facendo la coscienza del carattere etico e non politico della società cristiana. La "Centesimus Annus " recepisce la "Rerum Novarum" e questa il sillabo e la "Mirari Nos" di Gregorio XVI (non è inopportuno e fuori è di qualunque libidine di polemica rammentare le pagine scritte dal D'Azeglio su "i fatti di Romagna" dove meglio risalta la lotta che intraprese Gregorio XVI contro le libertà di culto, civili e politiche, prediligendo questo pontefice i principi legati alla Restaurazione del trono e dell'altare).
La "Centesimus Annus" non parla apertis verbis con il linguaggio del sillabo ma lo sottintende in quelli che sono gli aspetti basilari della concezione cattolica. Le "novae res" ritenute ereticali dal sillabo riguardano principalmente il c.d. indifferentismo ossia la santa dottrina della tolleranza che viene brutalmente condannata e tale condanna viene estesa al socialismo, alle società bibliche alle società segrete alle società clerico-liberali, ciò che rappresenta il più strano paragrafo del sillabo (XIV-XVII) confondendo tale condanna concetti eterogenei stabilendo un rapporto innaturale ed illogico ed antistorico tra socialismo e società clerico-liberale che sembra fossero associazione di preti italiani che accettavano la formula di libera Chiesa in libero Stato, rivendicando tutti i diritti sovrani della società ecclesiastica e della sua terrena civitas gettando come una sfida alla società moderna nata dal liberalismo. Il papato infatti con la ottantesima proposizione del sillabo rompeva decisamente col progresso e con la cultura che pure era nata dallo stesso cristianesimo e con quella civiltà moderna che si vantava delle sue origine cristiane umanistiche (Croce in "Storia d'Europa"). Recita tale infame proposizione che la Chiesa non può venire a patti con la cultura e con il liberalismo ed i cattolici ossequienti alla Chiesa e la stessa Chiesa che vantava la sua condizione illiberale dettero soddisfazione tanto ai diritti della coscienza quanto a quelli dell'autorità con la consueta e gesuitica casistica che distingueva fra tesi ed ipotesi ed a tale proposito lo stesso Croce (ibidem) ha argomentato che la Chiesa intendeva trarre il massimo profitta dai governi esistenti in Europa domandando ad essi la libertà della Chiesa non essendo ancora stato possibile ottenerle il dominio assoluto che il suo ideale richiede.
Napoleone III con la convenzione di settembre del 1864 che affermava il principio del "non intervento" intendeva riconciliare la rivoluzione con il papato ma la risposta di Pio IX "Non Possumus" e la stessa ottantesima proposizione dissolse come pula al vento il sogno. Non è inopportuno a questo punto citare la protesta di Mazzini in nome della religione e dello spirito e della libertà contro la quale si infrangeva l'onda lunga della religione papale. I principi del sillabo trovano conferma pari pari, e non può essere diversamente dopo l'anzidetto, nella enciclica già ricordata "Pascendi" dell'8 settembre 1907 di Pio X e valga per tutte la proposizione "è triste vedere i deliramenti della umana ragione, correre dietro le novità (novae res) cercare la verità fuori dal la Chiesa cattolica in cui senza miscuglio di pur lievissimo errore essa si trova secondo quanto diceva il nostro predecessore Gregorio XVI a buon diritto".
Durante il nostro Risorgimento al tempo in cui era Presidente del Consiglio Cavour la Chiesa con i suoi vescovi andava dicendo (e dice tutt'ora) che fuori dalla Chiesa cattolica non c'è salvezza. É lecito concludere che Pio IX, Gregorio XVI, Leone XIII, Pio X, Pio XI, Paolo II si trovano tutti sulla stessa linea, identico essendo il pensiero sui punti considerati irrinunciabili dalla Chiesa. La quale come si legge nell'opuscolo di Dupauloupu si adatta al contingente senza rinunciare ai suoi principi. La "Centesimus Annus" come già la "Rerum Novarum" di cui propone una rilettura invita a guardare alle cose nuove che sono le sfide del mondo contemporaneo dal capitolo II in poi.
Le "cose nuove" sarebbero costituite dalla lotta di classe tra liberalismo capitalistico e socialismo collettivista denunciata dalla stessa "Rerum Novarum", dall'impegno della Chiesa per la promozione dei diritti dell'uomo, dalla proprietà privata, dalla prefigurazione di una società del lavoro libera e dalla partecipazione che non si oppone al mercato, l'enciclica però si conclude con la assertiva che la Chiesa non ha modelli da proporre. Ed in omaggio al principio ricordato dal Dupauloup secondo cui la Chiesa si adatta al contingente senza rinunciare ai suoi principi, la "Centesimus Annus" riconosce lo Stato di diritto e la democrazia così come Leone XIII aveva difeso la tripartizione dei poteri dello Stato così come formulato da Montesquieu dimenticando però che a monte della formula detta c'era l'esigenza di guarentigia della libertà; ecclesiastici avevano trovato giusto che Pio IX condannasse il suffragio universale. Mutate le condizioni storiche la Chiesa potè revocare i precedenti divieti, le scomuniche contro la confisca delle mano morte accettare le costituzioni moderne la stessa legislazione sociale che veniva a modificare la difesa dell'esistente, con correttivi che originali non sono, accentare la socialità nell'economia.
La dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789, e la stessa filosofia di Rousseau sono anteriori di un secolo alla "Rerum novarum" e di due secoli alla "Centesimus Annus"; il codine napoleonico aveva già dato alla proprietà la sua funzione sociale "quatenus iuris ratio patitur"; la cultura ha sviluppato un afflato universale che si riverbera sullo stesso fatto economico e si traduce con la formula della "economia sociale di mercato". La "Centesimus Annus" come le precedenti encicliche richiama il Vangelo come la Magna Charta del cristiano, mentre il Vangelo non è una dottrina politico-sociale ma una precettistica morale di eco vagamente confuciana con proiezione escatologica; denuncia il conflitto fra capitalismo liberale e socialismo collettivista come già era accaduto con Leone XIII, quasi che le questioni relative non fossero state già sollevate da oltre un secolo, coeve al nascente capitalismo innestato sul troncone della rivoluzione industriale e legato alla concezione propria del liberismo che ha significato tutto proprio e distinto dal liberalismo confuso nell'encicliche con il liberismo. Ma si sa, tutto ciò che è libertà, è anatema.
Il liberismo permeato di spirito pionieristico ed espressamente individualistico, avendo come suo motto il "laissez faire, laissez passer" di cui in termini di economia politica, se le reminiscenze non sono ingannevoli fu traduzione la legge di bronzo enunciata da Ricardo, temperata da una tal quale venatura umanitaria. È stato scritto che la "Rerum Novarum" è la prima enciclica sociale della Chiesa. Già Carlo Marx e Federico Engels cinquant'anni prima della "Rerum Novarum", col "Capitale" e col "Manifesto dei comunisti del 1848" sulla scorta di una errata interprestazione della filosofia hageliana "tutto ciò che è ideale è reale" ed uno stuolo di riformatori riformisti dopo di loro attenti alla questione sociale avevano messo a fuoco il liberismo e stigmatizzato il liberismo manchesteriano cagione di tante sofferenze per lavoratori e bambini di cui Dickens si fece interprete accorato e lo stesso mazzinianesimo enunciava il principio che il capitale ed il lavoro dovessero essere nelle stesse mani, che la cultura non poteva essere considerata come un epifenomeno dell'economia e concludeva che l'uomo è il soggetto della storia.
I paragrafi dell'enciclica e di tutte le encicliche dove sono puntualizzati gli aspetti fondamentali non soggetti al mutare del tempo e del contingente sono quelli che ruotano all'eterna querelle fra libertà e verità, idest verità rivelata, secondo l'interpretazione data dalle gerarchie ecclesiastiche. La "Centesimus Annus" che parla per tutte le encicliche così come queste parlano per quella al paragrafo quarantasei recita "la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall'accettazione della verità", "condizione prima della libertà è l'obbedienza alla verità su Dio e sull'uomo" che "ha bisogno del contributo specifico e decisivo della Chiesa in favore della vera cultura” (capitolo 5) laddove nella cultura laica l'uomo libero obbedisce ai dettami della sua coscienza, al daimon socratico e la vera cultura non si identifica in quella suggerita dal pontefice "ad usum delfini" che non sia posta fuori dell'Index librorum prohibitorum; il pensiero laico è permeato di libertà critica e razionalità, attinge alla coscienza che è divina ed è soffolto dal principio della tolleranza.
L'antinomia fra verità così come enunciata dalla fede cattolica e la ragione è affermata con forza nella "Centesimus annus" al paragrafo cinquantaquattro dove si legge che soltanto la fede rivela all'uomo la sua identità vera rivelandosi la Chiesa come unica depositaria della verità che esclude ogni altra verità attinta fuori del dogma. In tema di libertà di religione e di pensiero e di associazione non v'ha differenza tra gli insegnamenti pontificali; Pio IX, Leone XIII, Pio X non hanno mai accettato la libertà di culto e di associazione e Clemente XII bollò di infamia le società segrete come Leone XIII; in tema di libertà di associazione Paolo II non si pronuncia apertis verbis in maniera ostile come i suoi predecessori e non rinnova l'anatema ma essendo l'argomento un punto che la concezione dogmatica della verità rivelata considera irriununciabile ed essendo la "Rerum Novarum" recepita globalmente in essa si può inferire che in tema di libertà di associazione la "Centesimus annus" abbia fatto proprie le argomentazioni di Leone XIII e le dichiarazioni in punto dell’attuale Pontefice Ratzinger confermano e peraltro se la vera cultura come dice Paolo II è quella che è ancorata alla fede cattolica, l'associazione che non poggi su quella, è anatema.
