La ben nota tesi del complotto massonico è frequentemente servita anche per la Comune di Parigi. La III.a repubblica si poté dire fondata dai Massoni. Nel governo di Difesa Nazionale istituito il 2 settembre 1870, se ne trovano infatti - su dodici membri - dieci che, se non proprio tutti Massoni allora, lo diverranno poi: Adolphe Crémieux, Picard, Favre, Gambetta, Simon, Emmanuel Arago, Ferry, Garnier-Pagès, Glair-Bizouin, Pelletan. Il primo segno di presenza massonica di fronte alla insurrezione parigina della primavera seguente è un appello alla pacificazione redatto l'8 aprile da due membri del Consiglio dell'Ordine, i FF. Montanier e Recourt e sottoscritto dai venerabili di dodici logge. Una assemblea generale massonica svoltasi a Bordeaux il 12 aprile chiede la fine della guerra civile. Tre giorni prima, la L. Les Disciples du Progrès aveva promosso una riunione cui fu rappresentatala maggior parte delle logge parigine. Fu approvato un manifesto che ingiungeva alle due fazioni di cessare le ostilità «in nome dell'umanità, in nome della fraternità, in nome della Patria desolata». Esso fu mandato sia al governo di Versailles che alla Comune di Parigi, oltreché a tutte le Logge del G.O., alle quali si chiese una risposta.
In un manoscritto della Bibliothèque Nationale intitolato Le Francs-Maçons et la Commune de Paris, 1871, sono contenute 76 risposte, tutte positive. Pochissime, manifestano la loro ostilità al governo di Versailles. Dal quale governo il 22 aprile si recò una delegazione di Massoni parigini, latrice di «paroles d'apaisement et de conciliation». Thiers oppose un «fin de non recevoir» che diede buon gioco a coloro che preferivano appoggiare la Comune. Intanto che questi procedono alla loro propaganda presso i Fratelli, la Massoneria ottiene da Thiers la tregua di nove ore del 25 aprile, per lo sgombero della popolazione civile da Neuilly, Ternes, Levallois e Clichy. Manifesti massonici ufficiali sconfessano intanto le iniziative particolari. La successiva manifestazione pacifista - decisa il 26 aprile da una riunione allo Chatelet - doveva presentare una tinta ormai nettamente virata al rosso. Alle nove del mattino del 29 aprile una deputazione di membri della Comune usciva con la banda in testa dall'Hotel de Ville e si dirigeva verso il Louvre incontro ad una manifestazione di Massoni filo-comunardi. Alle undici, la deputazione era di ritorno ed entrava all'Hotel de Ville insieme agli ospiti. Il Fr. Félíx Pyat, membro della Comune ma che uno storiografo di sua parte, il Lissagaray, chiamerà «il cattivo genio della Comune», pronunciò questo discorso:
Fratelli, cittadini della grande patria, della patria universale, fedele ai nostri principi comuni: Libertà, Eguaglianza, Fratellanza, e più coerenti della Lega dei Diritti di Parigi, voi, Massoni, fate seguire le vostre azioni alle vostre parole. Oggi le parole sono poco, gli atti sono tutto. Così, dopo avere affisso il vostro manifesto, il manifesto del cuore, sui muri di Parigi, andate ora a piantare la vostra bandiera di umanità sui baluardi della nostra città assediata e bombardata. Voi protesterete così contro le palle omicide e i proiettili fratricidi, in nome dei diritto e della pace universale.
Lasciatosi interrompere a tempo debito dai «Bravo» e dai «Viva la Comune», l'oratore riprese:
Agli uomini di Versailles voi state per tendere una mano disarmata - disarmata ma per un momento - e noi, i mandatari del popolo e i difensori dei suoi diritti: noi, gli eletti del voto, vogliamo tutti unirci a voi, gli eletti della prova, in questo atto fraterno.
