Il documento che pubblichiamo e mettiamo a disposizione dei nostri Ospiti per la consultazione e lo studio, è la traduzione dal francese di un documento del noto ermetista Pierre Quilard e presentato a Parigi nel 1893 dalla Casa Editrice "Libraire de l'Art Indépendent". Il documento fu pubblicato in Italia il 30 gennaio del 1910 ad opera di G. Catinella nella prestigiosa rivista "Commentarium" di Giuliano Kremmerz.

 

 

Ciò che Omero ha voluto far intendere oscuramente con l'antro d'Ithakè, ch'egli descrive nei seguenti versi:

 

All'estremità del porto cresce un olivo dalla larga chioma.

Ivi d'appresso s'apre l'antro amabile e tenebroso,

Consacrato alle Ninfe che Naïadi s'appellan.

Nell'interno sonvi vasi ed anfore

Di pietra, ove le api costruiscono i loro favi;

Sonvi ancora grandi telai di pietra, sui quali le ninfe

Tessono le stoffe, tinte di porpora, meravigliose a vedere;

Ivi ancora scorrono le sorgenti inesauribili; e sonvi due entrate:

L'una verso Boreàs, permette la discesa a gli uomini;

Ma l'altra, verso Notos, è per gli dei, e giammai da essa

Vi entrano gli uomini; ma è il sentiero degli immortali.

 

Non é nella sua realtà che il poeta ha preso ciò che ci racconta; ed in effetti, nessuno fra coloro che hanno descritta l'isola in tutti i suoi dettagli fa menzione di un tale antro, come giustamente rileva Kronios. Sarebbe assurdo che un uomo inventando poeticamente un antro immaginario abbia sperato di far credere ad un racconto finto per caso e per capriccio, allorché tracciava anche immaginari sentieri da servire per gli uomini e per gli dei, nel paese d'Ithaké, o quand'anche a dispetto d'un uomo, la natura avesse stabilito in quel luogo una via per la discesa di tutti gli uomini e per l'ascenso degli dei. Poiché l'intero mondo pullula d'uomini e di dei, e nessuno al mondo può persuaderci che solo nell'antro d'Ithaké gli uomini discendono e gli dei montano.

Ciò premesso, giustamente Kronios dice che é ben evidente, tanto per i saggi quanto per la folla, che in questi versi il poeta si esprime in linguaggio allegorico e figurato che ci spinge a cercare per curiosità qual'é la porta riservata a gli uomini e quale quella per gli dei, e cosa significa quest'antro delle Ninfe con la duplice entrata, quest'antro ad un tempo amabile e tenebroso, per quanto le tenebre non siano affatto amabili, ma piuttosto terrificanti. Perché inoltre, esso non é semplicemente dedicato alle Ninfe in genere, ma con precisa specificazione attribuito a quelle Ninfe che «Naïadi s'appellan?» Cosa significano questi vasi e queste anfore che non contengono alcun liquido, e nei quali le api costruiscono i loro favi, quasi fossero arnie? e quei lunghi telai riservati alle Ninfe, e fatti non di legno o altro materiale, ma di pietra uguale a quella delle anfore e dei crateri? E questo non é ancora sufficiente alla oscurità del racconto; ma ci si dice ancora che su questi telai di pietra, le Ninfe tessono stoffe color di porpora, cosa non solo meravigliosa nel vedere, ma puranco nel comprendere. Ma come si fa a credere che le dee tessino veli color di porpora in una caverna ove imperano le tenebre, su telai di pietra, specie quando s'insiste nello asserire che le stoffe fabbricate dalle dee sono visibili e del colore della porpora? Indi la nostra attenzione é richiamata all'esame di un'altra meraviglia e cioè che l'antro abbia una duplice entrate, una riservata alla discesa degli nomini, l'altra per l'ascesa degli dei e che la prima presenta la sua faccia ai venti di Borea, e la seconda a quelli di Noto: non vi si scorge per quale ragione il Nord per gli uomini ed il Mezzogiorno per gli dei, e perché non abbia in questa circostanza usato il levante e l'occaso, dato che nella maggioranza dei templi, le statue e le porte guardano il levante, sì che coloro che vi entrano si tengono con la faccia volti ad occaso, allorquando offrono a gli dei le loro preghiere ed il culto che loro è dovuto.

