L'etica quale matrice della politica: Francesco Mario Pagano e la "progettualità" culturale della Repubblica Partenopea del 1799 Nei paragrafi d'esordio del messaggio con cui i patrioti napoletani si rivolgono ai "cittadini rappresentanti" ai quali è diretto il "progetto" della nuova Costituzione, c'è spazio per richiamare il contributo che gli americani, con la Costituzione dell'anno 1787, e i francesi con quella dell'anno III, hanno offerto alla "nuova scienza", l'arte mai sperimentata prima con sistematicità di dotare i popoli di moderne "codificazioni", ossia di una Costituzione in grado di assicurare "la pubblica Libertà, e che slanciando lo sguardo nella incertezza dei secoli avvenire, guardi a suffogare i germi della corruzione e del dispotismo". La tensione etica che nutre il testo è palmare: la "libertà" quale diritto di natura e architrave fondante del nuovo ordine garantisce tanto la proiezione nel "futuro", cioè la progettualità intesa come costruzione del mondo nuovo, improntato a valori e schemi rispettosi della dignità dell'essere umano, quanto il distacco definitivo da una storia reale di violenza e oppressione cui è possibile sottrarsi solo a patto di osare, di navigare la "incertezza" che da sempre costituisce l'elemento naturale degli autentici riformatori. Sappiamo che il lavoro di preparazione del testo venne affidato ad un "Comitato di Legislazione" formato da Giuseppe Albanese, Giuseppe Logoteta, Domenico Forges Davanzati, Carlo Lauberg, Luigi Rossi (nel ruolo di segretario), con Francesco Mario Pagano quale Presidente. Quest'ultimo, privato della cattedra di diritto penale all'Università di Napoli e poi sottoposto a processo, era stato incarcerato a Castel S. Elmo e poi liberato nel luglio 1798 con l'obbligo di lasciare il Regno. Dopo Roma si era recato a Milano, città da cui rientra in quel fatidico 1° febbraio 1799 per assumere la guida della Commissione appena menzionata. Di fatto, sarà il principale se non l'esclusivo estensore del testo della Costituzione. Si tratta del momento conclusivo di un impegno durato per più di tre decenni, che avrà la sua acme in Piazza Mercato a Napoli il 29 ottobre dello stesso anno, con l'impiccagione dello stesso Pagano, tradito, insieme agli altri rivoluzionari, dalle oscure manovre di Re Ferdinando IV e dell'ammiraglio Horatio Nelson, i quali disconoscono la resa onorevole trattata con il Cardinale Ruffo e soffocano con una feroce repressione il "fugace" esperimento repubblicano. Ma è proprio qui lo snodo cruciale, l'angolo prospettico che ci preme più da vicino. É difficile non riconoscere che sul piano storico le vicende tumultuose della Repubblica Partenopea vanno inquadrate, con qualche differenza di scarso rilievo, nell'ambito di quella costellazione di governi repubblicani che tra il 1796 e il 1799 sorsero nella penisola italiana con il sostegno attivo del Direttorio. Il loro assetto politico-istituzionale rifletteva quello della Francia post-termidoriana e non poteva essere altrimenti. Tale stretto legame spiega in parte, ad esempio, le ragioni delle difficoltà con cui il Governo Provvisorio insediato a Napoli il 23 gennaio 1799 con decreto del generale Jean Etienne Championnet dovette misurarsi: i problemi derivavano dalla diversa percezione che francesi e patrioti avevano delle problematiche cruciali in campo militare ed economico-finanziario, oltre che dalle contrapposizioni interne alle fila degli insorti. Tutto ciò, unito alla sostanziale estraneità della popolazione, in mezzo alla quale i metodi "dittatoriali" del comandante francese contribuiranno ad innescare effetti di distacco quando non di aperta ostilità , finirà per rendere precario l'assetto della Repubblica, provocandone la rapida involuzione e il crollo in seguito al ritiro obbligato delle truppe francesi (avvenuto il 7 maggio 1799) a causa delle sconfitte subite dalla Francia nell'Italia settentrionale ad opera degli austro-russi. Sul piano strategico-militare e della sfida tra la Francia post-rivoluzionaria e le maggiori potenze europee, non vi possono essere dubbi: le vicende napoletane sono, a tutti gli effetti, secondarie, si presentano quali esiti estremi della gigantesca onda d'urto che l'89 mette in moto in termini ideologici e politico-sociali. Ma proprio a Napoli, con effetti inattesi, la spinta al rinnovamento dei tradizionali assetti di potere incrocia un'autonoma elaborazione filosofica