Quando gli applausi si placano, il Fr. Beslay - membro della Comune anche lui - risponde:
Cittadini, io mi sono associato come voi, alle parole che avete inteso, a queste parole fraterne che raccolgono qui tutti i Liberi Muratori [ ... ] . Che vi dirò, cittadini, dopo le parole così eloquenti di Félix Pyat? Voi state per compiere un grande atto di fraternità ponendo la vostra bandiera sui baluardi della nostra città e mescolando- nelle nostre fila contro i nemici di Versailles. Cittadini, fratelli, permettetemi di dare ad uno di voi l'abbraccio fraterno! ...
Ma a questo punto il cittadino Léo Meillet, massone anche lui, crede di avere un'idea migliore: alle bandiere massoniche, le quali dovrebbero indurre i combattenti di Versailles a fraternizzare con quelli di Parigi, vuole aggiungerne una rossa:
Questa bandiera deve accompagnare le vostre bandiere pacifiche: è la bandiera della pace universale, la bandiera dei nostri diritti federativi, davanti alla quale dobbiamo raggrupparci tutti al fine di evitare che in futuro una mano, per potente che sia, non ci getti gli uni sugli altri per altro scopo che abbracciarci (Applausi prolungati). É la bandiera della Comune di Parigi che la Comune affida ai Liberi Muratori. Essa sarà posta davanti alle vostre bandiere, queste bandiere della Massoneria, che esse tornino lacerate o intatte, la bandiera della Comune non avrà ceduto. Le avrà accompagnate in mezzo al fuoco, questa sarà la prova della loro unione inseparabile.
(Ancora applausi). A questo punto il cittadino Térifocq - venerabile di una Loggia - prende la bandiera rossa e dice all'Assemblea:
Cittadini, Fratelli, io sono di quelli che hanno preso la iniziativa di andare a piantare lo stendardo della pace sui nostri baluardi ed ho la gioia di vedere alla loro testa la bandiera bianca della Loggia di Vincennes, sulla quale abbiamo scritte le parole: Amiamoci gli uni gli altri!
Noi presenteremo per prima questa bandiera davanti ai ranghi nemici, tenderemo loro la mano poiché Versailles non ha voluto ascoltarci! Sì, Cittadini, Fratelli, ci rivolgeremo a questi soldati e diremo loro: 'Soldati della stessa patria, venite a fraternizzare con noi: noi non avremo più palle per voi sebbene voi ci abbiate mandato le vostre. Venite ad abbracciarci e che la pace sia fatta'. E se questa pace si compie, rientreremo in Parigi convinti che avremo riportato la più bella vittoria, quella dell'umanità! Se al contrario noi non siamo capiti e si spara su di noi, chiameremo in nostro aiuto tutte le vendette: siamo certi che saremo ascoltati e che la Massoneria di tutte le province di Francia seguirà il nostro esempio: noi siamo sicuri che, su ogni punto del paese in cui i nostri Fratelli vedranno le truppe dirigersi su Parigi, essi andranno davanti ad esse per impegnarle a fraternizzare. Se noi falliremo nel nostro tentativo di pace e se Versailles ordinerà di non sparare su di noi (? ) per non uccidere i nostri Fratelli sui baluardi, allora noi ci mescoleremo ad essi, noi che non avevamo, finora, aderito alla guardia nazionale che per il servizio d'ordine, anche quelli che non ne facevano parte come quelli che già erano nei ranghi della guardia nazionale, e tutti insieme ci uniremo alle compagnie di guerra per prendere parte alla battaglia ed incoraggiare col nostro esempio i coraggiosi e gloriosi soldati difensori della nostra città. Fra gli applausi, il cittadino Térifocq agita la bandiera della Comune e grida: «Ora, basta parole. All'azione!».