Il racconto d'Omero viene in siffatta guisa oscuro; non é una favola immaginata per caso o per un puro bisogno dello spirito e nullameno non racchiude la descrizione di un luogo reale, ma è necessario vedere in essa un'allegoria del poeta il quale ha posto anche misticamente un olivo nei pressi dell'antro. Scovrirne ed interpretarne il senso, parve difficile agli antichi ed a noi, che dopo di essi ci accingiamo a tentare la spiegazione. Tenendo presente i dati che ci fornisce la geografia, tutti coloro che ci hanno preceduto in questo tentativo pare abbiamo peccato di negligenza allorquando considerano quale semplice finzione del poeta, l'antro e tutto ciò che di esso si riporta. La testimonianza dei migliori e più esatti geografi é differente, e Artemidoro l'Efeso scrisse nel quinto libro della sua opera divisa in cinque libri: «Allontanandosi da Panormos, parlo di Kefallenia, verso levante, alla distanza di dodici stadii si trova l'isola d'Ithakè, lunga 86 stadii, stretta e montagnosa, con il suo porto chiamato Phorkyu e sulla spiaggia del quale si trova un antro consacrato alle Ninfe, e dove si racconta che i Fecii abbandonarono Odisseo». In tal caso Omero non avrebbe tutto inventato. Ma, sia ch'egli abbia seguita la natura, sia che v'abbi aggiunto dei dettagli, ciò resta impregiudicato se si vuol proceder nello esame dell'intenzione di coloro che consacrarono quest'antro o di quella del poeta che l'avrebbe immaginato: poiché gli antichi non consacravano alcun tempio senza simboli mitici, ed a quest riguardo Omero nulla ci riferisce a caso. Quanto più si tenterà a dimostrare che Omero nulla ha inventato in merito all'antro, e che questo, antecedentemente al poeta, fosse di già dedicato a gli dei, tanto più questo santuario apparirà ai nostri occhi, pieno dell'antica saggezza. Perciò vale la pena di studiarne, anzi é necessario spiegarne, la simbolica sua consacrazione.

Gli antichi consacravano gli antri e le caverne al Mondo considerato nella sua universalità o nelle sue parti: essi prendevano la terra per simbolo della materia della quale il Mondo é composto: in quei tempi si pensava anche che per terra bisognava intendere la materia e con gli antri s'intendeva indicarne che il Mondo è costituito di materia. Poiché spesso gli antri si trovano di spontanea formazione; essi sono inerenti alla terra e aperti in una roccia uniforme, l'interno dei quali é vuoto, e l'esterno s'apre al spazio senz'alcun limite terrestre. Anche il Mondo é nato spontaneamente; esso é legato a se stesso e congiunto alla materia, simboleggiata dalla pietra e dalla roccia, poiché é bruta e resiste a qualsiasi determinazione, e poiché é informe la si riteneva infinita. Ma poiché é fluida e priva, di per se stessa, della determinazio che le imprime la forza e la rende percettibile, é a giusto titolo che si prendeva lo stillicidio e l'Umidità degli antri, e la loro pericolosità e, come dice il poeta, le loro tenebre, quale simbolo di tutto ciò ch'é inerente al mondo, a cagione della materia.

E dunque, per causa della materia che il mondo é oscuro e tenebroso: ma sopravviene la forma che la coordina (ed é in questo momento che gli si dà il nome  di cdsmoj) e perciò diventa bello e ameno. [É noto che la parola cdsmoj significa ugualmente: ordine, ornamento mondo (N. d. T.)]

Si può dunque a giusto titolo paragonarlo ad un ameno antro, per colui che si trattiene all'entrata le forme sono distinte, ma oscuro per chi immagini le profonde cavità, e penetri con spirito questa oscurità. È così che l'esterno e presso l'entrata è ameno mentre le intime profondità sono tenebrose. Anche i Persiani per indicare nel mistico linguaggio la discesa dell'anima ed il suo ritorno al punto donde ne era discesa, davano il nome di caverna a quei luoghi nei quali si compiva la iniziazione. Stando a ciò che dice Euboulos, il primo Zoroastro, sulle montagne, che confinano con la Persia, consacrò un antro naturale, famoso e lambito da sorgenti, in onore di Mithra creatore e padre di tutte le cose. Per Zoroastro, l'antro era l'immagine del mondo organizzato da Mithra, e gli oggetti che vi erano disposti ad intervalli determinati recavano i simboli degli elementi e delle zone del mondo. Indi, dopo la morte di Zoroastro, sorse la tradizione di compiere i riti iniziatici in antri naturali o artificiali. A gli dei olimpici si consacravano templi, santuarii ed altari; le stele erano consacrate a gli dei terrestri, ed a gli eroi: fosse e buche a gli dei sotterranei, così come gli antri e le caverne al mondo come pure alle Ninfe a causa delle acque che gocciolano o sgorgano negli antri, ed alle quali presiedono, come diremo fra breve, le Naïadi.

E non si riguardava solamente quale simbolo del mondo sensibile: l'antro; ma anche di tutte le energie occulte, dato che gli antri sono oscuri, come l'assenza di queste energie é misteriosa. Parimenti anche Kronos provvede al taglio di un antro nell'Oceano e vi nasconde i suoi figli e Demetra allatta Koré in un antro popolato di Ninfe. Molti altri esempi analoghi si troverebbero leggendo le teogonie.

Gli antri erano dedicati alle Ninfe, e specialmente alle Naïadi le quali presiedono alle sorgenti e tirano il loro nome dalle acque dond'esse sorgono: é ciò che ci dice l'inno ad Apollo, nel quale é detto:

Per te le sorgenti delle acque spirituali

Dimorano negli antri, formate

Dal soffio della terra, per gli oracoli

Profetici della Musa; esse sulla terra

Sgorganti da tutti i lati

Offrono ai mortali l'effusione continua

Delle loro dolci onde.