e intellettuale che fa registrare originali formulazioni di questioni centrali a tutto il pensiero illuminista come, ad esempio, quelli della forma di stato (monarchia illuminata, temperata e adeguata alla modernità da un forte legislativo in grado di rappresentare la complessità delle stratificazioni sociali, o repubblica con i connessi problemi dell'equilibrio/controllo fra i tre poteri principali, in specie il legislativo e il giudiziario), quelli dell'economia e del superamento della feudalità quale sistema di conservazione di equilibri sociali sperequati, basati sullo sfruttamento e la violenza nei rapporti fra le classi, quelli dell'educazione del popolo quale via maestra del riscatto dei diseredati, strumento di rinnovamento delle nazioni e di esaltazione della dignità dell'uomo. Su tutti questi fronti, gli intellettuali napoletani cresciuti alla scuola di Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri, nutritisi dei testi del Vico, del Gravina, del Beccaria, hanno una parola originale da dire e anche se l'ineludibile pressione degli eventi in cui si ritrovano coinvolti dopo la proclamazione della Repubblica li spinge a soluzioni affrettate o di compromesso, non viene meno la tensione etica del loro impegno, il senso di interscambio e vivificazione tra "politica" e "morale", l'idea che la riforma della società procede dalla riforma dell'uomo, dalla sua liberazione dalle catene dell'ignoranza. Il loro senso della "progettualità" scaturisce, come Croce ha osservato nella Storia del Regno di Napoli, da quel "senso generico in cui ogni classe dirigente è un'eletta di uomini dotati di vigore e capacità di governo e perciò, fisicamente e numericamente, minoranza (sebbene idealmente maggioranza, ossia la vera maggioranza)". Non è estranea a questo senso specifico di identità la comune esperienza massonica della stragrande maggioranza dei patrioti del '99, esperienza che spinge verso istanze ideali e utopiche e fa considerare con un certo fastidio i problemi di sé e della propria fortuna individuale. Essi partecipano alla formazione della Repubblica, ne formano il governo e lavorano per elaborarne le carte fondamentali, infine sono i suoi difensori e martiri.
In quest'ottica, si comprendono la centralità della filosofia politica di Francesco Mario Pagano e l'originalità del suo contributo. Assai stimato dallo stesso Vincenzo Cuoco che, nella prima stesura (1801) del suo Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, aveva riconosciuto nei "suoi saggi politici … la miglior cosa che si possa leggere dopo le opere di Vico", Pagano s'era subito indirizzato al cuore della "scienza della legislazione" tracciando un percorso che muove dallo studio dei fondamenti e dell'origine del potere politico-religioso (quando "la città era divenuta un tempio e un campo insieme"), passa poi all'analisi delle condizioni di vita delle società più remote e dei loro ricorsi storici (quando "la licenza armava la privata forza"), mette a fuoco il sorgere della civiltà e delle prime magistrature, e approda infine alla riflessione etica sui diritti e sui doveri, e allo studio delle forme di costituzione dello Stato moderno. Progetto ambizioso, di grande respiro, che il filosofo sviluppa nei Saggi politici de' principi, progressi e decadenza della società (due edizioni fra il 1783 e il 1792) e nelle Considerazioni sul processo criminale (1787). É il processo di formazione della "giurisdizione pubblica" a costituire il fondamento dello Stato moderno. Quest'ultima, infatti, opponendosi alla violenza che caratterizza le società "feudali", garantisce al cittadino l'esercizio dei diritti politici fondamentali. Nelle società arcaiche, invece, domina l'anarchia, ovvero quella che Pagano definisce come l'"indipendenza privata" immediatamente successiva allo stato di natura. Il riunirsi delle forze private innesca il passaggio successivo per cui, come lo stesso Filangieri aveva scritto nella Scienza della legislazione, , la nascita e l'evolvere della legislazione aveva avuto l'effetto di "convertire la violenza privata in violenza pubblica; per istrappare dalle mani de' privati l'esercizio del diritto di punire, e conferirlo ad una magistratura analoga alle circostanze politiche, nelle quali si ritrova la Nazione". É questa anche la posizione di Pagano, la sua concezione circa il sorgere del moderno Stato di diritto. Accettando il "contratto", cioè entrando