LE PRIME LOGGE IN ITALIA
LE ORIGINI DELLA MASSONERIA ITALIANA
Da quanto abbiamo detto nel capitolo precedente dovrebbe risultare che nei primi quattro decenni del secolo XVIII la libera muratoria si afferma con proprie caratteristiche, determinate dalle peculiarità nazionali, in Inghilterra, in Francia, e nel mondo germanico.
Come pure abbiamo detto che i principî essenziali della società erano: l'aiuto reciproco tra fratelli; la tolleranza in fatto d'idee religiose e politiche; l'uguaglianza fra adepti, anche se provenienti da ceti sociali diversi; lo spirito cosmopolita, derivante dalla concezione egualitaria dell'umanità; la democrazia vigente in seno alle logge con la periodicità ed eleggibilità delle cariche; infine la segretezza vincolante tutti gli associati. Questi principî essenziali più o meno permangono nella libera muratoria del continente, anche se con diversa accentuazione determinata dalla diversa condizione sociale e politica.
Tutte le logge riconoscono la propria origine dalla grande loggia di Londra e da questa ripetono la propria legittimità, pur dando al legame gerarchico e disciplinare una interpretazione personale e comunque assai vaga.
Fra il 1730 e il 1740 la libera muratoria inglese, nel suo aspetto principale, ricalca il carattere della monarchia hannoveriana, che accompagna l'evoluzione costituzionale e liberale nel costante affermarsi della borghesia mercantile. Fa inoltre da portavoce al pensiero deista e alle aspirazioni democratiche del più avanzato ceto culturale britannico.
La massoneria francese, invece, nella quale sopravvive un certo spirito stuardista, impersona le aspirazioni libertarie della nobiltà, alle quali inevitabilmente si affiancano aspirazioni costituzionali, come lo dimostra il fatto che tra i fondatori della libera muratoria francese si trovi il de Montesquieu. La stessa concezione delle origini cavalleresche - discostandosi da quella corporativa della massoneria inglese - e la conseguente creazione degli alti gradi corrisponde alle ambizioni gerarchiche della casta nobiliare e di quanti aspiravano a farne parte, offrendo nello stesso tempo un facile rifugio ai cultori dell'esoterismo.
La massoneria germanica, che in seguito condividerà l'interpretazione cavalleresca della libera muratoria, grazie alla diversa condizione politica e religiosa, in genere si affida - ed in questo è esemplare la Prussia - alla protezione del sovrano, inserendosi nel processo del dispotismo illuminato.
Ben diversa è la situazione italiana, dove la mancanza di uno Stato unitario e il predominio straniero, suscitarono fra le varie subnazionalità della Penisola una massoneria..., alternativamente inglese, tedesca, francese a seconda del vario fluttuare delle vicende politiche di cui gli stati italiani furono vittime e ad un tempo spettatori (1).
Se un fatto caratterizza la libera muratoria italiana nella prima metà del secolo XVIII questo è la sua forzata clandestinità, imposta dall'influenza che la Santa Sede esercita ancora nei vari Stati della penisola. E questo implica un più accentuato carattere anticuriale e fa sì che le logge diventino, pur nel pullulare degli avventurieri e degli scrocconi, un centro di raccolta per gli anticonformisti di ogni tendenza: dai deisti e dai libertini ai più convinti assertori delle libertà politiche e della democrazia.
Assai incerte sono le notizie sul primo insediarsi della libera muratoria in Italia.
C'è chi sostiene che una loggia sia esistita a Roma fino dal 1724; ma il maggiore studioso della massoneria italiana, Pericle Maruzzi, afferma che non si tratta di una loggia massonica, bensì di una loggia del Most Ancient and Noble order of the Gormogons, dietro cui si nascondevano i seguaci del pretendente Stuart - il cosiddetto Giacomo III, che viveva a Roma fino dal 1718 - cospiranti sul continente (2). A questa loggia romana dei Gormogoni aderirono alcune personalità del partito giacobita; non sarà quindi male ricordare come questo ordine sia nato e chi ne fosse il fondatore.