Quindi, secondo il mio modo di vedere, i Pitagorici, e dopo di essi Platone, chiamarono il mondo: antro o una caverna. E in Empedocle le energie conduttrici delle anime dicono:

Noi siamo arrivate nell'antro occulto.

Ed anche negli scritti di Platone, nel settimo libro della Repubblica si legge: «Ecco gli uomini come in un antro sotterraneo ed in una dimora simile ad una caverna, con larga apertura donde entra la luce in tutta la caverna». L'interlocutore riprende: «Tu adoperi un paragone inesatto. È necessario ora, mio caro Glaucone, che io l'adatti a tutto ciò che abbiamo detto precedentemente. La dimora che abbiamo sott'occhio rassomiglia ad una prigione, ed il fuoco che vi vediamo risplendere, all'energia del sole».

Tutto ciò mostra benissimo come i teologi hanno considerati gli antri quali simboli del mondo e delle energie universali, non solo, ma essi ne han fatto anche il simbolo dell'essenza intelligibile per diverse ragioni d'altro genere. Gli antri rappresentano il mondo sensibile perché sono oscuri, amorfi ed umidi come il mondo a cagione della materia che offre resistenza alla determinazione ed é fluida. Ma essi simboleggiano anche il mondo intelligibile che non cade affatto sotto il domino del senso della vista data la permanenza e la fissità dell'assenza. Quindi anche le energie particolari non sono percettibili, soprattutto allorquando sono congiunte alla materia. Fu in considerazione che per natura essi sono pieni d'antri o di tenebre e incavati nella pietra che gli antri furono innalzati a simboli, ma niente affatto in considerazione della loro forma, come, altri credono; dato che non tutti gli antri sono sferici allo stesso modo di quello che Omero descrive con le due entrate.

L'antro é duplice: esso non rappresentava adunque solamente l'essenza intelligibile, ma anche ciò che cade sotto la percezione dei sensi; ed infatti, quello del quale ci stiamo intrattenendo dato che le acque vi scorrono perpetuamente, non simboleggia affatto l'essenza intelligibile, ma la sostanza unita alla materia. Per questo preciso motivo esso non é dedicato alle Ninfe Orestiadi o Aereane né ad altre Ninfe analoghe, ma alle Naïadi che affermano il loro nome da quello delle sorgenti .

Noi diamo specialmente il nome di Naïadi alle Ninfe che vegliano sulle energie delle acque; ma si chiamavano con lo stesso nome tutte le anime che si sottomettevano alla generazione. In effetti si pensava ch'esse s'avvicinavano all'acqua animata dal soffio divino; ed é questo che vuol dirci Noumonio allorquando interpreta in tal senso le parola del profeta: «Lo spirito di Dio era portato sulle acque».

Per questa stessa ragione, gli Egiziani non pensarono affatto che tutti i demoni si immobilizzassero su un elemento stabile ma al contrario su un naviglio, come il sole e tutti quelli, in una parola, che assistono la nascita delle anime quando queste discendono travolte dall'acqua. Così Eraclito ha detto che: «l'umido genera la gioia e non la morte delle anime, che bevono con gioia l'acqua in vista della loro nascita; in modo che, egli continua, esse vivono della nostra morte, e muoiono della nostra vita». È per questo che il poeta chiama dieroÙj [ LieroÙj significa tanto fresco che giovane (N. d. T.)] gli uomini che vivono nel mondo della generazione dato che le loro anime sono umide. Perciò le anime amano il sangue ed il seme umano, e le anime delle piante si nutrono d'acqua.

Secondo alcuni, gli esseri dell'aria e celesti si nutrono anche dei vapori che esalano dalle sorgenti e dai fiumi. Quelli del Portico pretendono che il sole si nutra delle esalazioni del mare, la luna di quelle che s'innalzano dalle sorgenti e dai fiumi, e gli astri delle esalazioni della terra. In tal caso, il sole, la luna egli astri dovrebbero essere considerati come fiamme spirituali venute dal mare, dalle acque della pioggia, e dalla terra. Necessariamente le anime sono o corporali o incorporali e nel qual caso cercano di attirare un corpo, ed é allora necessario che quelle che debbono essere unite al sangue ed a un corpo umido sieno portate per l'umido e s'incarnino impregnate d'umidità. Perciò le libazioni di bile e di sangue evocano le anime dei morti, come pure le anime amiche del corpo, attirando verso di esse l'umido soffio, lo condensano quasi come nube.

Poiché l'acqua condensata in vapore produce una nube; così il soffio, condensandosi in essa anima, a causa dell'abbondanza estrema d'umidità, per tal modo le anime dei morti diventano visibili. In questa categoria bisogna annoverare quelle anime che si sono contaminate e che ci appaiono sotto forma di spettri. Ma le anime pure rifiutano di nascere. A ragione Eraclito ha detto: «L'anima secca é la più saggia». E parimenti il desiderio della carne rende il soffio molle e più umido quando é portata verso la generazione.