di propria volontà nel corpo sociale, il cittadino rinuncia al diritto all'autotutela e alla vendetta e favorisce così la transizione dalle società "barbare" verso quelle "colte" nelle quali le pubbliche magistrature, nell'ambito della legge, esercitano il monopolio sulle contese private e proteggono la sfera della persona, l'ambito d'azione individuale. Col passare del tempo, le stesse magistrature si evolvono, si specializzano, e con esse evolve il costume civile. Anche lo Stato sviluppa e consolida la propria organizzazione politica, e combinando l'intervento penale con l'educazione e l'elevazione dei singoli, pone le basi per un superamento effettivo della stessa repressione legale, esaltando così l'integrazione e la socialità. Come bene scrive lo stesso Pagano nell'Introduzione alle Considerazioni sul processo criminale, la "libertà civile vien custodita dalla criminale legislazione, e da' pubblici giudizi", e come viene ribadito nel quinto dei Saggi Politici ordine morale e ordine politico sono strettamente interdipendenti e a loro volta rinviano all'equilibrio del corpo sociale secondo che "più o meno la violenza v'ha parte, che più o meno v'è libera la pubblica volontà". La libertà del pensiero viene progressivamente a coincidere con la facoltà del singolo di autodeterminarsi in funzione della propria cultura, del complesso delle proprie conoscenze. Secondo Pagano, "La libertà è la potenza e facoltà di … determinare se stessi secondo il fine naturale e a proporzione delle conoscenze". Sotto questa prospettiva, la legge è l'"intelligenza degli oggetti, a' quali il corpo sociale deesi guidare. L'intelligenza forma la legge". Il titolo del capitolo iniziale del già citato quinto Saggio recita appropriatamente: "L'estinzione della indipendenza privata, la libertà civile, la moderazione del governo formano l'essenziale cultura delle nazioni". Il lento ma inarrestabile sviluppo della "sovranità" disciplinata e temperata dalla "giurisdizione" svuota di significato le forme della "feudalità", ossia i sistemi di controllo basati sull'esercizio della "violenza privata", e sfocia gradualmente nel progresso delle nazioni; quest'ultimo è intrecciato intimamente alla "cultura" e alla sua diffusione, cultura civile quale complesso di norme e "costituzioni" che formano gli ordinamenti delle nazioni più evolute, cultura individuale quale codice morale di autodisciplina che regge la sfera dell'agire individuale e ne garantisce il preciso raccordo con la prima sul terreno della "socialità" matura. É questo il cuore del sistema paganiano, il focus di una visione dinamica del crescere, progredire e decadere delle nazioni. Al centro vi è un'idea tormentata di "progresso" che sconta l'eredità critica dell'empirismo e sensismo sei-settecentesco, in specie la nozione di "fallibilità" dei poteri individuali d'indagine, e punta alla sintesi possibile (non a caso, quella del primo illuminismo europeo), cioè al tentativo di coniugare la riforma dell'uomo con quella della società, superando i limiti di perfettibilità del primo nella struttura e nella relazionalità armoniche della seconda. Su questo terreno, il pensiero di Pagano incrocia la migliore elaborazione filosofica europea, non solo quella francese (Montesquieu, Voltaire, Rousseau, e Mirabeau in particolare) ma anche quella inglese, da Hobbes a David Hume, a Berkeley, con il passaggio obbligato del contrattualismo lockiano, segnatamente quello del Secondo trattato sul governo (1690), il testo fondante del liberalismo moderno. Ed è via Locke che Pagano si accosta alla variegata pubblicistica di area angloamericana che tra il 1750 e il 1770 accompagna la tensione crescente fra il Parlamento britannico e le colonie inglesi dell'America Settentrionale, cioè il primo confronto reale tra un governo "eletto" e una parte dei propri cittadini circa le questioni oltremodo delicate dell'esercizio della potestà legislativa (quella fiscale in modo specifico), dell'estensione e dei limiti della "delega" intesa come atto fondante di un sistema fondato sull'istituto del contratto, della natura e delle attribuzioni della "rappresentanza" politica scelta mediante un procedimento elettorale. Pagano aveva familiarità con questo complesso di atti, documenti, proposte e riflessioni politiche, così come era informato circa il dibattito che aveva portato nel 1787 all'elaborazione della Costituzione degli Stati Uniti