Il documento che presentiamo ai nostri Ospiti, per l'indagine e lo studio, è un manoscritto redatto in lingua tedesca, datato 1400, che si trova nella  Biblioteca Ventimiliana di Catania. Curato e tradotto da Guido Manacorda per la Casa Editrice Fussi (Firenze). Ogni diritto è riconosciuto.

© Guido Manacorda


 

 

IL CANTO DELLA MONTAGNA

nel quale il Subiectum Catholicum Saturninum viene chiamato per nome

 

1.        Volle un giorno un pellegrino lo spirito dei terrestri metalli rintracciare. Tu devi, gli si disse, camminare; e gli si additò la via alla miniera. Quattro uomini qui muovevano lor passi, e due donne. Portavan chiuso nei corpi il tesoro, cui anelava in cuore il pellegrino.

2.        Questo egli crede, e scende nei cunicoli. E qui s'imbatte in un eroe. Sta l'eroe presso il maglio, gonfio il pugno d'acciaio. Ed è rosso il suo vestire. Poiché la guerra è terminata, s'è dato ora al lavoro: angustia, davvero, non la vuol soffrire!

3.        Con detti acerbi egli investe l'uomo di terra straniera. Dice: "Chi t'ha diretto a queste nostre porte, cui nessuno s'è mai accostato? Chi d'acciaio t'ha l'animo indurito, sì da osare senza più paura? Chi cerchi di rapire? Assai sangue hai nelle vene?"

4.        E qui l'ospite si spaura. E pur risponde e parla amico: "Non mi fare impedimento, eroe mio caro: dentro il monte io debbo pur discendere. Quattro uomini dai robusti corpi debbono qui trovarsi; proprio qui, con due donne, intenti al lavoro".

5.        "I marchi ch'essi imprimono, debbono costituire quel segno, che tutti i saggi cercano. Di qui, ad arte, la Pietra dei Saggi [Pietra Filosofale] si produce. E però son qui venuto: anche s'io possa esser stato ingannato; anche s'io la trovi o non la trovi".

6.          "Tu hai benissimo compreso", risponde quel primo lucente. "Quattro uomini son qui venuti ed una coppia di donne insieme con loro. E quel che tu brami, posseggon essi, ciascuno per sé e tutti insieme. Poiché da un sol ceppo tutti noi veniamo. Che cosa questo significhi, fatti bene accorto".

7.          "Ancora io dubito, che si possa conquistare, sì profondo lo portiamo nascosto. Pur tu potrai ben vincere, colui che in piena luce te lo scoprirà. Ma io non lo posseggo. A meno che tu non sia in grado di piegare la mia forza e di configgermi alla tua spada".

8.         "Qui, qui, nella camera del cuore, l'alto tesoro io porto. Se col tuo martello potrai fino ad esso farti strada, privarmene dovrò. Con dolore: perché ad esso spetta darmi forza e nutrimento, vita e vigore; a me, come a tutti che qui dimorano".

9.        "Duro è il tuo nodo a sciogliersi", risponde il pellegrino. "Con te, uomo di guerra, lite non voglio fare: se pur potrei agire come con la fionda Davide, a tutti e due la risparmio e in pace ti voglio lasciare".

10.      "Ti do un buon consiglio", dice il minatore [Marte]: "Non mi pestare il piede! Anche la mia amica guarda acerbo, se pure, costretta al combattimento, non abbia l'arme affilata. Ma, se la mia collera ha forza di leone, opere ella compie di leonessa, se mai alcuno a pungerla s'arrischi".

11.  "E non dar noia al nostro Capo, e la sua donna lascia in pace. A che può giovare un re, e una regina per giunta? Troppo grande è la loro boria. Se alcun che ne puoi trarre, molto dovrai pur dare: e a nulla si ridurrà il tuo guadagno".

12.     "Pur se vorrai oltre andare e nella camera più segreta penetrare, altri vedrai sguazzar nell'abbondanza. Se ti riuscirà di vincerli, potrai vivere in letizia e il tuo prossimo donare di quanto in ogni momento gli abbisogni".

13.     Passa oltre senz'altro lo straniero, seguitando suo cammino. Né alcuno l'accompagna. Ed ecco nuova dimora ritrovare. Qui abita un uomo sfolgorante, di abito magnifico vestito. A lui si volge come al primo l'ospite, con la parola sua supplichevole.

14.      "Ma no, ma no", risponde il minatore un'altra volta. " Dovremmo io e i miei fratelli ucciderci anzi tempo? Troppa pretesa è questa. Lo stesso re dovrà morire e la regina stessa perire, se appagata verrà la tua furente brama".