Ciò posto, le ninfe Naïadi sono le anime che vogliono nascere. È perciò che si chiamano ninfe le ragazze che vanno a marito, dato ch'esse si uniscano in vista della generazione, e le si lavano con l'acqua delle fontane, fiumi e sorgenti che giammai seccano. Del resto, per le anime più perfette e per i démoni generatori, il mondo é sacrato e gradevole, per quanto oscuro e tenebroso: per quanto si credesse che queste anime fossero aeree e tirassero dall'aria la loro sostanza. Anche sulla terra un antro consacrato loro converrà, piacevole ed oscuro a immagine del mondo, e nel quale, come in un gran tempio, vengono le anime. Ma l'antro conviene anche alle ninfe delle acque, dato che in esso scorrono le sorgenti che non si prosciugano giammai.

L'antro del quale parla Omero, deve dunque essere assegnato alle anime ed alle ninfe che rappresentano particolarissime energie e che a cagione delle sorgenti e delle fontane si chiamano Pegee e Naïadi. Quali simboli diversi, dunque, noi troviamo convenienti gli uni alle anime, e gli altri alle energie delle acque, per credere che l'antro é consacrato contemporaneamente, tanto alle ninfe che alle anime?

I vasi e le anfore di pietra sono i simboli delle ninfe Hydriadi. Inquantoché le anfore e i vasi di argilla sono i simboli di Dionisio, ed in effetti sì confanno al dio della vite il frutto della quale é maturato dal fuoco uranico.

Ma i vasi e le anfore di pietra convengono altresì benissimo alle ninfe che presiedono alle acque sgorganti dalla pietra. E qual simbolo sarebbe meglio appropriato dei telai delle anime che discendono verso la generazione e la produzione dei corpi ? Solo perciò il poeta ha osato dire che su questi telai le ninfe:

Tessono le stoffe, tinte di porpora, meravigliose a vedere.

Per le ossa, ed intorno alle ossa che la carne si forma : essi son pietra nel corpo dagli animali e perciò paragonati alla pietra. E per questa ragione che i telai son fatti di pietra e non di altra materia. E le stoffe di porpora non sono altro se non la carne unita al sangue: in effetti i velli di porpora sono impregnati di sangue e la lana é tinta nel sangue e la carne vien formata dal sangue. Il corpo è la veste dell'anima, ed é uno spettacolo ammirabile sia nel considerare la sua composizione quanto la sua unione con l'anima. Similmente Koré il quale protegge tutto ciò che nasce da seme é rappresentato da Orfeo nell'atto di tessere la tela, e gli antichi chiamavano il cielo un peplo, perché esso fluttua come un velo intorno a gli dei uranici.

Per quale ragione le anfore sono piene di miele e qua? Perché, dice il poeta:

Le api costruiscono, in esse, i loro favi.

La parola stessa tidˆbosein significa tid™nai tºn bÒsin (depositare il nutrimento): orbene, le api mangiano e bevono il miele.

I teologi si sono serviti del miele per un gran numero di simboli diversi, poiché il miele é costituito di varie energie. Esso ha la proprietà di purificare e conservare: col suo impiego, molte cose diventano incorruttibili, e le vecchie ulceri sono da esso guarite: é dolce al gusto, ed é fatto con i fiori dalle api che nascono dai bovi. Ciò posto, coloro che sono iniziati ai misteri leontici, per purificare le loro mani, in luogo dell'acqua, le lavano nel miele, e contemporaneamente s'ingiunge loro di badare a che le loro mani sieno conservate pure da qualsiasi misfatto, da ogni specie di delitto e di oscenità; poiché, dato che il miele purifica similmente al fuoco, l'iniziato riceve queste speciali aspersioni, mentre si elimina l'acqua perché ostile al fuoco. Similmente il miele purifica la bocca da tutti gli errori.

Ma l'offerta del miele fatta al Persa (Mitra) guardiano dei raccolti, simboleggia la sua precipua funzione di guardiano. Da ciò si deduce come similmente si sia impiegato talvolta in luogo del miele, il nettare e l'ambrosia che il poeta fa stillare goccia nelle narici dei morti per preservarli dalla corruzione: poiché il miele é il nutrimento degli dei. È anche per ciò che il nettare lo si chiama fulvo: in effetti il suo colore é simile a quello del miele. Ma noi esamineremo altrove più dettagliatamente se convenga prendere il miele nello stesso significato del nettare. In ogni modo, in Orfeo, Giove, con l'aiuto del miele, macchina uno stratagemma contro Krono. Questi, satollo di miele diventa ebbro e, preso da vertigini, come se avesse tracannato vino, s'addormenta, similmente come leggesi in Platone che esso ritorna a Poro satollo di nettare.

Poiché secondo Orfeo, Nice dice a Giove per consigliargli lo stratagemma servendosi del miele:

Quando tu lo vedrai sotto le querce dall'alte chiome

Invasato dai lavori delle api dagl'innumeri ronzii,

Incatenalo.