d'America; aveva presenti, inoltre, le più significative reazioni europee al lavoro svolto dalla Convenzione di Filadelfia e dalla sessione del Congresso che nel 1791 si concluderà a New York con l'adozione del Bill of Rights, la carta dei diritti intangibili del cittadino. Egli, infatti, collaborava alla Scelta Miscellanea sulla quale era uscita (1784) un'ampia e dettagliata relazione sulla Costituzione adottata in America, e conosceva certamente le Observations sur le gouvernement et les lois des États-Unis d'Amérique (1784) del Mably, senza contare la frequentazione con Gaetano Filangieri. Con quest'utimo, Benjamin Franklin intreccia una fitta corrispondenza sia durante il periodo trascorso a Parigi quale primo ambasciatore degli Stati Uniti, sia dopo il rientro in patria; e il tema preferito dello scambio era quello del governo, dell'ordinamento democratico dello Stato, della giustizia e della forma repubblicana dello Stato, nonché le soluzioni che in tutti questi ambiti erano state adottate dai Padri Fondatori della Repubblica americana. La vicinanza di Pagano a Filangieri si configura pertanto come una vera e propria osmosi che amplia gli orizzonti del primo e lo mette a contatto con le elaborazioni più a avanzate di filosofia politica. Il riferimento, pertanto, che abbiamo già menzionato, alle "Costituzioni de' liberi Stati" americani, posto proprio in incipit al messaggio con cui il Comitato di Legislazione sottopone ai cittadini rappresentanti il testo della Costituzione, rappresenta un'indicazione preziosa circa le fonti a cui Pagano e gli altri componenti hanno attinto nel predisporre lo strumento fondamentale da cui si origina lo Stato medesimo. E sebbene immediatamente dopo venga l'obbligato rinvio alla Francia, la "Madre Repubblica" che "ha data fuori altresì una delle migliori Costituzioni, che siansi prodotte sinora", ad esso si accompagna l'esplicito riconoscimento dell'esistenza di "diversità del carattere morale", nelle "politiche circostanze", e perfino nella "fisica situazione delle nazioni", che impongono l'adozione di "cangiamenti" e "modificazioni". L'elemento più cospicuo in tal senso, è costituito dalle tesi concernenti la "dichiarazione de' dritti dell'Uomo" per la quale è stata scelta una prospettiva assolutamente divergente rispetto alla Costituzione francese dell'anno III, prospettiva che qui sarà il caso di citare in extenso, trattandosi di una formulazione ragionata e consequenziale:
Ma ci siamo pur avvisati, che l'uguaglianza non sia già un dritto dell'Uomo, secondo l'anzidetta dichiarazione, ma la base soltanto de' dritti tutti, ed il principio, sul quale vengono stabiliti, e fondati. L'uguaglianza è un rapporto, e i dritti sono facoltà. Sono le facoltà di oprare, che la Legge di natura, cioè l'invariabile ragione, e conoscenza de' naturali rapporti, ovvero la positiva Legge sociale accorda a ciascuno. Da tal rapporto d'uguaglianza di natura, che avvi tra gli Uomini, deriva l'esistenza, e l'uguaglianza de' dritti: essendo gli Uomini simili, e però uguali tra loro, hanno le medesime facoltà fisiche, e morali: e l'uno ha tanta ragione di valersi delle sue naturali forze, quanto l'altro suo simile. Donde siegue, che le naturali facoltà indefinite per natura, debbano essere prefinite per ragione, dovendosi ciascuno di quelle valere per modo, che gli altri possano ben anche adoprar le loro. E da ciò siegue eziandio, che i dritti sono uguali; poiché negli esseri uguali, uguali debbono essere le facoltà di oprare. Ecco adunque come dalla somiglianza, ed eguaglianza della natura scaturiscono i dritti tutti dell'Uomo, e l'uguaglianza di tai dritti. Abbiamo derivati tutti i dritti dell'Uomo dall'unico, e fondamentale dritto della propria conservazione. La libertà, la facoltà di opinare, di servirsi delle sue forze fisiche, di estrinsecare i suoi pensieri, la resistenza all'oppressione sono modificazioni tutte del primitivo dritto dell'Uomo di conservarsi quale la natura l'ha fatto, e di migliorarsi come la medesima lo sprona. Al di là del periodare induttivo, rispondente alla forma mentis filosofico-analitica del Pagano, non si può non registrare in questo punto il netto distacco dalle elaborazioni più radicali maturate nel dibattito costituzionale della Francia post-rivoluzionaria, e il contestuale avvicinarsi a forme moderate ed equilibrate di costituzionalismo. Il principio d'uguaglianza, che nel testo francese