Il fondatore fu uno dei più ricchi e nobili rampolli della aristocrazia inglese, il giovane duca Philipp Wharton, esemplare perfetto della corruzione, del cinismo e del gusto dell'avventura imperanti in Inghilterra nella prima metà del secolo.
Costui, bellissimo d'aspetto e ricco da far paura, nel 1716, passò dal partito dei Wighs a quello stuardista, recandosi ad Avignone a giurare fedeltà a Giacomo III e facendosi dare dalla vedova di Giacomo II duemila sterline per la causa giacobita, da lui spese in orge e scostumatezze a Parigi. In casa poi dell'ambasciatore d'Inghilterra, che lo aveva invitato per richiamarlo paternamente all'ordine, durante il pranzo ebbe la faccia tosta di levare il calice e di brindare al ritorno degli Stuart. Ma l'anno dopo rientra nelle file dei Wighs e, sebbene avesse solo 19 anni, fu nominato pari del Regno.
Nello stesso tempo era presidente dei Hell Fire Clubs, una associazione di libertini impenitenti, bevitori e bestemmiatori. E quando nella camera dei Lords venne proposto dal decano di Windsor un decreto per rafforzare la legislazione contro le associazioni che offendono la religione e Dio, il giovane Wharton con un brillante discorso, pieno di citazioni bibliche, si oppose al decreto e, con l'appoggio dei non-conformisti e di quanti temevano una graduale abolizione del «patto di tolleranza», ebbe partita vinta.
Nel 1722 fu eletto gran maestro della grande loggia di Londra. Il nome, le ricchezze, nonostante tutto, venivano considerate come doti che potevano offrire prestigio e protezione all'Ordine. I fratelli comunque si premunirono contro le intemperanze dell'aristocratico gran maestro, mettendogli al fianco come coadiutore l'abile e onesto Desaguliers. Altrimenti non si spiegherebbe come mai proprio sotto il maestrato di una persona così debosciata, la libera muratoria potesse redigere la sua carta fondamentale con il Libro della Costituzione di James Anderson. Ma pochi mesi dopo la sua assunzione, il duca di Wharton ne fece una delle sue. Presiedendo il banchetto che festeggiava san Giovanni Battista, protettore dell'ordine - sia perché fosse nuovamente passato al partito degli Stuart, sia perché il lungo abuso di gin e di porto avesse leso i centri inibitori - a un certo momento ordinò all'orchestra, che accompagnava le libagioni rituali, di suonare l'inno degli Stuart. Il povero Desaguliers dovette faticare non poco per rimediare le provocazioni del suo gran maestro.
Comunque la carriera massonica del duca di Wharton era finita: i fratelli bruciarono solennemente in loggia il suo grembiale ed i suoi guanti. Fu allora che meditò la fondazione di una società - quella dei Gormogoni - che avrebbe dovuto essere il contraltare della massoneria, sostituendo al mito biblico, un mito tolto dalla storia della Cina, allora di moda: cominciava l'epoca delle chinoiseries.
Quindi vendette i suoi beni, si recò sul continente e nel 1724 lo troviamo a Roma di nuovo presso il pretendente. Quivi si convertì anche al cattolicesimo e dette vita appunto alla loggia dei Gormogoni, di cui pare facessero parte come abbiamo detto i già ricordati Ramsay e Charles Radcliffe, entrambi a Roma in quello stesso anno, e lord Winton, futuro venerabile della loggia giacobita di Roma, della quale parleremo tra poco.
La società dei Gormogoni non sopravvisse di molto al suo fondatore, che dopo ulteriori avventure, anche sentimentali, finì i suoi giorni in Spagna, all'età di 33 anni, logorato dalla vita intensa e dall'alcool (3) .
Prima del 1730 non si hanno notizie documentate di logge esistenti nella penisola. Ma non è escluso che nuclei latomistici sorgessero in varie città italiane dall'iniziativa di singoli massoni stranieri capitati nel nostro paese per ragioni d'affari o con incarichi politici. Abbiamo già detto come intorno al 1724 si trovassero in Italia il duca di Wharton, Ramsay e Radcliffe. Nel 1729 venne a farvi un viaggio Thomas Howard, duca di Norfolk; egli era allora gran maestro della grande loggia di Londra, sebbene fosse cattolico e sospettato di essere un giacobita(4) . Si trattenne soprattutto a Venezia, donde inviò doni alla grande loggia di Londra, ma si fermò anche a Padova, Verona e Vicenza.