 

Questa é la sorte di Krono: egli é legato ed evirato come Urano; ed il poeta fa intendere anche che per le voluttà, le potenze divine sono incatenate e s'abbassano alla generazione, e che eiaculano speciali energie snervate a causa della voluttà. Per esempio, quando Urano nel desiderio amoroso discende verso terra, é castrato da Krono. Ma per essi la voluttà della carne ha lo stesso significato del sapore del miele: e Krono decaduto per questo é castrato. In effetti, Krono con il suo globo é il primo di coloro che si oppongono ad Urano, e certe energie discendono dal cielo e dai pianeti; ma Krono raccoglie quelle che vengono dal cielo, e Giove quelle che vengono da Krono.

Il miele é preso tanto come purificatore, che come preservativo della decomposizione naturale e come eccitante per la voluttà di amore e nello stesso tempo é il simbolo delle Ninfe Hidriadi poiché per loro natura le acque sono incorrutibili, purificatrici e ausiliatrici della generazione.

Poiché l'acqua aiuta la generazione. Per questa ragione le api fanno il loro miele nei vasi e nelle anfore: i vasi sono i simboli delle sorgenti (perciò a lato di Mitra in luogo della sorgente vi si mette un vaso) e le anfore simboleggiano i vasi con i quali noi attingiamo dalle sorgenti.

Le sorgenti e le fontane appartengono alle Ninfe Hydriadi e più propriamente ancora, alle anime-ninfe che gli antichi chiamavano propriamente api poiché queste sono operaie di piacere. Perciò Socrate ha potuto dire delle anime, senza alcuna inesattezza:

Lo sciame dei morti ronza, esso ascende.

Gli antichi chiamavano anche: api, le sacerdotesse di Demetra che erano incaricate delle iniziazioni, e dicevano che Korea era dolce come il miele. Anche la Luna, allorquando presiede alla generazione, era chiamata «ape» o anche «toro». Poiché il Toro innalza la luna e le api che nascono dai bovi, perciò si chiamano «nate dai buoi» le anime che vanno verso la generazione, e «ladro dei buoi» il dio che si supponeva esser stato generato clandestinamente.

Il miele é anche preso quale simbolo della morte (da ciò le libazioni di miele quali offerte a gli dei sotterranei) ed il fiele quale simbolo della vita, e nel doppio significato: sia che la voluttà fa perire le anime, sia che l'amarezza le richiama alla vita. Per la stessa ragione si faceva l'offerta del fiele a gli dei per significare che la morte libera dalle pene o anche, che la vita di questo mondo é penosa ed amara.

Nullameno, non si chiamavano api tutte le anime che vanno verso la generazione indistintamente, ma solo quelle che dovevano vivere secondo giustizia per poi ritornare nel loro primitivo soggiorno dopo aver compiute le opere gradite a gli dei, poiché quest'essere vivente (cioè l'anima) ama ritornare al luogo donde é disceso, e perciò osserva la giustizia ed é sobrio: é per questo che libazioni di miele si chiamano «Sobrie». Si scartano le fave (dall'alimentazione) perché furono sempre considerate come il simbolo della generazione rettilinea ed immediata: poiché, fra tutto ciò che si semina, sono le sole che sono interamente vuote e per nulla intercettate da alcuna membrana. Perciò adunque le focacce di miele o le api nei cappii erano i simboli particolari comuni alle Hydriadi ed alle anime-ninfe che venivano verso la generazione.

Negli antichissimi tempi, e prima ancora che si fosse incominciata la costruzione dei templi, gli antri erano consacrati a gli dei; in Creta dai Koureti a Giove, in Arcadia a Selene ed a Pane Licheo, in Nasso a Dionisio, e da per ogni dove si riconoscesse la sua esistenza, a Mithra. Perciò Omero non si accontenta di attribuire due entrate all'antro di Itaca ma soggiunse che l'una é posta verso Borea e l'altra più divina é posta a Noto e che la discesa si effettua da quella che guardava Borea. Ma non ci dice se si possa discendere da quella che guarda Noto, e afferma semplicemente:

Giammai da essa vi entrano gli uomini; ma è il sentiero degl' immortali.

E necessario, allora, cercare la spiegazione di questi versi, sia che il poeta descriva un antro reale, sia ch'egli abbia voluto esprimere il suo pensiero in modo enigmatico, o quale frutto della propria immaginazione. Ma dato che questo antro rappresenta l'immagine ed il simbolo del mondo, Numenio e Kronio suo amico, dicono che nel cielo vi sono due estremi dei quali uno a Noto che non va più lungi del tropico d'inverno, e l'altro a Borea che non va più lungi del tropico d'estate. Ora, il tropico d'inverno é vicinissimo al segno del Cancro, e quello d'inverno al segno del Capricorno. E poiché il Cancro é più vicino a noi, lo si attribuisce alla luna dato che questo é il pianeta più vicino alla terra mentre per l'estremità, meridionale a noi invisibile la si attribuisce a Krono, dato che é il pianeta più in alto e più lontano.