era introdotto quale "diritto", alla stessa stregua della libertà, della sicurezza e della proprietà, viene qui estrapolato e trasformato nella base di tutti i diritti, in un parallelismo davvero significativo con la formula adottata da Thomas Jefferson in sede di redazione del preambolo alla Dichiarazione di'Indipendenza americana del 1776: "Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità". L'analogia con le impostazioni jeffersoniane diviene ancor più netta se si considera un'altra delle "novità" del testo paganiano, vale a dire quanto disposto dagli artt. 13-16, nei quali i "Dritti del popolo", non previsti in alcuno dei testi francesi, si configurano nella possibilità "di stabilirsi una libera Costituzione, cioè di prescriversi le regole, colle quali vuol vivere in corpo politico" (art. 13), ovvero nel "dritto di potersi cangiare, quando lo stimi a proposito, la forma del Governo, purché si dia una libera Costituzione" (art. 14). Si tratta dello stesso diritto che Jefferson esplicitava nel preambolo prima menzionato come prerogativa dei cittadini che riscontrassero la degenerazione dispotica del governo istituito nella comunità per la garanzia e la difesa degli "inalieabili diritti" di cui l'uomo per natura è dotato, prerogativa cioè di sostituire quel governo con un altro, al limite anche di rovesciarlo con la forza per difendere la vita e la libertà. Alle interazioni con la cultura politica anglosassone sembrano rinviare in modo più o meno diretto almeno altri due punti significativi del testo costituzionale elaborato da Pagano. Il primo, è l'insistenza costante in ambito giurisdizionale sul sistema del "giury" (Titolo VIII, artt. 234 e sgg.), cioè la previsione di un organo collettivo che procede sia in fase di raccolta delle prove e formulazione dell'accusa sia in fase di giudizio, con garanzie esplicite previste per l'imputato e previsione del voto segreto in sede deliberativa per i singoli componenti di tale organo. La tradizione del "trial by jury" costituisce, come sappiamo, un tratto distintivo della giurisprudenza anglosassone fin dalla Magna Carta (1215) e fu recepita dai costituenti americani nelle previsioni degli artt. 5, 6 e 7 del Bill of Rights. L'altro elemento di assoluto rilievo per formulazione e originalità è costituito dallo sforzo di porre in essere strumenti giuridici efficaci per contrastare ogni forma di usurpazione dell'autorità e i rischi di conflitti fra i tre poteri fondamentali (legislativo, esecutivo e giudiziario) che potrebbero minare l'efficacia e l'equanimità dell'azione dello Stato. Si tratta della previsione di uno speciale organo denominato "Corpo degli Efori" o "Eforato" (Titolo XIII, "Custodia della Costituzione"), che lo stesso Vincenzo Cuoco non esitò a definire come "la parte più bella del Progetto del Pagano". Tale istituto, il cui nome rievoca quello di una magistratura dell'antica Sparta, è formato da 17 componenti (uno per ogni Dipartimento della Repubblica) eletti dalle Assemblee elettorali. Le sue prerogative sono elencate in dettaglio dall'art. 386 del Progetto ed essenzialmente si riassumono nel compito di accertare l'osservanza piena della Costituzione e se i singoli poteri si siano mantenuti entro i limiti costituzionali previsti, pena il richiamo da parte dell'Eforato e la cassazione ed annullamento di tutti gli atti assunti in violazione dei limiti medesimi. L'Eforato, inoltre, ha il potere di proporre al Senato la revisione di articoli della Costituzione ritenuti poco "convenienti" e di suggerire al Corpo legislativo l'abrogazione di leggi ritenute contrarie ai principi della Costituzione. In breve, siamo di fronte ai due compiti fondamentali ad esso affidati in esclusiva: la revisione della Costituzione su un versante e il controllo costituzionale delle leggi attraverso l'indagine sulla costituzionalità delle stesse e la risoluzione dei conflitti di attribuzione. Come ben si sa, al momento della stesura del Progetto del Pagano, il problema del sindacato di costituzionalità delle leggi era stato risolto solo negli Stati Uniti, con la creazione della Corte Suprema (Articolo III della Costituzione del 1787) e le successive esplicitazioni in merito contenute negli articoli del Federalist usciti fra il 1787 e il 1788, durante il processo di ratifica della Costituzione stessa. Saranno queste le basi su cui la Corte presieduta da John Marshall costruirà la dottrina del "judicial review" ponendo le premesse per quella posizione di assoluta centralità che oggi la Corte medesima occupa nel sistema di "checks and balances" su cui si regge la struttura istituzionale della più antica Repubblica esistente al mondo. Proposte similari a quella del Pagano erano state elaborate in Francia dal Rouzet nel 1793 (prevedeva un organo di ben 85 componenti a cui era demandato il controllo costituzionale preventivo delle leggi) e due anni dopo dall'Abate Sieyès, il quale proponeva la creazione di un "jury constitutionnaire" denominato altrove anche "tribunal des droits de l'homme". Nessuno di questi progetti venne approvato e ciò, al di là dei possibili influssi, rende ancor più pregnante il contributo dato in quest'ambito dal giurista di Brienza. Quanto fin qui detto conferma l'essenziale "progettualità" che caratterizza il pensiero di Francesco Mario Pagano. Nelle formule della codificazione costituzionale circola un'elaborazione che è comune al grande circuito europeo e non solo, vista la presenza di influssi forti provenienti d'oltre Atlantico, della migliore elaborazione filosofica e politica illuminista. Gli ideali di libertà, la spinta al riscatto dell'umanità oppressa dal dispotismo, si traducono sì nell'azione (che poi avrà nel caso di Pagano l'esito tragico che ben conosciamo) ma soprattutto impongono un'analisi del passato e del presente in funzione della progettazione del futuro. É questo il piano su cui l'etica e la politica si saldano in un fervore di proposte e slanci talora utopici che rendono comunque straordinaria la temperie illuminista. Pagano ce ne offre l'ennesima conferma nel Titolo X della Costituzione, che nel sottotitolo "Della educazione, ed istruzione pubblica", riassume l'originalità e innovatività della sua prospettiva. Oltre a distinguere fra "educazione" e "istruzione" (formativa la prima e strumentale la seconda) egli identifica nella diffusione e celebrazione dei valori repubblicani di libertà il vero collante delle diverse articolazioni del corpo sociale e ad essi lega l'intero processo di costruzione della personalità dell'uomo e del cittadino. É una posizione che si lascia dietro perfino molte delle coeve sistematizzazioni francesi e assomiglia assai da vicino al notissimo "Bill for the More General Diffusion of Knowledge" che Thomas Jefferson nel 1779 sottopone all'assemblea legislativa della Virginia, e che (come Pagano farà con la Costituzione) tenta di tradurre in modelli operativi un'elaborazione intellettuale che molto deve alla metodologia del confronto e del perfezionamento interni alle logge e ai club massonici con cui entrambi avevano sicura e documentata frequentazione. E proprio in ragione di quest'ultimo comune elemento, mi piace chiudere con una citazione quanto mai significativa dalla prefazione che apre il volume dei Saggi Politici, l'opera fondante del pensiero paganiano. Il tema è la Massoneria e il suo potenziale innovativo. Sono parole che invito a rileggere con molta attenzione: Ma per gloria ed onore dell'umanità nelle private mura, nel placido silenzio delle tranquille notti esiste pure sulla superficie della terra una picciola società, nella quale sono venuti ad effetto gl'inutili desiderj de' filosofi, nella quale un Alessandro è uguale ad un Diogene; ove si rispetta l'uomo per le qualità dell'uomo; ove l'oro, il fasto e le superbe insegne separate dalla virtù son oggetto di disprezzo; la quale dalle porte del suo sacro tempio respinge un Nerone perché matricida, che premendo il soglio e dando la legge alla terra non può esser individuo di una picciola, ma illustre società; la quale riceve solo i Trajani e gli Antonini, che tra lo splendor del trono e delle regie fasce riconoscono e rispettano l'uomo; una società finalmente che tiene un tempio ed un'ara, su cui la virtù e l'amicizia, e i sacri inviolabili dritti degli uomini son adorati; che lungi di esser nemica della religione e dello stato, come l'empia calunnia fé credere un tempo, è rispettosa della religione, amante de' suoi sovrani, e tranquilla e placida illumina gli uomini su i doveri di uomo e di cittadino. Solo in questa società la favolosa aurea età di Saturno può aver luogo. Basta aggiornare anche di poco le formule settecentesche alla stringatezza e sinteticità della lingua a noi contemporanea per ottenere una definizione icastica della Libera Muratorìa quale laboratorio dell'uomo e per l'uomo. |