È probabile che in seguito a questi viaggi sorgessero logge, composte però quasi esclusivamente da stranieri, anche a Napoli, a Venezia, a Livorno, a Ferrara, a Genova e a Milano. Questo almeno viene affermato dagli storici della massoneria, i quali evidentemente attinsero tali notizie da particolari fonti scritte od orali, poiché in realtà non sussiste alcuna documentazione che possa suffragarle (5). Il primo documento che potrebbe comprovare la fondazione di una loggia a Napoli nel 1731 o 1732 è una patente rilasciata dalla grande loggia di Londra ai fratelli Georges Olivares e Francesco Saverio Geminiani. Quest'ultimo era il noto musicista lucchese, iniziato proprio a Londra il 1° febbraio del 1725, mentre il 12 maggio successivo, gli furono conferiti il 2° e il 3° grado in una loggia costituita in seno alla Philo-Musicae et Architecturae Societas di Londra (6). La patente è
sottoscritta dal gran maestro lord Coleraine, «l'aristocratico antiquario e classicista che visitò più volte l'Italia» (7). Questa patente sarebbe stata conferita all'Olivares e al Geminiani per istituire una loggia a Napoli nel 1731. E di una loggia sorta a Napoli in tale data ci dà una conferma Giuseppe La Farina nella sua Storia d'Italia (8).
Ma purtroppo anche di questa patente non esiste oggi più traccia, cosicché è lecito dubitare della sua reale esistenza (9). Né sembra che il musicista lucchese abbia soggiornato a Napoli in quegli anni; come non risulta che la gran loggia di Londra abbia rilasciato patenti, anteriormente al 1750. A nostro avviso non è da escludere, dato il coincidere di diverse fonti trasmesse, l'esistenza di una loggia a Napoli intorno al 1730; ma non esistendo alcun documento preciso in merito, riteniamo inutile dilungarci oltre sull'argomento. Sarà dunque bene lasciare nel limbo delle supposizioni quanto si dice su questa proto-massoneria italiana e, attenendoci alla documentazione effettiva, parlare delle due prime logge di cui è documentata l'esistenza e che sono la loggia hannoveriana di Firenze e quella giacobita di Roma. Cominceremo da questa ultima, anche se la sua data di
fondazione - 1735 - è più recente, poiché la sua storia si conchiude assai prima dell'altra (10).
UNA LOGGIA GIACOBITA A ROMA
Se le notizie finora riferite sono vaghe e per ora scarsamente verificabili, abbiamo viceversa una vasta documentazione sull'esistenza di una loggia stuardista a Roma, dove questa svolse la propria attività negli anni 1735-1737 (11). La loggia, sorta probabilmente sulle rovine1della disciolta società dei Gormogoni, era composta da giacobiti, sia cattolici che protestanti (12). Ma i membri, ad esclusione di un certo conte Soderini, non erano italiani e quasi esclusivamente inglesi, dato che per un articolo di statuto, dovevano conoscere quella lingua.
Questo statuto, diviso in 12 articoli, si uniforma, semplificandole, alle regole che reggevano allora la Libera Muratoria. Ma la loro redazione in latino, sembra voler accostare i riti massonici al rituale della Chiesa cattolica. Eccone il testo.
STATUTA AD ROMANAM LIBERORUM MURATORUM LODGIAM DEMISSA
1. Ne quis sine ostracismo admittitor.
2. Candidatus quisque a nocte, qua fuerit electus ad proximum Conventum Probationarius esto. 3. Peregrini rejiciuntor si linguam anglicam non intellegunt. 4. Magister magistratus creato; Lodgiae leges ferunto.
5. In omni causa decernenda penes magistratum duo sufragia sunto. 6. Magistro in fratres jus esto convocandi et contumaces mulctandi.