Quei Massoni, insieme ai Comunardi presenti, si misero in marcia per rue de Rivoli quindi per i grandi boulevards dalla Bastiglia all'Arco di Trionfo. Il manoscritto dice che fu dato l'ordine di cessare il fuoco e che i quattordicimila [o 10-11 mila come risulta dal manifesto ad esso allegato o 6 mila come afferma J. A. F.] Massoni chiesero di poter issare sui bastioni le loro bandiere. Intanto gli obici di Versailles continuavano a far piovere proiettili [Lissagaray scriverà che Thiers «fece sparare sui Massoni» quando disarmati, piantarono le loro bandiere sui bastioni], accolti con grida di Vive la Commune! Vive la République universelle! Una delegazione costituita da«tutti i Venerabili» si avanza per l'avenue de la Grande-Armée e pianta le bandiere sui bastioni «aux postes les plus dangereux». Alla fine, il fuoco cessa anche dalla parte di Versailles. Si parlamenta e tre delegati della Massoneria vanno a Versailles. Ma Thiers li riceve di malagrazia e dichiara che non riceverà più delegazioni, che gli fanno perdere troppo tempo. E la nuova tregua durerà solo ventisette ore e tre quarti. È a questo punto che una «assemblée générale des maçons parisiens» decide di mobilitarsi in favore della Comune. Anzi, quegli iconoclasti non si peritano di evocare le «Corporazioni» e riscoprono il Compagnonaggio, così una «Fédération de Francs-Maçons et Compagnon de Paris» redige e diffonde un lunghissimo manifesto che allinea i Massoni, e i Compagnoni di «tutte le Corporazioni», con la Comune di Parigi.
Il 9 maggio viene proposta la creazione di un battaglione reclutato esclusivamente nelle logge parigine mentre sul verbale del Consiglio dell'Ordine del 13 maggio si trova ancora segno della precisa volontà dei responsabili a «non volersi associare per nulla a degli atti che potrebbero impegnare l'onore e la responsabilità del grande Oriente di Francia, nelle attuali circostanze». A Comune battuta, il 19 giugno viene data la notizia ai membri del Consiglio dell'Ordine che due circolari furono diramate alle Officine, in data 29 aprile e 29 maggio per svincolare il G.O. da ogni partecipazione e da ogni adesione a manifestazioni sedicenti massoniche «que nos lois désapprouvent et que nos principes reprouvent».
Il 27 maggio (la guerra è dentro la città perché da domenica 21, durante un grande concerto popolare al giardino delle Tuileries, i versagliesi sono entrati in Parigi dalla porta di Saint Cloud rimasta negligentemente incustodita) alla porta di Romainville due Massoni, rivestiti delle loro insegne, apparvero con uno straccio bianco oltre le fortificazioni, per parlamentare con le autorità prussiane e chiedere quale accoglienza sarebbe stata fatta ai fuggitivi. Mentre infuria la lotta nelle barricate, l'arcivescovo di Parigi è fatto fucilare dai Comunardi, insieme ad altri cinque ostaggi. Neppure al passaggio delle truppe garibaldine il clero era uscito, in Italia, completamente indenne. E non sorprende che la Comune di Parigi abbia ucciso altri venti chierici fra regolari e secolari, compreso un vescovo: Surat. Ma mons. Darboy, che aveva ricevuto e benedetto in Notre Dame le spoglie del maresciallo Magnan, decorate con le insegne di Gran Maestro del Grande Oriente di Francia, era l'uomo più detestato dalla Curia romana, poiché durante il Concilio Vaticano aveva guidato la resistenza al cesarismo papale e si era pronunciato contro l'infallibilità. Per risolvere senza sangue la guerra civile si era anche lui, come i Massoni, rivolto a Thiers senza ottenere nulla. Uccidere lui fu cieca bestialità, poco meno che uccidere un Don Verità cui non fosse riuscito il salvamento di Garibaldi. Ma il sangue corse a fiumi e la repressione fu pressoché altrettanto cieca.