La "Centesimus Annus" esalta il valore della famiglia "che occorre tornare a considerare come il santuario della vita" alla luce evidentemente di altro punto irrinunciabile della dottrina cattolica che è quello afferente all'istituto del matrimonio che la Chiesa considera come sacramento ed indissolubile da opporre erga omnes (vedasi la lotta allo stesso matrimonio civile durante il periodo di Cavour), mentre nella cultura laica rispettosa delle convinzioni omnine il matrimonio è un contratto, sia pure atipico, la cui regolamentazione non può essere demandata alla legislazione ecclesiastica come è avvenuto con il concordato del 1929 e di qui la lotta della Chiesa al divorzio, alla libertà di decisione nella procreazione, e si spiega come fra le res novae, in tema di punti irrinunciabili ci sia la condanna del razionalismo del secolo diciottesimo e lo stesso ateismo ricondotto all'illuminismo razionalistico essendo tutto ciò che non è aderente al magistero della Chiesa creatura della ragione luciferina. Soltanto la fede dice la "Centesimus Annus" "rivela all'uomo la sua identità" (capitolo cinquantaquattro) per il che non esistendo la "vera" cultura dove essa non poggi sui principi proclamati dalla verità rivelata legittimamente la Chiesa chiede il monopolio dell'insegnamento pubblico ad evitare, per la salvezza delle anime, che si introducano veleni nelle menti umane. Fortunatamente il concordato nelle parti in contrasto con i principi della Costituzione è stato abrogato ed i diritti legati alla libertà di pensiero e di coscienza sono stati ristabiliti. Il pensiero laico prende atto dell'esigenza sentita dalla Chiesa di non differenziare la morale e la politica ma lo stato in quanto creazione giuridica persegue fini che non debbono essere giudicati eticamente. Come è avvenuto purtroppo con il più volte ricordato Concordato del 1929. Che ha recepito i punti considerati irrinunciabili dalla Chiesa con la sottomissione dello Stato alla dottrina della Chiesa stessa violando patentemente la formula cavouriana e lo stesso principio evangelico. ("date a Cesare").
L'immagine dantesca del sole e della luna ad indicare la separazione della Chiesa e dello Stato non ha pienamente illuminato ancora la Chiesa istituzionale, che si contrappone alla laicità del pensiero, che predica la libertà per tutti e la tolleranza che è un valore primario e primitivo ma non assoluto che l'uomo quando pensa non può non pensare in termini di verità non necessariamente coincidente con la verità c.d. rivelata e distingue fra la libertà dell'errore e la libertà dall'errore. Si può dire che lo spirito del sillabo che è quello delle altre encicliche è stato sconfitto, in ciò che aveva di medievale e di tridentino, dalla democrazia cristiana posteriore in ciò che poteva avere, per certe parti, valore contingente mentre quelle parti che sono relative ai punti irrinunciabili della Chiesa intorno alla libertà alla cultura alla separazione dei poteri al rispetto dello Stato non avente connotato etico, lo spirito del sillabo è tutt'ora attuale e tende a revocare in dubbio i principi della civiltà moderna. La radice del moderno totalitarismo non sta tanto come scrive la "Centesimus Annus" nella negazione della trascendente dignità dell'uomo "immagine visibile del Dio invisibile" proposizione questa che parrebbe ricalcare quella proposizione condannata dal sillabo secondo cui "la ragione umana è arbitro del vero e del falso indipendentemente affatto da Dio"; la radice del totalitarismo sta nella condanna del differentismo dove riposa il principio della libertà e della tolleranza.
Verrà il giorno in cui la filosofia e la teologia, la ragione e la fede si abbracceranno " la verità è l'Uno che comprende il molteplice". Giordano Bruno rogato sotto Clemente VIII al Cardinale Bellarmino, omologo del Cardinale Torquemada che inquisì gli ebrei durante il regno di Isabella la cattolica così rispose: "il Dio che io vede e che voi male intendete, nella reggia augusta dell'Onnipotente e nell'etere infinito, non è il Dio in cui si transustanzia agli occhi vostri il pane ed il vino. Lasciate a me filosofo il mio Dio ed io vi consento che il Dio della fede sia il vostro." La filosofia non esclude il concetto di una verità superiore, la teologia nega la conoscibilità razionale di tale verità.
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