7. Fratres sub poena forsan nimis severa laborantes a Magistro ad Lodgiam appellanto.
8. Mulctas pauperibus largiuntor.
9. Sacra archivia Magistri et Guardiani custodiunto.
10. Magister post coenam, non sine debitis libationibus, scilicet propinationibus massonicis, Lodgiam claudito. 11. Guardianus senior suffragia colligito; junior Lodgiam a secretis esto; legum tabulas facito.
12. Quisque frater electus, binis vestimentis muratoriis (scilicet quattuor Chiro-thecis) totam fraternitatem
donato (13).
I dirigenti ed i soci sono tutte personalità del patetico partito stuardista (14). Il primo venerabile fu William Howard - il nome Howard è quello dei duchi di Norfolk, che per tradizione erano cattolici e massoni - ma poco tempo dopo la carica passa col titolo di Grand Master al protestante John Cotton. Nell'agosto 1736 venne eletto venerabile lord Winton «Earl of Seton», che nel gennaio successivo, assume il titolo di Great Master.
Le riunioni si tenevano «at Joseppe, in the Corso» oppure «at three Kings, strada Paolina», oppure «chez Dion». Si tratta evidentemente di trattorie o locande, dove, secondo l'uso inglese, si stabiliva la sede provvisoria della loggia; salvo che per «Dion», che poteva anche essere il nome di qualche francese, partigiano degli Stuart. Poiché, se Luigi XIV era stato costretto suo malgrado dal governo inglese a togliere l'ospitalità offerta agli Stuart, nondimeno i francesi continuarono a sostenere e ad aiutare la causa giacobita. Difatti il giorno in cui si tiene loggia «chez Dion» furono ammessi come soci due francesi e uno svedese (15).
Facevano inoltre parte della loggia o intervenivano come ospiti alle sedute, eminenti personaggi e fieri combattenti della causa giacobita. Come ad esempio lord Kilmarnock, ben noto nel mondo della massoneria giacobita e nella storia inglese poiché, catturato durante la sanguinosa battaglia di Culloden, verrà decapitato a Londra nel 1747 e verrà considerato un martire della causa cattolica in Inghilterra (16).
Ma, nonostante tutte queste benemerenze acquisite dai suoi membri per la causa stuardista e cattolica, improvvisamente nell'agosto del 1737, la loggia venne soppressa per ordine del governo pontificio. Onde ammonire i nobili componenti della fratellanza, senza destare clamorose reazioni, fu arrestato il povero «fratello servente» che era poi il valletto di uno degli adepti, ma fu rilasciato dopo pochi giorni. Pochi mesi dopo, il 4 maggio del 1738, Clemente XII fulminava con la bolla In Eminenti la libera muratoria, giacobita o hannoveriana che fosse.
Ci domandiamo ora quali potessero essere i motivi che spinsero la Santa Sede a sciogliere la loggia romana, della cui esistenza era certamente informata, dato che la libera muratoria stuardista esisteva già da molto tempo, né mai finora era incorsa non solo nella scomunica, ma nemmeno nel biasimo papale. I motivi potrebbero essere diversi.
Uno, e piuttosto contingente, è la discutibile personalità dell'ultimo venerabile, lord Winton, conte di Seaton. Costui, nel 1716, aveva preso parte alla prima sollevazione giacobita, rivelando un coraggio da leone, ma nello stesso tempo una certa dose di follia. Fu preso prigioniero e rinchiuso nella Torre di Londra assieme a James e Charles Radcliffe, e con quest'ultimo fu protagonista di una delle più brillanti evasioni che la storia registri. Da Londra Winton si rifugiò a Roma, presso il pretendente Giacomo III, che ben presto dovette avere a noia la presenza di un sostenitore così turbolento, il quale lo seccava tra l'altro anche con continue richieste di denaro. Ma non basta, gli Stuart Papers (17) parlano di un dissidio, del quale ignoriamo la causa, dissidio piuttosto acceso, punteggiato da minacce di morte, fra il venerabile Winton e il primo sorvegliante Charles Slezer, cui non doveva essere estraneo nemmeno il secondo sorvegliante, John Stewart.
Giacomo III, al quale Winton si appellò, ignorò le qualifiche massoniche dei contendenti e fu piuttosto evasivo nel suo giudizio. Certamente fu ben lontano dal dare ragione al Winton, che intanto schiumava di rabbia.