Vediamo ora quale fu la sorte dei Massoni membri della Comune. Gaston Cremieux fu fucilato a Marsiglia e Meyer a Parigi. Assi, Grousset, Jourde, Lullier e Parent furono deportati. Assi era accusato di essere agente di Carlo Marx ma anche di Bismark. Il padre di Grousset fu imprigionato. Lui stesso, arrestato nei primi giorni di giugno, fu salvato dal linciaggio dal generale Pradler. Malon, che aveva valorosamente tenuto e poi dovuto cedere il municipio di Batignolles, si rifugiò a Ginevra, insieme a Macé e Protot. Il suo corpo riposa, sotto le insegne massoniche, al Père Lachaise di fronte al Muro dei Federati. I giornali avevano dato per fucilato anche Lefrançais, con molti particolari sulla esecuzione. Invece egli riuscì a riparare all'estero. Eliseo Reclus, l'insigne geografo, si era arruolato nelle compagnie di fanteria della Comune. Fatto prigioniero il 4 aprile ed avviato a Versailles vi fu dapprima percosso ma poi, riconosciuto, fu trattato con riguardo e avviato coi suoi compagni a Brest poiché aveva rifiutata la libertà, offertagli in cambio di un semplice atto di rincrescimento. Sarebbe successivamente vissuto in esilio. Il figlio di Ranvier, un bambino di dieci anni, fu torturato perché svelasse il rifugio di suo padre ma egli resistette nel suo rifiuto. Anche di Vallès la stampa annunciò la fucilazione ma egli riuscì a fuggire a Londra dove rimase fino al 1883. Lucipia, poi presidente del consiglio municipale di Parigi e del consiglio generale della Senna, sarebbe diventato Gran Maestro del Grande Oriente di Francia. Beslay, che la Comune aveva delegato alla Banca di Francia, si rifugiò in Svizzera dove scrisse opere sulla Comune stessa. Quanto a Pyat, rifugiato all'estero dopo la settimana «sanglante», tornò in Francia con l'amnistia del 1880 e vi fondò un giornale estremista che si chiamava, appunto, La Commune. Tornò alla Camera nel 1888, a quarant'anni della sua elezione alla Costituente del '48. Camélinat invece, che nella Comune era stato direttore della Monnaie, non aveva nessuna parentela con Rabagas ma era un autentico figlio del popolo. Di lui i Comunardi non scrissero, come di Pyat che non seppe far proprio né il coraggio né il disprezzo della morte degli eroi del '93 che egli aveva retoricamente paragonato ai rivoltosi del 71. E, d'altra parte, lo stesso governo di Versailles dovette riconoscere che Camélinat aveva svolto le sue funzioni con perfetta onestà. Si rifugiò a Londra dove riprese il suo mestiere di bronzista. Era destinato a sopravvivere a tutti i Comunardi, fino al 1932, alla bella età di 92 anni. Quanto al Fr. Térifocq, che senza essere membro della Comune aveva - come Maestro Venerabile di una loggia parigina - promosso l'appoggio della Massoneria alla Comune, egli si rifugiò in Belgio. Vi apprese che il Consiglio dell'Ordine del G.O. lo aveva deferito alla giustizia massonica per aver compromesso la Massoneria senza averne i poteri. Si difese per iscritto.
Il Gran Maestro Babaud-Laribière scrisse a tutte le Officine che la Massoneria era rimasta perfettamente estranea alla «criminale sedizione che ha spaventato l'universo coprendo Parigi di sangue e di rovine» e che «se qualche uomo indegno del nome di massone ha potuto tentare di trasformare la nostra bandiera pacifica in vessillo di guerra civile, il Grande Oriente li ripudia come aventi mancato ai loro doveri più sacri».