15.     Sfolgora lo sfavillio dell'uomo in viso allo straniero, sì che all'istante volge egli tutto intorno lo sguardo, se mai qualcuno sia a sua portata, che alla sua vista possa ridonar vigore, e durevolmente l'uomo distogliere dal suo agire.

16.     Or d'ucciderlo pensa, per rapirgli il tesoro. Di riuscir ritiene se appena trovi luogo, ove stender sulla bara il re e la sua consorte; da poi che dalla vita di lui trae vita anche lei, la chiomata.

17.    Ed ecco tutto solo balzar sul minatore, che col raggiar suo lucente abbaglia gli stranieri. Per la gola l'afferra baldanzosamente. Grida l'assalito, che gli si risparmi violenza: cosa gli rivelerà, che giungerà gradita al pellegrino.

18.    E l'ospite pellegrino, cedendo alla preghiera, domanda quai cosa mai sia. Risponde il minatore:

"Continuando il tuo cammino, troverai a sedere, a suo luogo, un vecchio color grigio-capriolo. Di tesori egli n'ha più assai; e può darti miglior letizia, ch'io non ti abbia presagito".

19.     "Facile riuscirà il tuo proposito, agevolmente lo potrai uccidere, da poi ch'è debole per la grave età. Della porta regale è lui il custode, essendo stato scelto all'ufficio delle chiavi".

20.     E lo straniero s'allontana. Ed eccolo alfine davanti al vecchio; il vecchio facile, senza fatica o sudore, ad esser sopraffatto. Povera la tunica; sudicio e miserevole l'aspetto. Delle pareti egli si fa appoggio, turbato di quel che gli sta accadendo.

21.    Subito l'interroga il pellegrino intorno alla "Pietra": glie la potrebbe pur dare! Dice il vecchio: " Vai tu, mio caro, in cerca del tesoro, di cui prìncipi e signori smisuratamente ardono ed han sete, simili a Tantalo presso il ruscello?"

22.   "Certo in me tu lo puoi trovare, stanco di fatica com'io già sono. Ché tal dono prezioso proprio qui, nel mio stomaco, porto. Di qui mi viene il nutrimento; a me, come a tutti gli altri corpi. Ma non al modo di colui, che teco incollerì insieme con la sua donna."

23.   "Egli lo porta in cuore, chiuso nel suo profondo. Eppure mi darà assai dolore, se debba esser io tuo garante. Il tuo colpo mi varrà la tomba. Oh risparmiami la vita! A che inutilmente strangolarmi? Son vecchio, povero, nudo".

24.   "Divoratore sono dei miei figli; che bisogno c'è, che tanto tu ne rida? Molto meglio di me possiede il mio vicino quel che tu cerchi con sì grande ardore. E però mena sì gran vanto. Egli è – non hai che a guardare il suo giaciglio – cognato della nostra regina: che vuoi tu di più?"

25.    "Da poi che tu l'avessi sopraffatto, maggior guadagno ne trarresti. Per quanto fortemente egli rilutti, molto più facilmente che a me gli rapirai la ricchezza, che a me povero e spregiato. Tu stesso ti sei reso accorto di quel che al mio stato si conviene".

26.    Il pellegrino gli porta compassione, e glie la passa per buona. Pensa tra sé: "Di codesto poveretto, nulla otterrò ch'abbia valore. Piuttosto vogl'io con la forza vincere in cavalleresca tenzone il suo vicino, se non mi dà senz'altro, il suo tesoro".

27.    Prende così dal vecchio congedo, e da lui se ne parte. Se non che quegli non può trattenersi – poiché sì presto gli è riuscito il pellegrino a distrarre dal suo scopo – di romper nel silenzio in gran risata, sotto la propria grigia spoglia.

28.    In simile frangente, si volta indietro il nostro pellegrino, e vede il vecchio dalla barba sudicia che ride. Ridendo esclama: "Vecchio arnese, che hai tu da deridermi sì forte? Vedi un poco; sei proprio tu il sornione, che più d'un povero viandante hai spogliato d'ogni suo avere?"

29.   "Se anche tu possa portar farsetto [?], egualmente te lo trapasserò. Io ti voglio il collo spezzare; e sia il tuo ventre duro quanto vuole! Fatti beffa, d'altri; a me, per quanto cara ti sia pur la vita, dovrai dare il tesoro". E sì dicendo, Io trafigge a morte.

30.    Fu questa la fine del viaggio. Il pellegrino se ne tornò in patria. E il poema, che qui si canta, sotto velame nascose. Chiunque un giorno intenda provarsi a codesta impresa, badi bene al ridere del vecchio. Dice Natura: "Seguimi"

 

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