Ora, potrebbe anche essere - come suppone il Mellor (18) - che fosse proprio il «vecchio pretendente», al quale un gruppo latomistico presieduto da un simile energumeno sarà sembrato tutt'altro che utile alla sua causa, a sollecitare da Clemente XII lo scioglimento della Loggia.
Ma c'era anche un altro motivo, di carattere generale e - secondo noi - più valido, per suggerire al pontefice una simile decisione.
Abbiamo già detto come le logge, secondo gli intendimenti degli stuardisti avrebbero dovuto diventare un feudo del loro partito e servire - nel nome della fratellanza e della segretezza - quale punto d'incontro con gli avversari politici per carpire le loro intenzioni recondite e per fagocitarli nel proprio ordinamento. Ma in realtà stava succedendo proprio il contrario. Gli hannoveriani, come sullo scacchiere della politica europea, così anche in seno alla libera muratoria, stavano prendendo il sopravvento. Ed alcuni loro elementi, infiltratisi nelle logge giacobite, esercitavano un proficuo lavoro di spionaggio a favore del governo di Londra. Le logge non rappresentavano più un utile strumento alla causa cattolica e a quella degli Stuart!
Nella loggia romana, ad esempio, nell'ultima adunanza fu ammesso uno scozzese, Murray of Broughton, segretario del principe Carlo Edoardo Stuart, figlio del pretendente Giacomo III. Il Murray, fatto prigioniero dopo la battaglia di Culloden (1746), si trasformerà in spietato accusatore dei suoi compagni e naturalmente avrà salva la vita. Costui, protestante e giacobita, era probabilmente un praticante del doppio gioco: può essere - come pure suppone il Mellor (19) - che fino da allora, inserito nella rete dello spionaggio e controspionaggio, avesse informato il pretendente di certe torbide attività finanziate dal Walpole che si svolgevano all'ombra delle logge. Come può darsi che egli stesso avesse destato sospetto nei suoi superiori.
Ma, secondo noi, il motivo più probabile dello scioglimento della loggia romana e della scomunica pontificia è un altro. Era nel frattempo scoppiato lo scandalo della loggia di Firenze, cui seguì il relativo processo davanti al Tribunale dell'Inquisizione. Il processo aveva rivelato come la loggia fiorentina, non solo fosse una roccaforte degli hannoveriani, ma anche un centro di raccolta di liberi pensatori, di accaniti avversari dei gesuiti e del potere clericale in genere.
Fu dunque probabilmente per l'accumularsi di questi motivi, per eliminare una rete di spionaggio del partito anglicano e per stroncare dalle radici una organizzazione sovvertitrice del suo potere politico e religioso che il Vaticano, deciso ormai a condannare la libera muratoria, iniziò l'azione repressiva con lo sciogliere la loggia romana, anche se questa era formata in prevalenza da cattolici e sostenitori di una causa cara al pontefice.
1. R. Soriga, Le società segrete, l'emigrazione politica, e i primi moti per l'indipendenza, Modena 1942, p. 4.
2. P. Maruzzi, Vicende della Libera Muratoria in Italia nel secolo XVIII, in «Acacia», marzo 1917, p. 37.
3. [C. Lenning], Allgemeines Handbuch der Freimaurerei, Leipzig 1863-1867, vol. II, ad nomen; B. Faÿ, op. cit., pp. 139-150; A. Mellor, La charte inconnue cit., pp. 32-37.
4. A. Mellor, op. cit., p. 42. Cfr. anche M. P. Azzuri, Inizii e sviluppo della Libera Muratoria moderna in Europa,
Roma 1957, parte II, p. 50.
5. Cfr. Allgemeines Handbuch der Freimaurerei, vol. II, voce: Italien.
6. Il Geminiani si trovava in Inghilterra dal 1714, mietendo successi e denari; l'atto d'iniziazione del Geminiani e il successivo conferimento dei gradi si può leggere in R. F. Gould, History of Freemasonry, London 1951, vol. II, p. 380. Il testo della patente in questione fu pubblicato sulla rivista massonica: «Le piramidi di Memphis», 1916-1917; l'originale, secondo l'autore dell'articolo si troverebbe all'Archivio di Stato di Napoli, dove però attualmente non è più reperibile. Cfr. M. P. Azzuri, Sull'istituzione della prima loggia in Firenze, in «Lumen Vitae», novembre 1955, p. 391. Id., Inizii e sviluppo della Libera Muratoria moderna in Europa, Roma 1957, parte II, pp. 86-87.