La condanna del Fr. Térifocq, a cento anni di distanza, è stata contraddetta da una «assoluzione» pronunciata dalla loggia «scozzese» La Nouvelle Jerusalem, che sull'onda della moda ha voluto rivedere anche il processo Térifocq. E lo stesso G.M. Barbaud-Laribière è stato smentito dai suoi successori, Zeller e Jacques Mitterand, che hanno celebrato solennemente il centenario della Comune. Non risulta invece che essi si siano ancora pronunciati sul Fr. Louis Blanc, per il quale «l'insurrezione della Comune andava condannata da ogni vero repubblicano», né sul Fr. Martin Bernard che disse che «se Barbès vivesse ancora, condannerebbe anch'egli questa fatale insurrezione», né sul Fr. Gambetta che dichiarò che un governo che aveva potuto schiacciare Parigi aveva con ciò stesso dimostrato la propria legittimità, né infine sul Fr. Jules Favre che ai rappresentanti della Francia negli altri Paesi telegrafò quanto segue:
L'opera abominevole dei federati che soccombono sotto l'eroico sforzo del nostro esercito non può essere confusa con un atto politico. Essa è costituita da una serie di delitti, previsti e puniti dalle leggi di tutti i popoli civili. L'assassinio, il furto, l'incendio, ordinati sistematicamente, preparati con abilità infernale, non devono permettere ai loro autori altro rifugio che quello dell'espiazione legale. «Nessun paese può concedere loro l'immunità; sul suolo di tutti la loro presenza sarebbe un'onta e un pericolo. Se dunque voi venite a sapere che un individuo compromesso nell'attentato di Parigi ha passato la frontiera del Paese presso il quale voi siete accreditato, vi invito a sollecitare il suo arresto immediato dalle autorità locali e a darmene subito avviso, affinché io possa regolarizzare questa situazione con una domanda di estradizione. Firmato: Jules Favre
E neppure Favre, che qualche anno prima aveva osato pronunciare l'arringa di difesa del terrorista italiano Felice Orsini, attentatore di Napoleone III, rischia di passare per reazionario. Insomma, una larga fascia del radicalismo francese avversò la Comune, che durante i suoi due mesi di regno aveva trovato il tempo di provvedere all'abbattimento della colonna Vendôme (1). Sarà la fascia che bloccherà la strada alla restaurazione monarchica e che preserverà la III.a repubblica per una settantina d'anni Morta anche la III.a repubblica, ora diventa un giuoco innocuo rispolverare perfino i cocci del legittimismo di estrema sinistra... Non occorre una indagine più profonda per rilevare che il Fr. Pyat ha avuto degli eredi (2).
1 - Sotto la direzione del grande pittore Courbet, che per la sua tutt'altro che necessaria collaborazione con la Comune avrebbe ricavato sei mesi di prigione e l'esilio in Svizzera per il resto dei suoi giorni sebbene - due anni dopo quel maggio fatale - colonna e statua fossero nuovamente innalzate a sue spese. 2 - I Massoni Italiani invece, in merito alla «miseranda lotta fra il governo di Versailles e la Comune» quale la definiva allora il Fratello Ulisse Bacci, non hanno mutato parere e non hanno niente da correggere. Nel numero del 2 giugno 1871 la "Rivista Massonica" esponeva i fatti di Francia e affermava che «La Massoneria francese, poco favorevole alle aspirazioni monarchiche della maggioranza dell'Assemblea Versagliese, opposta in generale alla violenza, non potendo però approvare la improntitudine del sollevamento se ne stette sorpresa ed in riserbo: sperava che lo scorrere dei giorni condurrebbe i combattenti a più miti consigli. E fu illusione. Verso la fine del mese di aprile, il Grande Oriente [di Francia], rappresentato a Parigi dall'Illustre Fratello De Saint Jean, tentava di condurre la Massoneria a farsi mediatrice alta e benefica fra i partiti. Era saggio consiglio questo, ma non poteva essere accettato agli uomini dirigenti, che da ambo i lati si tenevano certi del trionfo e volevano la lotta ad oltranza. Parigi del resto, sia pei patimenti sofferti da tanti mesi, sia per le provocazioni continue e poco savie del governo di Versailles, si trovava in uno stato tale di febbrile eccitamento, da oscurare l'intelletto anche degli uomini più calmi. Non fu quindi