Ecco in quale ordine si seguono i segni zodiacali dal Cancro al Capricorno: dapprima il Leone sede di Elio; poi la Vergine: dimora di Ermete; la Bilancia: dimora d'Afrodite; lo Scorpione: dimora di Arês; il Sagittario dimora di Giove; il Capricorno: dimora di Krono.

Indi in senso inverso, e partendo dal Capricorno: l'Aquario dimora di Krono; i Pesci dimora di Giove ; l'Ariete: dimora di Ermete: ed infine il Cancro: dimora di Selene. Perciò i teologi stabilivano due porte: il Cancro ed il Capricorno, che Platone chiama due orifizii. E si dice che dal limite del Cancro le anime discendono, e che il cammino in senso inverso si effettua dalla via del Capricorno. Ma il Cancro é situato presso Borea appropriata alla discesa, mentre il Capricorno é situato a Noto via appropriata per il ritorno. Ordunque, la regione di Borea é riservata alle anime che discendono verso la generazione.

Perciò il poeta, con ragione, ha detto che l'entrata dell'antro volta verso Borea, serviva alla discesa delle anime. Per quanto riguarda la regione di Noto, questa é riservata non per gli dei, ma per coloro che s'elevano a gli dei. Perciò Omero ha parlato non del sentiero degli dei, ma di quello degli immortali. Poiché questa qualità appartiene similmente alle anime che per se stesse o per la loro essenza sono immortali. E Parmenide, dicesi, fa menzione anche di queste due porte nel suo libro sulla Natura, e queste porte sono note tanto ai Romani che a gli Egizii: in effetti, i Romani celebrano le feste di Crono (Saturnali) nel tempo nel quale il sole più si approssima al Capricorno: durante queste feste gli schiavi indossano le vesti proprie degli uomini liberi, e per la durata delle stesse, acquistano tutte le prerogative di questi.

Con ciò, il legislatore ha voluto far intendere che nello approssimarsi a questa porta del cielo, coloro che la nascita destinò schiavi, sono redenti dalle feste in onore di Crono e per la dimora a Crono stesso assegnata similmente a risuscitati e ritornati a nuova nascita. Poi sono riportati in dietro dalla via che comincia dal Capricorno. Così, dato che porta si chiama Janua presso i latini, questi chiamano Jannarius, cioé portiere, il mese a cominciare dal quale il sole ritorna dal Capricorno dalla parte d'Oriente e retrocede verso le regioni Boreali.

Presso gli Egiziani, l'anno non principia nell'Aquario come accade presso i Romani, ma nel Cancro. Poiché in vicinanza del Cancro trovasi la stella Sothis che i Greci chiamano: «il Cane». Per gli Egiziani le neomenie (novilunii?) sono rimpiazzate da Sothis poiché questa stella nel mondo, é il principio della generazione. Perciò Omero non ha attribuito le porte al levante ed all'occaso né a gli aquinozii, cioé Ariete e Bilancia, sibbene a Noto, e più settentrionali dal lato di Borea, poiché quest'antro era consacrato alle Ninfe Hydriadi ed alle anime. E sono proprio quelli i luoghi dove nascono e muoiono le anime. Per quanto riguarda Mithra, gli si é destinato un posto speciale in prossimità degli equinozii. Perciò egli porta il brando dell'Ariete, simbolo d'Ermete ed é trascinato dal Toro, simbolo d'Afrodite: poiché Mithra, ancor bene quanto il Toro, è demiurgo e maestro della generazione. Esso é sempre collocato dappresso al segno degli Equinozii, avente alla destra, le regioni di Borea ed a sinistra quelle di Noto, e l'emisfero meridionale s'estende sino a lui dal lato di Noto, poiché Noto é caldo; e l'emisfero settentrionale dal lato di Borea, perché questo vento é freddo.

Non é senza ragione che si associavano i venti alle anime che vanno verso la generazione o che ne ritornano, poiché stando all'opinione di qualcuno, le anime attirano il soffio e ne formano la loro sostanza. Ma il vento di Borea é destinano per quelle che vanno verso la generazione: e perciò il soffio di Borea ravviva gli agonizzanti che respirano con difficoltà, mentre il vento di Noto ne accellera la morte. Poiché l'uno congela e limita perché é freddo e domina nella freddezza della generazione terrestre, e l'altro é dissolvente perché è caldo e rimanda verso il calore divino. Ma dato che la terra che noi abitiamo inclina piuttosto verso Borea, le anime che su di essa nascono debbono per forza preferire il vento di Borea, mentre quelle che abbandonano questa terra preferiscono il vento di Noto. È anche per questa ragione che il vento di Borea è impetuoso sin dalle prime raffiche, mentre quello di Noto quando diventa violento subito cessa. Quello, in effetti, colpisce in linea retta gli uomini che abitano il Nord, questo viene da più lontano, il suo soffio é più lento nel colpirci, ma quando é arrivato a colpirci, in seguito aumenta.

Poiché é dalla porta di Borea che le anime giungono alla generazione, si chiamò questo vento: amoroso. Perciò i seguenti versi:

Simile ad un cavallo dalla criniera nera esso giacque con esse;

Ed ingravidate esse partorirono dodici puledri.