7. M. Rosa, Dispotismo e libertà nel Settecento, Bari 1964, p. 19.
8. G. La Farina, Storia d'Italia, Torino 1860, vol. I, p. 65: «La prima Loggia che fondossi in Italia fu quella di Napoli nel 1731».
9. Anche altri indizi di carattere filologico del testo così come è pubblicato fanno pensare alla non autenticità del documento.
10.Così pure è da relegare nel regno delle favole quanto circa 30 anni dopo, si poteva leggere in una Historia Ordinis redatta per i novizi della massoneria templare, di cui parleremo in seguito. In essa si affermava che nel 1732 fu creato un «Gran Capitolo d'Italia» con a capo lord Robert Bedfort e residente a Firenze. Pura fantasia!
11. Su questa loggia esiste uno studio esauriente di W. Hughan, The Jacobite Lodge at Rome, 1735-1737, Torquay 1910. Tale lavoro è stato reso possibile dal fatto che l'autore ha avuto modo di consultare il volume manoscritto con i verbali delle sedute della loggia. Esso fu conservato da uno dei fratelli, il dr. James Irvin. Alla morte di costui, nel 1750, la vedova lo donò ad un massone chiamato Lumisden, che a sua volta lo trasmise a un certo John Mac Gowan. Quest'ultimo lo donò alla Gran Loggia di Scozia, presso la quale è tuttora consultabile.
12. R. Soriga (op. cit., pp. 10-11), di solito così preciso, afferma, questa volta errando, che la loggia era composta «esclusivamente di cattolici scozzesi», identificando forse giacobiti con cattolici. In realtà, come abbiamo detto, anche fra gli stuardisti c'erano diversi protestanti.
13. Cfr. W. Hughan, op. cit., p. 38.
14. Ecco l'elenco dei fondatori della loggia: (1) William Howard, venerabile; (2) James Irvin, primo sorvegliante; (3) Richard Younger, secondo sorvegliante; (4) James Irvin, senior, protomedico di Giacomo III; (5) Thomas Twisden; (6) William Hay, probabilmente il conte d'Inverness, precettore dei due figli del pretendente; (7) James Dashwood; (8) Thomas Lisle; (9) William Mosman; (10) Henry Fitz Maurice; (11) John Stewart; (12) Charles Slezer; (13) John Cotton; (14) William Sheldon;(15) sir Marmaduke Constable; (16) Daniel Kilmaster.
Nel corso delle varie riunioni furono ricevuti con tutte le debite forme, oltre al ricordato conte di Winton: (17) mr. Mark Carse; (18) conte Soudavini (probabilmente Soderini); (19) De Bandy De Vis; (20) Thomas Archdeacon, capitano del Royal Etranger, «in the King of Naples service»; (21) conte di Cronstadt, svedese; (22) Mr. Le Vidame de Vassi, colonnello di cavalleria, al servizio del re di Francia; (23) Mr. de Croysman, capitano del reggimento de Vassy; (24) Alexander Cunningham; (25) Allan Ramsay junior, pittore; (26) Louis Nairne; (27) John Halliburton; (28) marchese C. A. De Vasse, «Brigadier of the French Army and Collonelle of Dragoons»; (29) Alexander Clerk; (30) Murray of Broughton.
Tra i fratelli visitatori figurano i nomi di John Forbes e di lord Kilmarnock.
15. Vedi i numeri 21, 22, 23 della nota precedente.
16. Egli sarà anche considerato come un mitico personaggio della libera muratoria templare, secondo una leggenda creata dal fondatore della «Stretta Osservanza», come vedremo in seguito.
17. Cit. da A. Mellor, La charte inconnue cit., p. 122.
18. Ivi, p. 124.
19. Ivi, p. 61.