difficile ai novatori di persuadere gran parte dei membri delle Logge, nel perimetro dell'insurrezione, che il Grande Oriente non era all'altezza dei tempi e fu bandito un convegno nella corte del Louvre, per l'invio di una deputazione a Versailles ad appoggiar la Comune. Cinquantanove bandiere di Logge convenivano al Louvre, nella Piazza del Carousel, nell'umida mattinata del 29 aprile ed erano seguite da circa tremila Fratelli ed acclamate da oltre cinquantamila persone. Decidevasi di aderire alla Comune, di piantare le bandiere sulle mura, di marciare agli avamposti e di domandare al governo nazionale [di Versailles!] la cessazione degli attacchi. Un sentimento giovanile trascinava quella folla. La ragione taceva. Chi si trovava presente e meglio conosceva lo stato delle cose e prevedeva la fine fatale, ne fu commosso fino alle lacrime e si tenne coperto: che rimedio umano non v'era! Nel pomeriggio il Fratello De Saint Jean, riunito il Consiglio dell'Ordine, redigeva una dichiarazione da stamparsi, a discarico di ogni responsabilità dell'associazione pel fatto individuale dei dimostranti. Il nostro Fratello Frapolli [G.M. del G.O. d'Italia, dimessosi il 7 settembre 1870 per correre in soccorso della Francia] ebbe ad ammirare il coraggio di quei Dignitari [ossia per quel che potevano temere ... dalla Comune allora padrona di Parigi!]: partendo da Versailles pochi giorni dopo per recarsi in Italia [per prendere parte alla Costituzione Massonica del 29 maggio 1871 a Firenze], egli scriveva al De Saint Jean la lettera seguente: Ill. et très cher Frère, Je parts demain pour l'Italie. Je vais assister à une Assemblée générale Maçonique, qui aura à accepter définitivement ma démission de la Grande Maîtrise. J'espère que mon successeur ne changera point la ligne de conduite de notre Famille maçonique, la quelle restera j'y compte, devouée au progrès neutre entre les partis, tolérant avec toutes les opinions non malfaisantes. Ce sont là les sentiments que vous avez toujours fait prévaloir au Grand Orient de France; c'est en s'y conformant strictement que la Maçonnerie conservera l'estime universelle et étendra sa puissance. «Vous m'avez vu l'autre jour bien d'accord avec vous sur ces principes, mais tremblant pour les suites personnelles qui pouvaient résulter pour vous mème, d'une action trop vive. J'espère qu'à cette heure la majorité de nos Frères aura compris les véritables intérêts de l'Ordre, qui ne peuvent être disjoints de ceux de l'humanité: de s'engager, comme Corporation dans aucun parti; prêcher la paix, la concorde. Ce sont à vos sentiments et ceux de vos amis; c'est ce qui me fait vous affectionner et vous honorer. - Comme individu j'ai du me convaincre de l'impuissance de mes efforts dans le but de conciliation que je m'étais proposé; je quitte donc le terrain, et je souhaite que d'autres plus hereux et plus compétents (les hommes de la Ligue des droits de Paris, ou les Députés de la Seine, par ex.) puissent réussir à terminer, autrement que par la violence, la lutte effrayante à la quelle nous assistons. Je n'ai pu trouver le Frère Fauvety; il a changé d'adresse, et on ne sait oú il est. Amitiés sincères au Frère Thévénot, et à vous l'expression de mes sentiments les plus chaudes et les plus dévoués |
BIBLIOGRAFIA SPECIALE 1. Historia. Hors Serie 30. 1973. 2. P. O. Lissagaray. Les huit journées de mai derrière les barricades. 1871. 3. Humanisme. N. 101 - Mai-Juin 1974. 4. Bulletin du Centre de Documentation du Grand Orient de France. 46-47. 1964. 5. Alfredo Comandini e Antonio Monti. L'Italia nei cento anni del secolo XIX. 1871-1900. 1930. 1942. 6. Ch. Ledré. La Franc-Maçonnerie, pp. 81-82, secondo il journal Officiel des Fédérés. 7. X. Yacono. Un siècle de Franc-Maçonnerie Algérienne (1785-1884). 1969.
Il documento è opera d'ingegno del Carissimo Fratello Giordano Gamberini, ed è stato pubblicato su "Rivista Massonica" n.2 Febbraio 1975 Vol. LXVI - X° della nuova serie. Ogni diritto è riconosciuto. La circolazione in rete è subordinata alla citazione della Fonte (completa di Link) e dell'Autore. . © Giordano Gamberini
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