 

E, dicesi, rapì Orithyia e generò Zêtês e Kalaïs. Ma poiché Noto é riservato agli dei, nei templi si stendono i veli a mezzogiorno pieno: si osserva così il precetto Omerico che proibisce a gli uomini l'entrata nei templi quando il sole inclina a mezzogiorno:

Ma è il sentiero degli immortali.

Per tal modo Noto é considerato quale simbolo del Mezzogiorno, poiché dio é sull'ora di mezzogiorno sulla porta del tempio. Similmente anche per le altre porte non era permesso di parlare in qualunque ora, quasi le porte avessero un carattere sacro. Per questa ragione, i Pitagorici ed i saggi dell'Egitto proibivano di parlare nel varcare le porte e le entrate delle case ed onoravano con il silenzio il dio che regge l'insieme delle cose. Omero non ignorava affatto che le porte sono sacre; é ciò che ci insegna nei suoi scritti Oineo che bussa la porta prima di volgere le sue supplicazioni:

Bussando le porte ben chiuse, supplicando suo figlio.

Egli conosceva le porte del cielo affidate alle Ore e che hanno origine nelle regioni nebulose; esse sono aperte e chiuse dalle nuvole.

Sia ch'essi disperdano o interpongano una nube spessa.

Ed egli dice ancora ch'esse mugghiano poiché il tuono nasce dalle nubi:

Da per se stesse le porte del cielo mugghiano, a guardia delle quali son le Ore.

 

Similmente ci parla delle porte del sole, designando, in tal caso il Cancro ed il Capricorno. Orbene, il Capricorno ed il Cancro sono vicini alla Via Lattea della quale ne occupano l'estremità: il Cancro a Borea, il Capricorno a Noto. Secondo Pitagora, l'assembramento che talvolta vediamo nei sogni, non son altro che le anime: queste si riuniscono nella Via Lattea che loro concede il suo nome, poiché le anime, una volta cadute nella corrente della generazione, si nutrono di latte: per questo, per evocare le anime si usa fare libazioni di latte e miele: poiché il desiderio della voluttà le attira verso la generazione, ed il latte si va formando contemporaneamente alla gestazione.

Le regioni di Noto producono corpi di piccola statura, dato che il calore dimagrisce i corpi, e similmente li fa diminuire e li dissecca; nelle regioni di Borea, al contrario, i corpi sono grandi. Ciò provano i Celti, i Traci e gli Sciti, e la loro umida terra fertile di pasture. Lo stesso nome di Borea viene da nutrirsi, tanto vero che bor¢  significa: nutrimento; ed il vento che spira da questa terra carica di nutrimento é nutritivo e perciò giustamente chiamato Borea.

Per queste ragioni, adunque, le regioni boreali sono convenientemente adatte alla razza mortale soggetta alla nascita, e quelle di Noto più alla razza divina, così come il levante a gli dei e l'occaso ai démoni. Poiché la natura ha principio con l'eterogeneità, dappertutto, ciò che ha aspetti, la simboleggia. Il viaggio si compie, in effetti, o nel mondo intelligibile, o nel mondo sensibile, e nel mondo sensibile: nel globo fisso o negli erranti globi dei pianeti, e dall'altra parte, nel sentiero immortale o nella via mortale. Uno dei punti cardinali é al disopra mentre l'altro é al disotto della terra; uno ad oriente, l'altro ad occidente; una parte del mondo é situato a destra, l'altra a sinistra; la notte s'alterna con il giorno e l'armonia universale é composta di suoni contrarii ed ottenuti da gli opposti. Anche Platone parla di due porte: da una si sale al cielo e dall'altra si discende in terra, ed i teologi hanno fatto del sole e della luna, le porte delle anime. In Omero troviamo due grandi vasi:

Uno per i mali che dà, l'altro per i beni. 

Ma anche nel Gorgia di Platone, l'anima é rappresentata da una botte: l'una benefica l'altra malefica; una ragionevole l'altra irragionevole ed i vasi, similmente alle anime, racchiudono speciali energie e speciali disposizioni. Anche in Esiodo, noi vediamo menzionato un vaso chiuso e l'altro che la voluttà apre e dal quale tutto sfugge, meno la speranza. In effetti, le quante volte l'anima si ferma nella materia trasgredendo la sua regola, non si pasce che di buone speranze.

Poiché il binario degli opposti é dappertutto il simbolo della natura, é necessario che l'antro abbia, non una, ma due entrate con speciali destinazioni, e delle quali una é destinata agli dei ed ai giusti, l'altra ai mortali ed ai malvagi. Ed é proprio partendo da questi principii che Platone ha parlato di vasi, sostituendo i vasi alle anfore e gli orifizii alle porte.

Ma per non allargare la portata di questo trattato, riportando le opinioni degli antichi filosofi e teologi, noi pensiamo che tutto ciò che abbiamo detto é di già sufficiente per spiegare il senso del racconto.

Resta solo da spiegare il significato del simbolo dell'ulivo piantato nei pressi dell'antro. E dev'essere un significato importante, perché Omero non dice semplicemente ch'esso là germoglia, ma sibbene alla punta stessa del porto.

All'estremità del porto cresce un olivo dalla larga chioma

Ivi dappresso s'apre l'antro

 

Non è però un caso, come si potrebbe pensare, che l'ulivo germoglia in questo, ma serve anzi ad indicarci il significato misterioso dell'antro. Ad onor del vero, il mondo non é nato affatto né arbitrariamente né dal caso; ma é l'opera del pensiero divino e della natura intelligente, e perciò innanzi all'antro, immagine del mondo é piantato l'ulivo simbolo della divina saggezza ...

Effettivamente, l'ulivo é l'albero d'Athenea ed Athenea é la Saggezza. Essa é nata dalla testa di Giove ed il poeta teologo ha messo con ragione l'ulivo consacrato, all'estremità del porto. Per tal modo ci fa comprendere che questo universo non é frutto d'un movimento arbitrario né dall'azzardo irragionevole, ma é opera perfetta di una saggezza distinta dal mondo, ma nullameno posta in ogni lato della estremità del porto universale.

L'ulivo é sempre verde: ha dunque una proprietà che ben s'addice al susseguirsi delle anime in questo mondo (e si sa che l'antro é consacrato alle anime). Poiché durante l'estate la parte bianca delle sue foglie si raddrizza, mentre durante l'inverno il movimento si compie in senso inverso. E perciò che durante le preghiere e le supplicazioni si sollevano rami d'ulivo (o anche le mani) per significare che le tenebre si cambieranno in bianca luce per coloro che pregano e supplicano. Il sempre verde ulivo reca un prodotto che compensa il lavoro. Esso é consacrato ad Athenea e ci fornisce le corone per gli atleti vittoriosi ed i rami propiziatorii per coloro che supplicano. Similmente il mondo é diretto dall'eterno pensiero e sempre verde d'una natura intelligente, che concede a gli atleti della vita il premio della loro vittoria e la consolazione alle loro numerose battaglie; ed il guaritore dei miseri e di coloro che supplicano é il demiurgo che serba il mondo.

In questo antro, dice Omero, bisogna abbandonare tutto ciò che si porta da fuori, spogliarsi e rivestirsi degli abiti di coloro che supplicano, uccidere gl'istinti del corpo, rigettare tutto ciò ch'é superfluo e annientando anche i sensi, lasciarsi guidare da Athenea, dopo essersi seduto sulle radici stesse dell'ulivo, per mettere d'intorno a sé tutto ciò che agirebbe sull'anima a suo detrimento. Numenio, secondo me non ha detto senza alcuna ragione che Odisseo, nell'Odissea di Omero, rappresenta l'uomo che passa per tutti i gradi della generazione ed é infine portato presso popoli, al sicuro da qualsiasi tempesta, e che non conoscono il mare:

Sino a che tu sia arrivato fra nomini che ignorano il mare

E mangiano un nutrimento non asperso con sale.

 

Anche in Platone, l'insieme della materia é chiamato; mare, flutti, tempesta. E perciò, io penso, che Omero ha nominato il Porte Forcine:

Ivi è il porto di Forcino, vecchio marinaio;

ed al principio dell'Odissea, Omero dà la genealogia della figlia di Forcino, Thoosa, dalla quale é nato il Ciclope, privato del suo occhio da Odisseo, affinché sino nella sua patria gli perdurasse qualche ricordo delle sue stesse mancanze. Così naturale che s'accoccoli sotto l'ulivo quale supplice del dio e per calmare con l'offerta con un ramo dello stesso, il démone natale, poiché non poteva allontanarsi facilmente dalla vita sensibile colui che l'aveva accecata e aveva voluto distruggerla in un istante; per tale audacia era perseguitato dalla collera degli dei marini e materiali.

Era necessario, perciò, dapprima calmarli con le pene e le sofferenze dei mendicanti, e nel contempo lottare contro le passioni, talvolta far uso di prestigio e inganno, infine trasformarsi interamente per poter tutto riconquistare, spoglio dei propri cenci. Ma anche allora non é al sicuro affatto da tutte le miserie, e non sarà liberato se non nel giorno nel quale essendo sfuggito ai flutti definitivamente, diventerà ignorante delle cose del mare e della materia, a tal punto da prendere una pala da vagliatore per un remo, tanto avrà dimenticato completamente gli strumenti ed i lavori del mare.

Che non s'abbiano a prendere le interpretazioni per stiracchiate e credere che siano congetture di uomini che amano sottilizzare. È bene ricordarsi dell'antica saggezza, e sognando la ragione di Omero e la esatta conoscenza che egli aveva di tutte le virtù, non negare, che sotto forma di miti, egli ha misteriosamente occultate le cose divine.

Egli non poteva, in effetti, riuscire a far accettare una completa finzione e che non avesse qualche obbietto vero per origine. Ma io riporterò queste osservazioni nella spiegazione dell'opera intera, e perciò é necessario fermare a questo punto, l'ermeneutica dell'antro delle Ninfe.